Numero 2/2013
Un curioso, paradossale ed (in)evitabile equivoco
Marcello Mannella*
Donde le cose hanno nascimento, ivi si dissolvono secondo la necessità.
Pagano infatti la pena e scontano, reciprocamente, la colpa commessa, secondo l’ordine del tempo.
Anassimandro (Reale, 2004, p.97)
Un tema interpretativo che attraversa da tempo sottotraccia l’opera di Reich riscuotendo una certa fortuna, è quello che, fondandosi su una particolare lettura di alcuni momenti della sua riflessione, fa di lui un (inconsapevole) ricercatore spirituale, tanto che la sua opera è a volte accostata alle grandi tradizioni sapienziali di tutti i tempi.
Si sostiene infatti che egli, avendo rifiutato la concezione riduzionista del reale, essendo andato oltre un sentire e una rappresentazione egoica dell’esistenza, avendo affermato la realtà di un oceano di energia cosmica primordiale che tutto connetterebbe, avrebbe sostenuto con forza la necessità per il genere umano di riscoprire, dopo essersene allontanato e pertanto smarrito, la sua costitutiva dimensione esistenziale sovrapersonale.
Occorre dire che questa posizione interpretativa è accompagnata da un’altra, speculare, che facendo centro intorno alla ricerca fisica e medica orgonomica di Reich, sostiene, invece, una considerazione della sua opera radicalmente scientifica e naturalistica. Pur se spesso contrastanti, entrambe le posizioni interpretative condividono la convinzione dell’efficacia e del carattere innovativo della dimensione propriamente clinico-terapeutica (l’Analisi del Carattere e la VegetoTerapia) della riflessione reichiana. Ritengono però che la sua importanza sia tale soprattutto alla luce della considerazione – già presente nello stesso Reich - che rappresenti un momento di passaggio e di preparazione verso altre e risolutive esperienze. Entrambe le posizioni interpretative sostengono infatti, ancora, la convinzione, in parte condivisibile anche se spesso proposta con eccessiva enfasi, che l’attuale condizione dell’umanità rappresenti un momento di transizione verso un’ulteriore e decisiva tappa della sua evoluzione coscienziale.
Coloro che hanno privilegiato la ricerca orgonomica sono generalmente sostenitori di una forma di utopismo di stampo positivistico che trova espressione nel tentativo di individuare le poche e fondamentali leggi dell’energia orgonica affinché, attraverso la loro conoscenza e applicazione in ogni ambito, possano realizzarsi le condizioni per un vivere sociale finalmente sano e armonico, terrestremente felice; quanti privilegiano e leggono l’opera di Reich attraverso la considerazione che rappresenti per molti aspetti un’esperienza di ricerca spirituale credono invece di poter cogliere in essa i presupposti e le anticipazioni per la realizzazione di un nuovo stadio evolutivo, non più biologico ma coscienziale, il solo capace di portare l’umanità oltre il caos e la violenza che hanno caratterizzato la sua storia a causa delle inconsapevolezze legate ad una rappresentazione frammentaria della realtà.
La ragione della coesistenza di queste due diverse e contrastanti direzioni di pensiero trova, a mio avviso, spiegazione in un’altra particolarità della riflessione reichiana. Parallelamente, infatti, ad una chiara ispirazione olistica di fondo, la sua opera presenta la sopravvivenza di una mentalità e di un linguaggio decisamente meccanicisti e scientisti. Si viene così a determinare un effetto di stridente contrasto fra l’ispirazione olistica del suo pensiero, per la quale i diversi aspetti della realtà sono ricondotti ad un processo di funzionamento comune e il suo atteggiamento e linguaggio meccanicisti e scientisti portati a ricondurre la complessità di ogni esperienza ai suoi aspetti quantitativi e meccanici.
Ma torniamo a portare l’attenzione al tema centrale della nostra discussione, quello che fa di Reich un ricercatore spirituale. Sia chiaro, non voglio sostenere che nella sua riflessione siano assolutamente assenti accenti e tematiche di tipo spirituale, quanto piuttosto sottolinearne i caratteri del tutto particolari che finiscono per configurarla come una vera e propria metafisica panteistico-materialista, collocandola, per tanti aspetti, agli antipodi di ogni autentica esperienza spirituale.
Quanti leggono la sua opera attraverso la considerazione che essa rappresenti un’esperienza di ricerca spirituale fanno riferimento all’affermazione dell’esistenza di un oceano di energia orgonica cosmica, spesso accostata al concetto e alla realtà del ki della tradizione cinese, e alla logica olistica del pensiero funzionale. Ma soprattutto interpretano, in maniera del tutto particolare, una figura centrale della sua riflessione, quella di potenza orgastica. Essi considerano l’esperienza dell’orgasmo come un’esperienza in cui, nell’acme del piacere sessuale, caduta ogni forma di controllo mentale, ci si abbandona al flusso delle sensazioni di piacere che sorgono spontaneamente e, in un profondo vissuto fusionale con l’amante, si perviene alla realizzazione di un’esperienza di coscienza allargata capace di farci cogliere il carattere unitario della realtà. L’esperienza del piacere orgastico rappresenterebbe, pertanto, a loro parere, la cifra del carattere sovrapersonale e spirituale dell’opera di Reich, mentre l’affermazione della realtà dell’uomo genitale - una sorta di uomo risvegliato - costituirebbe l’auspicio dell’avvento di un nuovo tipo antropologico, di un’umanità finalmente in grado di attuare una modalità esistenziale funzionale, cioè in grado di vivere in profonda sintonia con la natura dentro e fuori di sé.
E’ proprio qui che essi, a mio parere, cadono in un paradossale equivoco interpretativo. Cerchiamo di chiarirne le ragioni. Concettualmente definito nel periodo psicoanalitico quando Reich si confrontava con Freud circa il problema dell’eziologia delle nevrosi, tale concetto ha finito con l’assumere progressivamente significati che esulano dalla consueta considerazione dell’esperienza sessuale. Il concetto di potenza orgastica si è venuto infatti a costituire come espressione dello stesso processo della vita[1], il filo rosso capace di connettere tutta la vita vivente, per essere considerato infine espressione di una funzione naturale ancora più originaria e cosmica, quella della superimposizione[2] che connetterebbe invece, a parere di Reich, la natura nella sua totalità, vivente e non vivente.
E’ ne La funzione dell’orgasmo (1927) che Reich aveva esposto la sua concezione dell’esperienza del piacere sessuale. Con il concetto di potenza orgastica, egli aveva inteso la capacità di abbandonarsi all’acme del piacere sessuale, “senza alcuna inibizione, al flusso dell’energia biologica, la capacità di scaricare l’eccitazione sessuale accumulata, attraverso contrazioni piacevoli involontarie del corpo.” (Reich, 1985, p.116). La distanza che separava Reich dai suoi colleghi psicoanalisti era ormai enorme: con il concetto di orgasmo egli intendeva qualcosa di qualitativamente nuovo e diverso, che comprendeva ma non si risolveva nella potenza erettiva e in quella eiaculativa. L’esperienza del piacere poteva scaturire esclusivamente dalla profonda sintonia degli amanti, si alimentava del loro abbraccio tenero e sensuale, del profondo desiderio reciproco.
Ciò che risulta però sorprendente nella descrizione reichiana dell’esperienza del piacere sessuale è il fatto che egli, dopo aver significativamente portato l’attenzione alla qualità della relazione fra gli amanti, sposti progressivamente l’accento sugli aspetti fisiologici del processo, considerandoli basilari. A suo parere occorreva bandire ogni fantasia, purificare la sessualità da ogni miscuglio di eccitazione non genitale, occorreva, a suo dire, cristallizzarla. Gli amanti, allora, piuttosto che vivere il loro incontro nel segno dell’arte erotica e impegnarsi nel gioco di alimentare il proprio e altrui piacere, dovevano rivolgere la loro attenzione al flusso delle propriocezioni. Essi vivono pertanto insieme l’esperienza del piacere fino alle soglie dell’acme, dopo di che la relazione lascia il posto alla convulsione orgastica in cui si diventa un frammento di natura pulsante, dimentichi di sé e dell’altro: “In due organismi viventi l’orgasmo è un evento che accade e non qualcosa che bisogna raggiungere. E’ come l’improvvisa protusione di protoplasma di un’ameba in movimento” (Reich, 1994, p.53). “L’orgasmo non è un fatto psichico, ma al contrario un fenomeno che si verifica esclusivamente con la riduzione di tutta l’attività psichica alla funzione vegetativa primordiale” (Reich, 1985, p.145). “Nell’orgasmo non siamo altro che una massa di protoplasma che si contrae” (Ibidem, p.349) “Il vivente nell’orgasmo, non è altro che una parte della natura pulsante.” (Reich,1994, p.479). “Ciò che intendo è l’esperienza psichica, l’esperienza psichica primaria dell’unione di due organismi […] E’ l’esperienza della perdita del nostro ego, del nostro intero mondo spirituale.” (Reich,1952, p.41).
Al contrario, dunque, delle esperienze sapienziali che hanno individuato nella sessualità una via per portare gli uomini ad un più alto stato di coscienza e far vivere loro, attraverso l’esperienza del superamento del proprio io fenomenico, la consapevolezza del carattere e dell’unità spirituale di tutta l’esistenza, per Reich invece nell’estasi orgastica accade la riduzione dell’umana esistenza ad un frammento pulsante ed indifferenziato di energia cosmica primordiale. Delle funzioni superiori, spirituali, dell’uomo non ne è più nulla, la sua esistenza è ricondotta ad uno stato, se fosse realmente possibile, addirittura prebiologico, prevegetativo.
Ora, occorre dire che se è sicuramente fondamentale nell’esperienza sessuale la capacità di abbandono alle sensazioni di piacere senza esercitare alcuna funzione di controllo, è altrettanto vero che non è plausibile, né auspicabile, che si possa vivere un’esperienza di piacere così come egli la descrive. In Reich l’esperienza del piacere non ha più niente di psichico, di umano, ma accade quando ogni forma di coscienza si silenzia nel pulsare meramente energetico del corpo, e si riafferma, annullato il principio di individuazione, uno stato dell’essere antecedente ogni differenziazione e quindi di unità e armonia. La descrizione dell’esperienza dell’orgasmo è emblematica del suo sentire olistico che lo porta a vagheggiare l’anelito fusionale con la natura primigenia e la sessualità, pertanto, si carica oltremodo di significati filosofico-metafisici.
La visione reichiana dell’orgasmo risente, a mio avviso, delle suggestioni della filosofia panteistico-naturalistica di Giordano Bruno.[3] Il filosofo è il cantore della natura nella sua infinita potenza creativa. La sua filosofia è un coraggioso ripensamento della tradizione filosofico-religiosa neoplatonica: le ipostasi divine dell’Uno, dell’Intelletto e dell’Anima del mondo, piuttosto che disporsi in un ordine gerarchico nella graduale perdita di essere, di luce e di perfezione, fino alla zona d’ombra rappresentata dalla materia, sono fuse insieme nella suprema realtà della natura, che come Uno-Universo ricomprende in sé ogni opposizione e distinzione. Dio, per Bruno, è l’universale animazione della natura, è lo spirito universale che interno alla natura stessa, specifica la materia in un’infinità di forme. Ma pur amando la natura in tutti i suoi aspetti, il fine del suo filosofare è l’immedesimazione con la sua infinita potenza creativa. Il filosofo è allora colui che animato da passione va alla sua ricerca e brama di divenire tutt’uno con essa. E’ ne Gli eroici furori, con il mito di Atteone, che Bruno esemplifica mirabilmente l’immedesimazione con la natura naturante. Il mito narra del cacciatore Atteone che andando a caccia in luoghi inconsueti sorprende Diana, simbolo della natura, della sua creatività, intenta a fare il bagno. Per la sua colpa sarà trasformato in cervo e i suoi cani lo sbraneranno. Fuor di metafora, il mito vuol significare che il filosofo nel suo appassionato amore per la natura, compresane la verità, annulla la realtà apparente del principio di individuazione, divenendo tutt’uno con essa, identificandosi con la sua creatività primigenia.
Come non vedere allora nella concezione dell’orgasmo di Reich la trascrizione in termini materialistici della vicenda dell’appassionato amore di Atteone, del suo ardente anelito fusionale con Diana? La visione della natura di Reich ha spiccati caratteri panteistico-materialistici - piuttosto che vitalistici come quella di Bruno - e insieme una forte connotazione in senso finalistico e olistico. Il finalismo che anima la sua concezione della natura è innanzitutto chiaramente palesato nella sua considerazione del processo della conoscenza umana che, in una sorta di trasposizione naturalistica dell’hegeliana Fenomenologia dello spirito, sottende il movimento dell’energia orgonica a pervenire alla coscienza di sé. Così come nella filosofia di Hegel, nella figura fenomenologica della coscienza infelice, lo spirito, attraverso le vicissitudini della coscienza finita umana, interpreta il suo dolore come conseguenza della sua scissione dalla coscienza infinita divina e anela pertanto a ricongiungervisi superando ogni frattura; così, nel pensiero di Reich, nell’esperienza della conoscenza umana l’energia orgonica imprigionata nella finitudine della corporeità anela a pervenire alla comprensione del suo carattere universale.
In Superimposizione cosmica Reich afferma che “sussiste e prorompe in noi una sete di conoscenza più forte di qualsiasi pensiero filosofico, sia esso vita-positivo o vita-negativo. Questa divorante ansia di conoscere può essere sentita come anelito che si propaga fuori dei sensi per andare oltre la struttura materiale del corpo e ci consente di capire che cosa vi è di razionale nella visione metafisica dell’esistenza. […] La sete di conoscere esprime i tentativi disperati, a volte, da parte dell’energia orgonica entro l’organismo vivente, a comprendere se stessa, a divenire consapevole di sé. E nel comprendere i propri modi e i propri mezzi di essere, essa impara a capire l’oceano di energia orgonica cosmica che circonda il prorompere e l’indagare delle emozioni.”(Reich, 1975, p.147). In quest’ottica profondamente finalistica, al processo della conoscenza si affianca l’esperienza del processo sessuale.
Sempre in Superimposizione cosmica, delineando uno scenario cosmologico, Reich sostiene che le diverse particelle di energia orgonica massa-esente nel loro movimento spiraleggiante si fondono dando origine alla materia inerte. Ma una volta imprigionata, l’energia orgonica tende a fuoriuscire, a erompere dal sacco, per ricongiungersi nuovamente all’oceano di energia orgonica cosmica. L’amplesso genitale assolve, a suo parere, a questa funzione; ed è qui che il parossismo finalistico di Reich raggiunge il culmine. Egli sostiene, infatti, che gli stessi genitali umani avrebbero assunto la loro configurazione non in quanto forma atta a portare il seme maschile all’interno del corpo femminile, ma perché solo così sarebbe stato possibile realizzare la funzione della superimposizione. Sarebbe pertanto l’anelito dell’energia orgonica a ritornare all’oceano di energia orgonica cosmica a determinare la configurazione dei genitali, lo struggimento amoroso e la forma eterosessuale della sessualità.
Per comprendere, allora, la funzione del riflesso dell’orgasmo[4] occorre, a suo parere, andare al di là delle interpretazioni materialistiche e finalistiche che la riconducono all’espulsione del seme e considerarla piuttosto dal punto di vista bioenergetico-funzionale: “L’orgone, concentrato nel genitale e tendente in avanti, non riesce a fuoriuscire dalla membrana. V’è una SOLA possibilità di sgorgare nella direzione desiderata: mediante il congiungimento con un secondo organismo […] Vediamo che nella superimposizione degli orgonomi e nella compenetrazione dei genitali, l’estremità sollecitata e perciò insoddisfatta può far defluire le proprie onde d’eccitazione orgonotica nella loro naturale direzione.”(Reich, 1975, p.78). “I movimenti somatici pre-orgastici ed in particolare i guizzi orgastici rappresentano gli estremi tentativi dell’orgone massa-esente dei due organismi, di congiungersi insieme, di COMPENETRARSI. […] Lo struggimento orgastico che tiene un ruolo tanto importante nella vita animale si palesa dunque come espressione di questo ‘tendere elevandosi fuori di se stessi’, come ‘anelito’ ad uscire dalla stretta sacca del proprio organismo. Forse qui si trova la soluzione dell’enigma per cui, tanto spesso, l’immagine della morte rappresenta l’orgasmo. Anche nella morte l’energia biologica fuoriesce dai confini del materiale sacco fisico che la tiene imprigionata. L’irrazionale concetto religioso circa la morte liberatrice, l’aldilà di redenzione acquista in tal modo fondamento reale. La funzione che, nell’organismo naturalmente funzionante viene assolta nella superimposizione sessuale, nell’organismo corazzato ricompare sotto forma di principio concettuale del nirvana oppure dell’idea mistica di redenzione. L’organismo religioso, corazzato, lo esprime direttamente: vorrebbe liberare la sua anima dalla carne. L’anima rappresenta l’eccitazione orgonotica; la carne, i tessuti che la circoscrivono.”(Ibidem, pp.79-80).
Reich ci propone, dunque, la lettura, nei termini delle dinamiche dell’energia orgonica, dell’esperienza sessuale umana e insieme di quei motivi religiosi che enfatizzano l’importanza della dimensione trascendente dell’anima mentre giudicano negativamente la dimensione sensibile della sua esistenza.
Non sembra, però, rendersi conto che potrebbe valere anche il reciproco e leggere, pertanto, lo scenario fisico-cosmologico da lui delineato, l’ipotesi della tendenza alla superimposizione dell’energia orgonica e l’anelito a ripristinare la sua condizione originaria, come la sopravvivenza dell’antico motivo religioso orfico-pitagorico del viaggio che l’anima, caduta nella prigione del corpo e spinta dalla nostalgia per la sua patria celeste, deve intraprendere per purificarsi e liberarsi delle suggestioni della dimensione sensibile del vivere. A tal proposito sono assai significative le affermazioni in cui si sostiene che “tutte le funzioni del vivente […] hanno origine dal contrasto primigenio fra l’orgonome materiale e quello energetico” (Ibidem, p.81), o in cui si afferma che “il vivente ebbe origine dalla natura non vivente, quale particolare degenerazione.” (Ibidem, p.81).
Sono qui chiaramente riproposti in forma particolare il motivo del contrasto fra lo spirito e la carne e il tema della natura sensibile come caduta o degenerazione della realtà spirituale. E’ sorprendente constatare che il Reich della maturità sia pervenuto a negare alcuni fondamentali presupposti della sua riflessione. Ricordiamo che un tema dominante il suo pensiero fin dagli inizi è quello dell’identità funzionale di mente e corpo. Il giovane Reich aveva profondamente sentito il tema nietzschiano del superamento del tradimento del corpo e della terra e come Nietzsche aveva provato a ricongiungere cielo e terra[5]. Ora quel dissidio e quel dualismo sembrano essere riaffermati.
Ancora: il giovane psicoanalista Reich aveva duramente polemizzato con Freud circa la supposta esistenza dell’istinto di morte. Il motivo del loro contendere ruotava intorno alla natura del male e del dolore: essi erano connaturati all’umana esistenza o piuttosto da considerarsi il frutto della sua inconsapevolezza? Il Reich maturo sembra, in qualche modo, dare ragione al suo antico maestro. Infatti se è vero che in Freud il male ha origine nella realtà biologica della pulsione di morte, mentre in Reich assume i contorni di un male metafisico, come conseguenza della perdita dell’originario stato di armonia della pulsazione orgonica cosmica a seguito della comparsa della materia inerte che imprigiona l’orgonome energetico; per entrambi comunque il male è una potenza che sovrasta l’umana esistenza.
Dato tutto ciò appare palese che interpretare la sua opera alla luce di supposti significati di ricerca spirituale è equivocare profondamente il senso della sua riflessione. Nella sua architettura di pensiero, e in maniera decisamente accentuata nella sua riflessione matura, dell’uomo, delle sue funzioni superiori, della sua costitutiva libertà di incamminarsi in un impervio e personale percorso di ricerca dei possibili significati sovrarazionali e sovrapersonali dell’esistenza, non vi è traccia. Nella sua visione panteistico-materialista dell’esistenza non si tratta di realizzare una nuova condizione coscienziale-esistenziale dell’umanità, quanto piuttosto di rivolgersi al passato, di ripristinare una condizione dell’essere primigenia, antecedente il turbamento provocato dalla caduta dell’energia orgonica (dell’anima) nella stretta sacca dell’organismo (del corpo) che così la imprigiona.
Legato alla visione illuminista di una natura stabile, definita ed armoniosa, Reich disconosce ogni possibilità di evoluzione e nega all’uomo ogni senso e funzione, annullandone la specificità ontologica. L’unica funzione che sembra disposto a riconoscergli è paradossale e negativa: quella di operare per superare la caduta e riparare la colpa del principio di individuazione, di porre, cioè, fine al turbamento che la vita manifesta e l’individualità umana – la cui condizione proprio per questo non può che essere contrassegnata dal dolore - hanno provocato all’unità indifferenziata e perciò armoniosa della natura primigenia.
[1] "La funzione dell’orgasmo rientra dunque nel novero del quadriritmo: tensione-carica-scarica-distensione. Abbreviando: funzione t-c. Gli studi fatti ci hanno confermato che la funzione t-c non è peculiare soltanto dell’orgasmo. [...] Ma anche la divisione della cellula obbedisce a questo quadriritmo, non meno del movimento dei protozoi e dei metazoi di ogni specie. [...] La formula dell’orgasmo diventa la formula della vita.” (Reich, 1986, prima ed. 1948, pag. 31).
[2] Il concetto di superimposizione non è chiaramente definito da Reich. Esso sembra indicare sia la dinamica delle particelle di energia orgonica massa-esente che nel loro muoversi vorticoso si incontrano, si attraggono e si fondono (si superimpongono) dando origine alla materia inerte, sia assumere la significazione finalistica della tendenza dell’energia orgonica imprigionata nell’involucro materiale a fuoriuscire attraverso l’amplesso sessuale dalla stretta sacca che la contiene al fine di ricongiungersi con l’oceano di energia orgonica cosmica primordiale.
[3] Reich conobbe e amò particolarmente la filosofia di Bruno. A Bruno dedicò un capitolo dell’Assassinio di Cristo.
[4] Nel riflesso dell’orgasmo “l’organismo […] si abbandona completamente alle sue sensazioni organiche e alle pulsazioni somatiche involontarie del corpo”. (Reich, 1994, p.448).
[5] Si veda Mannella M. Nietzsche-Reich, pubblicato su Rivista on-line “PsicoterapiaAnaliticaReichiana” n.3.
Bibliografia
- Reale, G. (2004),Storia della filosofia greca e romana, vol.1. Milano: tascabili Bompiani.
- Reich, W. (1986, prima edizione 1948), La biopatia del cancro. Milano: SugarCo.
- Reich, W. (1975), Superimposizione cosmica. Milano: SugarCo.
- Reich, W. (1985), La funzione dell’orgasmo. Milano: Sugarco.
- Reich, W. (1994), L’assassinio di Cristo. Milano: Sugarco.
- Reich, W. (1994), Analisi del carattere. Milano: Sugarco.
- Reich, W. (1952), Reich parla di Freud . Milano: Sugarco.