Numero 2/2013
Il Lato Positivo
Luisa Barbato*
“Il lato positivo”, tratto dal bestseller “Silver Linings Playbook” (“L’orlo argenteo delle nuvole”) di Matthew Quick, è stato un film ben accolto sia dal pubblico che dalla critica, conquistando 4 premi all’Indipendent Spirit Awards 2013, il Premio del Pubblico al Toronto Film Festival 2012, ed è valso all’attrice protagonista Jennifer Lawrence un Oscar e un Golden Globe.
Il protagonista del film, diretto da David O. Russell, è Pat Solitano (l’affascinante Bradley Cooper), un uomo finito in ospedale psichiatrico in seguito ad un litigio con la moglie che è degenerato in un’aggressione all’amante di lei.
Dopo la rissa, a Pat è diagnosticato un disturbo bipolare, con oscillazioni tra attimi di forte depressione e frequenti momenti di esaltazione ottimista e propositività idealistica. Dopo otto mesi di ricovero, Pat lascia l'ospedale psichiatrico grazie ad un patteggiamento della pena che lo obbligherà a proseguire quotidianamente la terapia.
Tornato a casa, decide di rimettersi in forma per riconquistare la moglie Nikki che non vuole più vederlo, tra la perplessità dei genitori, in particolare del padre (Robert De Niro) fissato con il football (gli Eagles di Philadelfia), nonché accanito scommettitore e la freddezza dell’ambiente circostante. L’unica che sembra credere in lui è Tiffany (la bellissima e intensa Jennifer Lawrence), una ragazza con cui riesce a comunicare, forse perché anche lei ha gravi problemi comportamentali, con alle spalle un lutto pesantissimo e una storia di dipendenza da sesso e psicofarmaci. Si incontrano due anime in pena, al limite della follia, che trovano un senso grazie all'intraprendenza della ragazza che gli propone un accordo: Tiffany metterà Pat in contatto con l’ex-moglie, ma in cambio lui dovrà aiutarla a realizzare un vecchio sogno, partecipare ad un improbabile concorso di danza che si svolgerà di lì a poche settimane. Pat è riluttante, ma gli allenamenti di ballo lo rimettono in contatto con se stesso e in più la gara si intreccerà con il destino del padre De Niro, rimasto senza lavoro, che sul risultato scommette una grossa somma con la quale aprire un ristorante. Sul finale il ritmo del film diviene sempre più incalzante, dopo un surreale corteggiamento di corsa, danzando e scrivendo missive alla Truffaut, arriva l’attesa esibizione danzante, girata in maniera non molto originale, stile Ballando con le stelle o La febbre del sabato sera. Ma il ballo acquisisce un significato molto più ampio del mero concorrere per classificarsi bene, perché in realtà la posta in gioco è più alta segnando l’uscita per il padre dall’incertezza economica e per entrambi i protagonisti dalla crisi interiore e dall’emarginazione che li attanagliano.
Un happy end, dunque, in pieno stile commedia romantica americana, ma si tratta di una commedia coraggiosa che, sotto l’apparenza leggera, a tratti grottesca, colpisce per il suo occhio dolce e allo stesso tempo drammatico sulla vita di tutti i giorni, sugli avvenimenti ordinari che possono trasformarsi in tragedia, fino alla nevrosi o a rasentare la follia. Abbiamo quindi un film divertente, drammatico e pieno di vita, la cui originalità sta nella capacità di trattare con leggerezza, ma senza banalità, il difficile tema delle malattie mentali. Piano, piano si comincia a condividere il senso di inquietudine e di estraniamento di Pat e si comincia a guardare gli altri dal suo punto di vista. La normalità è molto relativa e la pazzia espone una disperazione e una debolezza che tutti noi sperimentiamo a tratti nella vita. I suoi acting out possono essere letti come l’esternazione di un movimento profondo che a volte non si riesce ad elaborare e mediare con l’ambiente circostante. Pat cammina e corre guardando il cielo, guardando le nuvole, alla ricerca del lato positivo. Come afferma: "Se il sole è coperto dalle nuvole, posso sempre pensare che dopo la pioggia verrà il sereno e che non devo mollare".
Dal punto di vista reichiano questo film presenta alcuni spunti molto interessanti. Il tema del disagio mentale è affrontato in maniera molto realistica, il bipolare Pat è un uomo comune, pieno di inquietudini, che cerca disperatamente di collegarsi con il passato e con l’ambiente circostante. Come Tiffany, oscilla tra solitudine e tentativi, anche maldestri, di comunicare con gli altri, di affrancarsi da una famiglia ansiogena e piena di nevrosi. Per una volta tanto, il cinema prende le distanze dal dualismo che vede la follia come un percorso o tragico e irreparabile, o comica e grottesca. Per Pat il disturbo è una soluzione disfunzionale a un tema di integrazione e comunicazione, si tratta di una soluzione intelligente che il suo organismo ha nel tempo elaborato. Come si esce da questo equilibrio disfunzionale? Tramite la relazione con Tiffany, è facile osservare, ma l’aspetto che qui ci interessa sottolineare è che questa relazione viene pian piano costruita su un’espressione fisica, corporea: il ballo. Pat rientra nella corporeità tramite gli allenamenti di danza moderna; all’inizio è molto impacciato, il suo corpo è visibilmente goffo, irrigidito in un’immobilità che è la materializzazione della sua fissità al passato e ai connessi vissuti traumatici. La mandibola è tesa, lo sguardo fisso, i movimenti rallentati, ma il ballo, che possiamo leggere come una metafora del ristabilirsi graduale della circolazione neurovegetativa, lo rimette in contatto con le emozioni represse, con le possibilità espressive del suo organismo.
L’arte si sa è anche un veicolo metaforico degli accadimenti interiori, così a traghettare Pat verso una nuova consapevolezza vi è una guida, un mentore, impersonato da Tiffany. Forse Pat non sarebbe riuscito a superare il suo disagio se non avesse avuto lei accanto che lo intercetta su una relazione di sfida e poi di complicità. Ma si tratta di una complicità corporea, di un dispiegarsi del movimento e con esso delle emozioni. Lo scioglimento del corpo segna lo scioglimento della posizione ossessiva che scivola verso gli spunti paranoici, questo permette a Pat di aprire il suo sguardo, di rientrare nel mondo. La gara finale di ballo è, forse volutamente, un po’ ridicola, improbabile, segnata da un narcisismo e un esibizionismo che non toccano i due protagonisti del film, che infatti sono felici di un punteggio mediocre.
Possiamo dire che il narcisismo è una posizione a più alto livello di energia e organizzativo che forse i nostri due protagonisti non possono ancora permettersi, ma più idealmente posiamo anche dire che un reale ristabilirsi di un equilibrio neurovegetativo fluido e neghentropico oltrepassa il bisogno contemporaneo di auto-affermazione narcisistica. Il ballo ha la finalità di esprimersi, di ritrovarsi e trovare l’amore, obiettivi rispetto ai quali l’esibizione è ben poca cosa.