GIOVANNI
Questo articolo è la parziale documentazione di un incontro di supervisione analitico-clinica in gruppo condotta da Genovino Ferri, psichiatra, analista reichiano.
Un terapeuta presenta il caso di un proprio paziente, gli altri terapeuti intervengono con domande e commenti, il supervisore conduce.
Terapeuta: il ragazzo di cui vi parlo ha 22 anni e lo chiamerò Giovanni.
Giovanni fa un viaggio, parte con alcuni amici, a due dei quali è molto legato.
I due amici speciali, però, durante tutto il viaggio rimangono in disparte, di fatto lo escludono e lui si sente isolato; dopo il ritorno dalla vacanza litiga con loro.
Questa è la motivazione che lo porta da me, circa due mesi orsono per la prima volta: ”Come mai ho avuto questa reazione così forte?”.
La Storia
Giovanni è primogenito, nasce da un parto naturale ed è allattato sino ai 6 mesi. La madre torna al lavoro appena dopo lo svezzamento, per cui lo affida alla tata, che vivrà con loro per molti anni prima di morire prematuramente. Giovanni era all’epoca adolescente e ricorda: “al suo funerale non riuscii a piangere”.
Dell’infanzia dice di non ricordare nulla, solo che all’età di quattro anni nasce la sorella.
A 8 anni inizia a balbettare e anche oggi balbetta se racconta degli episodi particolarmente ricchi di emozioni; non ha un buon ricordo di questi anni, perché in quel tempo gli era molto difficile respirare col torace, lui dice infatti di respirare, ancor oggi, molto di pancia.
Ricorda la delusione provata da bambino “quando i miei genitori tornavano a casa dal loro importante lavoro ed erano troppo stanchi per giocare con me”.
Dice ancora: “non ero rabbioso, perché in verità la rabbia è venuta fuori a 14 anni, quando i miei lasciarono il lavoro e restando più tempo a casa pretendevano che anch’io ci restassi”.
Durante l’infanzia Giovanni viaggia molto e ricorda, come viaggio più bello, la vacanza/studio fatta in Francia da solo con la scuola, senza genitori.
Qualche anno dopo fa la sua prima vacanza da solo con gli amici, ma non la ricorda altrettanto bella, perché “sentivo la responsabilità degli altri; io avevo viaggiato già tanto prima e gli altri no, per cui dovevo stare attento a loro”.
A 19 anni si rivolge, in completa autonomia e senza dirlo ai genitori, ad una psicologa “per cercare di capire meglio perché il mio amore non era corrisposto da una ragazza, ma poi, in realtà, ero andato perché non riuscivo a piangere”.
Gli incontri durano solo pochi mesi perché Giovanni, scegliendo di frequentare l’Università, si sposta e va ad abitare nella città degli studi.
Non sostiene neppure un esame e solo un anno dopo i suoi genitori lo scoprono; è il momento in cui piange per la prima volta.
“Scoppiai in lacrime mentre rimproveravo ai miei genitori di non essere mai stati presenti nella mia vita, di far finta di voler avere una famiglia perfetta, quando invece non lo era”.
Piangerà ancora altre volte, quando il padre, riprendendolo per un motivo imprecisato, gli dice che non sa fare niente, o quando gli ricorda che è troppo basso in altezza.
Mi racconta questi vissuti balbettando e precisa: ”non riesco a discutere con qualcuno, perché mi viene sempre il nodo alla gola, mi libero spesso con il vomito, per me è un atto liberatorio”.
Un ultimo dato: due settimane fa è stato con i genitori ad un incontro con i loro ex colleghi di lavoro, ha conosciuto gente con importante status sociale, tanti imprenditori: “sono stato bene, ma al ritorno ho manifestato una allergia sottocutanea che mi procura ancora molto prurito”. Il dermatologo gli ha prescritto delle prove allergiche.
Giovanni ha spesso sonno e gambe instabili, soprattutto l’arto sinistro. Riferisce che da piccolo, quando dormiva, preferiva mettere un piede in un contenitore: “dovevo sentirmi incastrato, come nei banchi dell’Università, mi dovevo incastrare nel banco per stare comodo e non scivolare”.
Dice di avere spesso la sensazione di avere il torace interrotto, per cui si sente spezzato.
Gli chiedo se nella sua storia c’è qualcuno che lui rincorre e mi risponde “sì, la mamma” e di lei dice che non sopporta soprattutto il tono della voce, come se volesse sottolineargli, ogni volta che sceglie qualcosa, che è sempre qualcosa di stupido.
Nel momento in cui si mette sul lettino, a Giovanni si apre un mondo, quando siamo seduti, l’uno di fronte all’altra, non ci sono più cose da rappresentarmi.
La Supervisione
Supervisore: Quando siete uno di fronte all’altra si chiude un mondo.
Terapeuta: Sì, ma appena si avvicina al lettino e si toglie le scarpe, inizia a raccontare, così riesco a costruire un po’ di relazione, e ancor di più quando propongo un acting.
Supervisore: Ci stai dicendo che Giovanni chiede di stare in posizione differente rispetto alla simmetrica, perché nella simmetrica si chiude. Preferisce distendersi sul lettino e che ti occupi di lui.
Si chiude un mondo e si apre un mondo rispetto al suo sedersi di fronte o distendersi sul lettino. È la rappresentazione di geometrie sceniche molto significative del setting.
Terapeuta: Come faccio a creare una relazione che non sia solo sul lettino per l’acting? Come potrò creare la relazione vis-à-vis?
Supervisore: Vedremo se, e quando proporla!
Abbiamo intanto individuato due posizioni della vostra relazione: una di fronte, in cui Giovanni si chiude, e una distesa in cui Giovanni si apre.
È un’informazione significativa, che ci dice proprio quali segni incisi si attuano e su quali binari bisogna andare per costruire un’appropriatezza relazionale. Cerchiamo allora di raffigurare l’albero della sua storia evolutiva e di tracciare le linee diagnostiche cui siamo solito riferirci: la diagnosi clinica, quella analitico-caratterologica, la diagnosi corporea e quella relazionale.
Che cosa vi ha colpito di più di Giovanni, quali segni incisi del suo fantasma rappresentato ?
Commento: Non vedeva-incontrava la madre, e il padre ancora meno; la grande assenza delle figure genitoriali, in particolare nel secondo Campo.
Supervisore: Presenza-Assenza dei genitori: primo fotogramma.
Domanda: Lui raccontava bugie, oppure non si parlava in casa della sua Università?
Terapeuta: Lui in genere non riferisce, ma non gli sono state fatte neanche domande; solo quando è in difficoltà dice bugie.
Supervisore: Prendiamo questo aspetto e raccordiamolo al suo disturbo, perché è un suo tratto, uno schema di tratto.
Lui non ce la fa, ha un problema di sostenibilità.
Ha addosso una progettualità narcisistica genitoriale implicita, imponente e molto pesante. C’è una domanda che aleggia su di lui da parte dei suoi genitori “seguici ed entra nel nostro progetto”.
Giovanni prova a raccoglierla, ma non ce la fa a sostenerla e loro non si girano indietro per aspettarlo.
Commento: C’è un’allergia vera al progetto dei suoi genitori: quando è andato con loro in quella riunione, alla fine è venuto via proprio con una reazione allergica.
Supervisore: Probabilmente non riesce a sostenere il di-fronte, lo sguardo dell’Altro e il dirimpettare l’Altro con il proprio torace, così da inibirsi anche nella parola.
La posizione distesa pre-toracico-muscolare, invece, gli riapre un mondo, ma quale?
Quello dell’infanzia, dell’essere accudito, del gioco, dell’occupatevi di me, del restituitemi il tempo dell’essere insieme, dello stare con me in quel tempo.
Commento: Quando è sdraiato Giovanni racconta le cose della sua vita, quelle reali, le cose che fa, e si lascia andare, abbassando le difese da allarme.
Terapeuta: Lui balbetta solo quando racconta le cose molto emozionanti e negative, solo quando racconta di frustrazioni, se non addirittura di castrazioni subite.
Supervisore: Altri fotogrammi?
Commento: I piedi incastrati.
Supervisore: “Ho bisogno di un gancio per una stabilità maggiore, per entrare e rimanere nel mondo, non ve ne andate lasciandomi abbandonato e indietro”.
Terapeuta: Ha dormito quasi fino a quindici anni nel letto con i genitori…
Supervisore: Presenza-Assenza…
Commento: Si apre un mondo sui genitori e sulla sessualità!
È una famiglia a rischio patogenetico, come se sul letto ci fosse un punto di incontro eccessivo con i genitori, punto di incontro che non trova nella realtà, quando stanno via in assenza eccessiva.
Commento: Mi pare interessante questa duplicità: lui vuole essere contenuto, per dormire ha bisogno di un contenimento. Dorme nel letto con i genitori, questo mi fare l'associazione con la sua necessità, prima incontrata, di essere incastrato.
Quando Giovanni viaggia esce con felicità, ma incontra l’altro grande problema del non saper equilibrare il bisogno di sentirsi protetto con il desiderio di uscire.
Supervisore: Quale ipotesi per una diagnosi analitico-caratterologica?
Stili di attaccamento/separazione disfunzionali sono evidenti e con essi la vulnerabilità ai passaggi e ai temi di esclusione è indubbia.
Affiorano temi fobici di accettazione nel frattale del dentro, temi di oralità insoddisfatta e insufficiente, e poi un torace spezzato, non dimentichiamolo, ovvero un importante progetto narcisistico appoggiato su di lui e non realizzato, perché segnato da un terreno di relazione primaria insufficiente e molto probabilmente dallo svezzamento brusco dal I campo, la tata. Giovanni non può raggiungere e misurarsi con un padre autoritario, alto e affermato e così fatalmente incontra l’angoscia depressiva, da difetto, sul torace.
Terapeuta: Lui dice “Io sono come mia madre, sono piccoletto, mio padre è grosso”.
Supervisore: Giovanni cade facilmente in posizione depressivo-toracica, ma reagisce anche con oscillazioni fra una posizione fobica e orale difettuale, con vulnerabilità ai passaggi e forti temi di esclusione, e un’altra, che rappresenta un tentativo di raggiungere una posizione fallica, solo un tentativo! Sta di fatto incastrato in una condizione pre-fallica con un torace interrotto, spezzato come dice lui, che non gli permette un collo in genito-ocularità.
Che domande implicite pone questo ragazzo?
Terapeuta : “Mi piacerebbe essere visto e avere più tempo con mia madre”.
Supervisore: Questa è certamente fra le prime in ordine di importanza. Altre domande?
Commento: “Non essere giudicato, essere accettato, per come sono, dai miei genitori”.
Commento: “Aiutatemi a trovare il mio torace”.
Supervisore: Un torace abbandonato e interrotto, nel suo entrare in dominanza fisiologica dopo lo svezzamento, seppur affidato alla tata.
Commento: All’inizio sarà necessario rafforzare questo torace e accoglierlo anche con un maternage.
Supervisore: Certo, Giovanni chiede due mondi: “mamma accoglimi, sostienimi e portami in continuità a raggiungere papà”, di essere accompagnato nel II Campo verso il maschile.
Sul piano operativo possiamo accettare la posizione sul lettino nel setting e non la posizione frontale, ma chiarendo bene, anche nel meta-messaggio controtransferale, che l’analista lo accoglierà e lo organizzerà per metterlo in piedi - et adgredior - andare verso!
Commento: Lui vorrebbe sganciarsi, arrivare in alto, ma non ce la fa perché non sa camminare da solo. Il torace non è pronto per andare nel mondo e i piedi sfuggono, scappano, scivolano. Bisogna fargli sentire che i piedi li ha, ci sono, può radicarli e così appoggiarsi su di loro per camminare.
Dalla posizione distesa sul lettino è bene fargli sentire l’appoggio dei piedi, chiedendogli di piegare le gambe a 90°.
Terapeuta : Quando gli chiedo di mettere i piedi appoggiati, a lui scivolano, scappano, come se davvero li dovesse incastrare.
Supervisore: Prendiglieli e va a cercare insieme a lui, fissandoglieli lì, il dove può poggiarli e sentirli per farsi forza e da lì partire!
Solo più in là Giovanni potrà stare anche di fronte a te.
Sono due suoi mondi rappresentati da due posture differenti e dovranno essere collegati dal suo torace.
È il suo torace che dovrà riempirsi e venir fuori e l’analista dovrà aspettarlo, senza incombere su di lui, perché altrimenti continuerebbe in Giovanni il torace interrotto e spezzato nel suo divenire.
Se il torace dell’analista nel tempo terrà e terrà testa con il collo permetterà a Giovanni di tenere il torace che terrà testa con il collo anche di fronte al padre!
Voglio aggiungere infine che saranno molto utili nel prosieguo dell'analisi reichiana, oltre questa cornice intersoggettiva intercorporea, tutti gli acting appropriati di Vegetoterapia Analitico-Caratterologica, per una maggiore aggressività organizzata ed espressa intelligentemente, ma adesso siamo agli inizi, alle pre-posizioni progettuali.