La Relazione è un bisogno primario:
ce lo dimostrano il corpo e la sua memoria
Barbara La Russa*
Che cosa ci rende unici?
La risposta è: la nostra storia di vita! Unica, peculiare e irripetibile, che a partire dal concepimento scrive le sorti del nostro divenire.
Con storia di vita non mi riferisco tuttavia solo a ciò che di essa possiamo narrare; prima ancora di poterci raccontare, infatti, viviamo sulla nostra pelle l’esperienza e apprendendo dalla stessa, la incorporiamo. Per tale ragione ha un peso non indifferente andare a recuperare il legame che ciascuno di noi ha con l’intreccio della propria storia a partire dall’essere soggetti corporei, biologicamente connotati, perché è questo che siamo, prima ancora di divenire corpi pensanti.
Tutto ciò che ci rende unici è conservato nella nostra memoria tout court ma in questo caso, mi riferisco in particolare alla Memoria Implicita e, nello specifico, alla Memoria del Corpo.
Ed è proprio dal corpo che bisogna partire per cercare di comprendere la complessità dell’essere umano, quindi da quelli che sono i significati, le funzioni e le dinamiche di un corpo vivo, che interagisce con altri corpi, che è in perenne trasformazione e che si configura come primo interprete e mezzo attraverso cui circola il significato dell’esperienza, già all’origine della vita.
La sua paradossale essenza Unheimlich[1] (Freud, 1919), che ne connota i vissuti e le manifestazioni, si riferisce a qualcosa che ci riguarda da vicino, ma che al contempo turba, negandosi ad ogni possibilità di essere definito e compreso. Un vissuto di inquietudine dovuto all’incontro con ciò che è estraneo, che diventa turbamento e angoscia in quanto appartiene allo stesso tempo anche alla sfera più intima. In altre parole il fattore perturbante che rende necessario il con-tatto umano: ecco il concetto che credo rifletta per antonomasia la realtà corporea di ciascuno di noi e i suoi relativi vissuti.
Il sostegno psicobiologico di un altro significativo diviene, infatti, tanto più essenziale e legato alla sopravvivenza e allo stato di salute, quanto più precoce è la fase di sviluppo in cui l’individuo stesso si trova, restando comunque un bisogno connaturato nell’uomo lungo tutto l’arco della vita, per via appunto dell’essenza Unheimlich del corpo e di tutte le sue espressioni e manifestazioni.
Ciò è dimostrato dalla scoperta scientifica della stretta interdipendenza tra Sistema Nervoso, Sistema Endocrino e Sistema Immunitario[2] (Panksepp, 2008) dalle recenti scoperte di Fields (2012) sulle cellule gliali, quali principali fautrici del funzionamento mentale, e dall’impatto, dimostrato da Kandel (1998, 2005), che l’esperienza ha sull’espressione genica. Queste evidenze a partire dal presupposto che dal cervello derivano tutti i processi mentali normali e patologici (Kandel, 1999), rafforzano l’idea di un cervello mobile e radicato in tutto il corpo (Pert, 2000) e ci aiutano a corroborare l’ipotesi secondo cui il benessere globale del soggetto dipenda in buona parte dalla qualità della vita relazionale dello stesso, in particolare nel primo periodo di sviluppo (a partire dal prenatale), in generale lungo tutto l’arco della vita.
La salute, così come la patologia, vanno quindi lette in chiave Biopsicosociale. Nessun livello vitale può essere trascurato nella relazione di cura della persona (e non della patologia!). Il paziente ci porta se stesso con tutta la sua storia di vita, quella che ci racconta e quella che ha incorporato, ecco per quale motivo è necessario non trascurare gli aspetti impliciti che connotano la relazione con l’altro.
In sostegno a quanto appena affermato, sappiamo che oggi anche la visione dell’Inconscio si fa più complessa, siamo a conoscenza, infatti, dell’esistenza di un Inconscio non rimosso, che si forma già dal periodo prenatale, quando le esperienze sensoriali del feto, in particolare quelle sensomotorie e uditive, contribuiscono a formare la Memoria implicita di base del nascituro, che lo assisterà appunto alla nascita, permettendogli di vivere in continuità psichica nel passaggio (traumatico) dall’ambiente interno a quello esterno (Mancia, 1981). Sono infatti le strutture neurofisiologiche della Memoria Implicita, ben più antiche rispetto a quelle preposte alle funzioni della Memoria Esplicita, che spiegano le manifestazioni dell’Inconscio non rimosso, la cui formazione andrà a determinare le sorti della salute biopsicosociale del bambino, anche da adulto.
Le esperienze relazionali primarie con la madre, o col caregiver, risultano quindi essenziali per la crescita fisica e mentale del bambino, in quanto andranno a costituire l’essenza della sua Memoria Implicita. L’infante, infatti, non solo apprenderà dei modus operandi, che potremmo definire anche come schemi comportamentali del tutto inconsapevoli, dovuti a specifici pattern interattivo-relazionali, ma avverranno in lui alterazioni a livello neurofisiologico, neurobiologico e nell’espressione genica. Non solo, queste esperienze, cariche dal punto di vista emotivo/affettivo, attiveranno fantasie e difese a livello preverbale e presimbolico, che andranno a costituire quel nucleo inconscio non rimosso del Sé in grado di condizionare gli affetti, i comportamenti, la personalità e il modo di relazionarsi del bambino anche da adulto (Mancia, 2004). Questo in quanto i recettori peptidici, base informazionale dell’emozione, sono presenti in tutto il corpo e questo fa si che abbiano il ruolo di regia al cospetto dell’interdipendenza tra Sistema Nervoso, Sistema Endocrino e Sistema Immunitario. Tali recettori gestiscono la salute generale dell’organismo e, comunicando con il Sistema Immunitario[3], influenzano la vigilanza contro agenti patogeni di vario genere.
Per tale ragione l’esperienza, dipendente dalla qualità della relazione psicobiologica madre-feto prima, e del primo laboratorio emotivo-affettivo madre-neonato dopo, è propedeutica al dispiegarsi di un percorso di sviluppo all’insegna della salute o della patologia. Questo in quanto le esperienze precoci forgiano il nostro funzionamento globale per mezzo di un Imprinting Neurobiologico che si realizza, come premesso, a partire dall’evidenza scientifica della natura plastica del Sistema Nervoso (dalle cui operazioni derivano tutti i processi mentali normali e patologici) al cospetto dell’esperienza, in particolare nelle fasi precoci dello sviluppo, quando ancora le cellule gliali lavorano per creare connessioni nervose e conferire al cervello una struttura completamente formata.
La qualità dell’esperienza relazionale precoce ha, quindi, effetti profondi sulla fisiologia e la neurochimica del nostro corpo, andando a influenzare di conseguenza la maturazione delle capacità cognitive superiori, l’abilità di gestire lo stress e dunque la nostra salute biopsicosociale.
Inoltre, carezze e contatto fisico regolare e prolungato, incidono sulla regolazione immunitaria, non solo mediante un incremento di regolazione emotiva, ma anche attraverso l’aumento di produzione di sostanze neurochimiche quali gli oppiodi endogeni e l’ossitocina (i quali, come è noto, sono sostanze che hanno la facoltà di rallentare la crescita neoplastica).
È quindi ormai più che provato da studi in diverse direzioni, che una relazione positiva, a partire dal periodo prenatale, può rappresentare un fattore protettivo per la salute globale, mentre al contrario, relazioni disfunzionali e traumatiche, possono rappresentare una condizione predittiva rispetto al potenziale sviluppo di patologie psicosomatiche[4] (Fornari, 1981).
In altre parole, meccanismi di difesa dell'Io, necessari per far fronte a sofferenze insostenibili, archiviate nell’Inconscio non rimosso, predisporrebbero l'individuo ad esprimere i suoi conflitti sul versante somatico o sul lato ideativo-comportamentale (disturbi psichici). La negazione, repressione o svalutazione di alcune parti di sé può diventare quindi un limite per la nostra salute a partire dal legame e dalla stretta interdipendenza con i vissuti emotivi che creano quel link imprescindibile tra lo psichico ed il somatico.
A tal proposito è interessante riportare l’ipotesi di Fornari (1985), sulla citopsicosi. L’autore afferma che il trasferimento a livello somatico di traumi insostenibili, che non possono essere espressi o risolti sul versante psichico, potrebbero spiegare anche l’insorgere delle patologie tumorali, che alla luce della sua teoria si configurerebbero come il corrispettivo biologico della psicosi per la mente. Una sorta di Somatopsicosi, così come la definirebbe Mc Dougall (1989), tale per cui si avrebbe l’impazzimento delle cellule come processo biologico espressione di qualcosa che è già nella mente, ma che resta precluso alla coscienza. In tale ottica la patologia tumorale, alla stregua d’ogni malattia, è concepita quale risposta attiva di tipo adattivo, anche se paradossale, può essere concepita alla stregua di una qualsiasi manifestazione patologica psicosomatica o psichiatrica. Infatti nella malattia tumorale le emozioni, con la loro azione integrativa a livello endocrino, immunitario e nervoso, occupano un posto privilegiato nel tentativo di spiegare il cancro come una malattia psicosomatica (Fornari, 1985).
L’esempio del cancro, che oggi costituisce la principale sfida della Medicina, ci permette di comprendere l’importanza di ciò che oggi numerose ricerche attestano, ovvero gli effetti nocivi di un’affettività negativa[5], precocemente esperita, sui diversi processi psicofisiologici e psicobiologici, in particolare sul funzionamento neuroendocrino, autonomo e immunitario.
Da vari anni, i neuroscienziati sanno che la mancanza di un buon legame con la madre nei primi mesi e fino al terzo anno di vita, lascia nel cervello e dunque nel corpo, tracce decisive e produce disturbi gravi, compromettendo la salute globale del bambino anche da adulto.[6]
Ciò su cui andrebbe posto l’accento a questo punto, non è tanto trovare il corrispondente significato emozionale e mentale della malattia, quanto sottolineare che esiste un collegamento tra la forma corporea attraverso cui la malattia si manifesta e la forma psichica del disequilibrio e della sofferenza che potrebbe stare a rappresentare.
Siamo abituati a mettere in luce solo i disagi che il corpo manifesta attraverso le sue diverse e molteplici espressioni attestanti una sofferenza globale, senza tuttavia sondare l’altra faccia della medaglia, quella dei benefici sottesi a tutto ciò. Paradossalmente il corpo si ammala per farci guarire, dunque finché la nostra mente utilizzerà il corpo per modificare le dinamiche relazionali, e avrà solo le sue manifestazioni per poter esprimere la sua sofferenza, sarà difficile poter creare un terreno fertile alla salute: una mente sana è la condizione indispensabile per un corpo sano e viceversa.
Non esiste riduzionismo, non esistono rapporti di causa effetto, esiste la complessità ed è a questa che dobbiamo sforzarci di far fronte. Concluderei, dunque, affermando che, seguire le cure che la medicina mette a disposizione è giusto e sensato, ma attenersi solo a questo può non essere sufficiente, e probabilmente ciò vale anche per l’intervento psicologico. È necessario che i saperi circolino e che in particolare Medicina e Psicologia costruiscano un dialogo aperto e favoriscano l’interscambio delle conoscenze in favore di un approccio olistico, che renda giustizia alla complessità dell’essere umano, in quanto agente corporeo, mentale e relazionale.
Bibliografia
- Fields, R.D. (2012), L'altro cervello. Come le nuove scoperte sul cervello stanno rivoluzionando medicina e scienza. Edizione italiana a cura di Alessandro Zennaro. Torino: Espress Edizioni.
- Fornari, F. (1981), Il codice vivente. Torino: Bollati Boringhieri.
- Fornari, F. (1985), Affetti e cancro. Milano: Cortina.
- Freud, S. (1919), Il perturbante. In Opere, vol. 9. Torino: Bollati Bringhieri (1967).
- Kandel, E.R. (1998), "A new intellectual framework for psychiatry" in American Journal of Psychiatry, Apr;155(4), pp. 457- 69.
- Kandel, E.R. (1999), "Biology and the future of psychoanalysis: a new intellectual framework for psychiatry revisited" in AmericanJournal of Psychiatry, Apr; 156(4), pp. 505-24.
- Kandel, E.R. (2005), Psichiatria, Psicoanalisi e Nuova Biologia della Mente. Milano:Raffaello Cortina.
- Mancia, M. (1981), "On the Beginning of Mental Life in the Foetus" in. J. Psycho-Anal., vol.62, pp. 351-57.
- Mancia, M. (2004), Sentire le parole. Torino: Bollati Boringhieri.
- Mc Dougall, J. (1989), Teatri del corpo. Milano: Raffaello Cortina.
- Panksepp, J. (1998), Affective Neuroscience: The Foundations of Human and Animal Emotions. New York: Oxford University Press.
- Pert, C. (2000), Molecole di emozioni. Milano: Corbaccio.
[1] Freud (1919) sostiene come nella lingua italiana, e nelle altre lingue europee, non esista un termine esatto che corrisponda al significato di quello tedesco: "unheimlich potrebbe essere reso volta a volta con inquietante, sinistro, non confortevole, sospetto, ambiguo, infido, e designa comunque una sensazione di insicurezza, inquietudine, turbamento o disagio, suscitata da cose, eventi, situazioni o persone". Egli definisce l'unheimlich,il perturbante, come "quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare" e convalida questa interpretazione attraverso una interessante analisi linguistica del termine tedesco che in seguito sarà riportata.
[2] In sintesi, l'endocrinologia, l'immunologia e il SNC, tradizionalmente separati con i rispettivi organi (cervello, ghiandole, milza, midollo osseo e linfonodi), sono in realtà uniti in sinergia multifunzionale, mediante i portatori d'informazioni conosciuti con il nome di neuropeptidi. Ci troviamo di fronte ad un sistema integrato, una rete la cui ragion d'essere è l'elaborazione delle informazioni, dove avviene uno scambio bidirezionale ininterrotto di dati che lega cervello, corpo e comportamento sotto la vigilanza emotiva.
[3] Inoltre le cellule immunitarie sono anche atte a produrre peptidi capaci di controllare l'umore e le emozioni e pertanto l'intero organismo (Pert, 2000).
[4] Nell'accezione che tutte le malattie vanno intese in ottica psicosomatica, vista la stretta interdipendenza psiche-soma.
[5] Per approfondimenti: "Chronic Stress that Impairs Reactivityin Rats Also Decreases Dopaminergic Transmission in theNucleus Accumbens: A Microdialysis Study" Simona Scheggi, Ombretta Ghiglieri, and Maria GraziellaDeMontis) Journal of Neurochemistry Lippincott Williams &Wilkins, Inc., Philadelphia 1999.
[6]Il Premio Nobel della Medicina del 2009 è stato ottenuto da Elizabeth Blackburn con una ricerca sul danno ai meccanismi di riparazione dei cromosomi tramite i Telomeri (complessi di DNA e proteine localizzati alle estremità dei cromosomi con il compito di conservare la stabilità dei cromosomi e la riparazione del DNA. La loro lunghezza si riduce ad ogni divisione cellulare ed è correlata inversamente con l'età. Sono Biomarcatori per l'età biologica e possono essere modificati da fattori genetici e epigenetici). La scienziata ha accertato al di là di ogni ombra di dubbio che le vittime di violenza invecchiano biologicamente in modo accelerato anche di 10 anni con conseguente danno alla salute (malattie e cancro) misurabile.
* Psicologa