Numero 1/2024
SOSTENERE LA MADRE DOPO IL PARTO:
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Marina Pompei*
Diventare madre non è cosa facile. La dimensione biologica procede con forza per vie predeterminate e se si incontrano ostacoli, la medicina il più delle volte sa intervenire con efficacia. Nonostante questo, uno stato di ansia accompagna molte donne lungo i nove mesi di gestazione e nelle ore del parto e ancora di più subito dopo, quando ci si trova con questo esserino tra le braccia, completamente dipendente da noi.[1]
Qui mettiamo a fuoco una diagnosi differenziale rispetto al disagio della donna nel tempo dopo il parto, pensando a quante donne arrivano a chiedere un sostegno psicoterapeutico, autonomamente o consigliate da chi sta loro accanto e le vedono in uno stato di grande agitazione, di eccessiva ansia e preoccupazione.
La donna, la puerpera che stiamo incontrando, presenta uno stato ansioso o depresso? È in uno stato di angoscia o ha un attacco di panico? Sono termini che nel linguaggio comune si mescolano e rischiano di confondersi.
L’ansia è uno stato psicologico-corporeo di irrequietezza e agitazione motoria che può variare sia per intensità che per durata, e che a volte può essere volontariamente controllato e attenuato, a volte no. È accompagnato da sensazioni spiacevoli e minacciose che producono una diminuzione o addirittura la scomparsa del controllo volontario e razionale.
L'ansia è accompagnata da una tensione muscolare, che lascia la persona sofferente, spaventata e tesa. C’è un'iperattività del sistema nervoso simpatico che dà respiro rapido e affannato, palpitazioni e fa aumentare la sudorazione.
L’energia della persona non si muove in modo armonico in tutto l’organismo, ma disordinatamente e alla periferia.
La visione è confusa: si perdono gli occhi! Non si è più centrati su di sé; uno stato ben diverso da quello dell’allarme.
Questa è la prima distinzione importante da far comprendere alla donna che è venuta a chiederci aiuto.
Lo stato di allarme è uno stato sano, l’allarme è l’attivazione di fronte a qualcosa di sconosciuto e potenzialmente pericoloso, ed è importante e utile.
Ha una sua funzionalità come campanello d'allarme nei confronti di situazioni potenzialmente nocive e induce reazioni dell'organismo e comportamenti adatti a fronteggiare l’evento.
Quando l’allarme produce ansia viene invece oltrepassata la soglia della funzionalità e diventa un impedimento alla ricerca di soluzioni.
La capacità di attenzione ed anche l'interpretazione del segnale è influenzata dall'ansia. Se l'ansia è una reazione a qualche stimolo, non è quel particolare stimolo a provocare la paura, ma l'interpretazione che la persona ne fa.
Il criterio di separazione tra reazione d'allarme e ansia patologica è dato proprio dalle conseguenze opposte che hanno sull'adattamento funzionale della persona alla situazione, che aumenta nello stato di allarme ed è disturbato nello stato d’ansia.
È importante aiutare la donna a fare questa prima distinzione, per non patologizzare una reazione funzionale; il messaggio sarà: - Non sei ansiosa, ma sei giustamente attenta perché ci sono cose nuove che devi imparare.
Spesso però, non siamo di fronte ad uno stato di allarme, ma vediamo che la donna ha superato una soglia, è entrata in uno stato di ansia. Perché?
Già Freud ha dato una spiegazione che ci aiuta a comprendere: entriamo in uno stato di ansia quando c’è un conflitto intrapsichico, un conflitto tra le istanze dell’Es e il divieto dato dalle norme sociali, culturali ed etiche; è un segnale di risposta delle difese dell'Io contro l'irrompere degli impulsi dell'Es.
Possiamo leggere questo nella situazione di una donna in conflitto, per esempio, tra le norme introiettate dell’essere una madre buona e adeguata da una parte, e tutte le sue paure, le sue rabbie, le sue ambivalenze nei confronti del bambino, dall’altra parte.
Nella donna dopo il parto un Super Io chiarissimo ordina: - Devo essere una buona madre! - Devo essere brava!- Devo essere adeguata! - Il mio compagno si aspetta che io sia la brava madre dei suoi figli! – Attenzione! Mia madre mi osserva, mia suocera mi giudica!
- Dovrei sentire il mio collo ben dritto, ma … le emozioni: io non ce la faccio! Sono stanca! - Devo, devo, devo! - Però voglio dormire. - Mi fa rabbia questo bambino che urla. - Sono delusa, non me lo immaginavo così. - Vorrei lasciare tutto ed andar via.
Queste emozioni sono molto comuni, nella norma, tutte le buone madri le hanno vissute e le hanno sapute armonizzare sufficientemente. Quando il conflitto è molto intenso si genera lo stato d’ansia.
Se una puerpera ci sta chiedendo aiuto in questa situazione, non sempre possiamo fare un percorso analitico per andare a vedere le profonde ragioni di questo conflitto che ha superato la soglia dello stato di semplice allerta e vigilanza. In quel momento spesso non ce ne è la sostenibilità, quindi agiremo utilmente facendole comprendere, prima di tutto, che è normale tutto quello che prova e accogliendo le sue difficoltà. Sarà fondamentale la presenza del nostro sguardo in alleanza con lei.
Possiamo dare subito anche un aiuto sul piano fisiologico, perché l’ansia, da un punto di vista bio-chimico, è accompagnata nel nostro organismo dalla presenza di anidride carbonica, che possiamo considerare un po’ il corrispettivo bio-chimico dell’ansia. Quando siamo ansiosi inspiriamo velocemente con la parte alta del torace; questo produce una ridotta immissione di ossigeno, perché non si attiva tutta l’ampiezza dei polmoni, ma solo la parte più stretta che può contenerne una quantità minore.
Inoltre, in uno stato di ansia espiriamo pochissimo, quindi non ci liberiamo a sufficienza dell’anidride carbonica, che rimane dentro. Il risultato sarà un accumulo di questo gas che fa salire il livello di ansia, attivando un circolo vizioso da cui diventa difficile uscire.
La prima cosa da fare sarà aiutare questa donna a respirare più profondamente, in modo tale da eliminare l’anidride carbonica e immettere più ossigeno. Possiamo dire che dobbiamo fare pulizia dentro i nostri polmoni soffiando forte. In piedi, le chiediamo di eseguire una espirazione soffiando con decisione; seguirà poi una inspirazione nasale badando bene a non sollevare le spalle, perché questo comprimerebbe i polmoni. L’immagine che possiamo suggerire è di pensare l’inspirazione in espansione orizzontale!
Osserviamo come è il soffio dell’espirazione, perché potrebbe essere di tono depressivo, debole, e allora non sarà efficace. Chiediamo quindi di cercare un modo tonico, affermativo e consigliamo anche di usare le braccia e le mani, spingendole con forza verso terra durante l’espirazione. Può diventare anche una modalità un po’ teatrale! E può esserci dentro anche un po’ di rabbia!
In un secondo momento, se la donna lo vorrà, potremo attraversare con lei l’origine profonda della sua ansia, per aiutarla a conoscersi meglio e a non esserne preda troppo spesso in futuro.
Un’altra donna potrebbe, invece, parlarci non di ansia, ma di panico; potrebbe dirci che ha avuto un attacco di panico.
Questa è un’espressione sempre più diffusa nel linguaggio comune e si fa tanta confusione tra ansia e panico: altra distinzione da fare.
L’ansia è un movimento energetico disordinato nello spazio e nel tempo, ha a che fare col sistema cinetico, motorio, con la visceralità interna involontaria, si può manifestare con agitazione motoria, con episodi di colite, gastrite, possiamo sudare molto e le facoltà intellettive sono un po’ offuscate, annebbiate.
Nel vero attacco di panico abbiamo una dimensione molto diversa: vi è un allarme assoluto, con crollo terrificante dell’equilibrio omeostatico del Sé.
L’attacco di panico disorganizza il sistema, è un movimento energetico di rottura, con la percezione di pericolo imminente di morte, si disgrega il sistema dell’intero Sé. Nell’attacco di panico il più delle volte ci immobilizziamo, non siamo in grado di far nulla, siamo terrorizzati, pensiamo di morire e non possiamo più contare sul nostro esserci perché è attiva una sollecitazione del Locus coeruleus, nel cervello Rettiliano.
Il nostro cervello è il prodotto di stratificazioni che si sono realizzate nel corso di tutta la nostra evoluzione, da quando eravamo serpenti, a quando siamo divenuti mammiferi e poi esseri umani. In questa lunghissima evoluzione il nostro sistema cerebrale si è andato sempre più complessificando ed organizzando, mantenendo però anche i cervelli più antichi: abbiamo un primo cervello, più arcaico, che è il Rettiliano (con funzioni presenti anche in quello dei rettili) che presiede alle funzioni di base, utili alla sopravvivenza (mangiare, bere, accoppiarsi, attivare modalità di attacco o fuga). Per il nostro Rettliano i diversi sono tutti nemici, non ci sono sfumature, ci sono il bianco/nero, tutto/niente, il pensiero si fa dicotomico, dominato da emozioni assolute.
Nel corso dell’evoluzione è apparsa anche una seconda stratificazione: il cervello Limbico, il cervello dei mammiferi che ci permette le emozioni, i sentimenti, la relazione, l’affettività. Successivamente, è apparsa negli esseri umani una terza formazione: la Neo-Cortex che ci permette l’autoconsapevolezza, il ragionamento astratto, l’etica, l’arte. Questi tre sistemi sono in stretta connessione tra di loro e funzionano di solito in sufficiente armonia.
L’attacco di panico è l’esito di quali movimenti? Nel cervello Limbico si è prodotto uno stato di allarme grandissimo relativo ad un pericolo, ad una minaccia. La minaccia potrebbe arrivare dall’esterno, e allora sarà l’Amigdala a segnalarla, oppure la minaccia viene dall’interno: - Ho paura di essere abbandonata - Ho paura di una separazione; e allora sarà il Giro Anteriore del Cingolo che ce lo sta segnalando, sempre nel Limbico, ma, se dal Limbico l’emozione arriva ad attivare il Rettiliano, abbiamo l’attacco di panico.
In questi momenti non possiamo fare affidamento sul Limbico perché è troppo allarmato, e neanche sulla Neo-Cortex perché non è più efficace la connessione tra i sistemi. Siamo nell’attivazione preponderante del Rettiliano, e spesso dobbiamo chiedere un aiuto momentaneo ad un farmaco, che abbassi l’iperattivazione rettiliana, prima di poter intervenire con una psicoterapia, che ha bisogno di contattare il Limbico[2]
La puerpera che ci chiede aiuto quindi, potrebbe essere in uno stato di allarme, di ansia o in un attacco di panico; ma anche in uno stato diverso, in uno stato di immobilità: fa grande fatica a muoversi, il volume della voce è basso, il tono è dimesso, nulla la interessa, nulla le piace, non ha voglia di mangiare, non è contenta di come sta vivendo questi primi tempi col bambino.
La prima ipotesi che formuliamo è quella di uno stato depressivo.
Forse. Dobbiamo anche qui fare una diagnosi differenziale, perché di fronte a questi sintomi noi possiamo avere uno stato di depressione, o di angoscia depressiva, o una situazione di angoscia da stasi dell’energia.
È molto importante fare questa distinzione perché l’origine diversa chiederà un trattamento diverso. La depressione è un abbassamento, una caduta quantitativa e qualitativa dell’energia.
Se questa è la situazione, noi dobbiamo aiutare la nostra puerpera a trovare risorse energetiche, interne alla persona, e risorse esterne da cercare nell’ambiente in cui vive, nella psicoterapia, o nei casi più gravi, anche in un farmaco. Della depressione e della specifica depressione post partum si tratta nell’articolo di Rosa Dolce in questo stesso numero della Rivista.
Qual è un altro stato possibile? Pur in presenza degli stessi sintomi potrebbe non trattarsi di depressione, ma di angoscia da stasi. Perché? È possibile che la donna sia in una situazione di aumento di energia che non sa gestire. Può essere problematica non solo la diminuizione dell’energia, ma anche il suo aumento. La puerpera può sentire che è diventata più adulta, è diventata madre, è investita anche dell’energia del bambino; c’è uno stato energetico più ricco, ma lei non sa come agirlo, per esempio a causa di un Super-Io fortissimo che le chiede di essere perfetta, ma non sa come, oppure per un Super-Io persecutorio che la fa sentire non abbastanza brava, spingendola oltre la soglia dell’ansia. Abbiamo in questo caso una grande distonia tra la propria carica di energia e la percezione di non possedere gli strumenti per usarla, i canali di espressione. Per aiutarla non dobbiamo cercare di fornire ulteriore energia, come faremmo in uno stato di depressione, ma aiutarla a trovare canali di espressione di questa sua energia, per esprimerla.
È importante distinguere perché è opposto il trattamento.
Per distinguere abbiamo bisogno di un’accurata anamnesi, dobbiamo capire quale sia la storia della persona per leggere adeguatamente il momento che sta vivendo. Uno specifico sintomo ci dà un indizio importante per una analisi differenziale tra depressione e angoscia: chiediamole come si sente quando piange e dopo che ha pianto. Se sente che questo pianto non finisce mai e la fa sentire peggio di prima, molto probabilmente siamo in uno stato di depressione.
Se, al contrario, ci dice che dopo il pianto si sente un po’ meglio, come se si fosse liberata di un peso sul torace, si tratta molto probabilmente di angoscia: piangere è uno dei canali di espressione dell’energia ingorgata.
Una differenziazione che possiamo fare già al primo incontro, che va naturalmente verificata nell’anamnesi.
Sostenere adeguatamente una donna nel puerperio significa guardare la sua storia passata e la scena attuale in cui vive, abbandonare gli stereotipi culturali e anche le rigide classificazioni nosografiche, per leggere il momento attuale alla luce del processo di vita di quella specifica persona
[1]Per una riflessione più generale sul puerperio rimando al mio capitolo Il puerperio in Come sarà il tuo bambino? a cura di De Bonis e Pompei, Alpes edizioni 2015.
[2]Per un intervento psicoterapeutico per l’attacco di panico è interessante la lettura dell’articolo di Giuseppe Ciardiello nel n. 2/2013 di questa Rivista.
Bibliografia
- Ciardiello, G. (2013), Il disturbo di attacco di panico in www.PsicoterapiaAnaliticaReichiana.it, n. 2/2013.
- De Bonis M. C., Pompei M. (2015), Come sarà il tuo bambino? Roma: Alpes ed.