Numero 2/2022

METODO FELDENKRAIS

Consapevolezza del movimento e nuove mappe neurali

 

FELDENKRAIS METHOD

Movement awareness and new neural maps

DOI 10.57613/SIAR26

 

Simona Arcidiacono[*]

Abstract

     Il seguente articolo si interessa di chiarire i punti fondamentali del metodo Feldenkrais e mette l’accento su come in esso siano presenti importanti intuizioni circa il funzionamento cerebrale e le sue capacità trasformative, a partire dalla nascita del metodo, legato strettamente alla biografia del suo fondatore.

Vengono condivisi alcuni aspetti di cui ho fatto tesoro nell’esperienza di tale pratica ed infine viene approfondito un tema che accomuna tale metodo alla psicoterapia: la neuroplasticità.

Parole chiave

     Mente-Corpo – Sperimentazione – Autocura – Limiti-Possibilità - Consapevolezza del movimento – Apprendimento-Riapprendimento - Mappe Neurali e Schemi Motori - Neuroplasticità.

 

Abstract

    The following article is concerned with clarifying the fundamental points of the Feldenkrais method and emphasizes how it contains important insights about brain functioning and its transformative abilities, starting from the birth of the method, closely related to the biography of its founder. Some aspects are shared that I have treasured in the experience of this practice and finally a theme that unites this method to psychotherapy is deepened: neuroplasticity.

 Keywords

    Mind-Body – Experimentation – Self-care – Limits-Possibilities - Awareness of movement – Learning-relearning - Neural Maps and Motor Patterns - Neuroplasticity.

 

Partiamo dalla storia

     Moche Feldenkrais, a causa di un grave infortunio al ginocchio avvenuto durante una partita di calcetto, che provocò una lesione dei legamenti crociati del ginocchio (Ambrosio, 2004), rischiò di non poter più camminare. Iniziò così a studiare e sperimentare su di sé un modo per guarire, diventando l’ideatore del metodo Feldenkrais (1991) che si diffuse intorno agli anni ‘50 e che prende il suo stesso nome. Egli fu uno scienziato originario dell’attuale Ucraina, studioso di fisica, ingegneria elettrica e meccanica, fu anche esperto di arti marziali. Similmente prima di lui, verso la fine dell’800, l’australiano F.M. Alexander elaborò un metodo, il metodo Alexander, per risolvere dei problemi vocali. (https://www.tecnicalexander.it/metodo-feldenkrais/). 

     Sembra che lo stesso Feldenkrais attinse anche al metodo Alexander nella sua ricerca. È interessante notare come entrambi i metodi siano nati partendo da un’esigenza di curare se stessi, su un piano fisico, e che il modo in cui hanno proceduto, poiché ai tempi non c’erano delle conoscenze abbastanza approfondite in tal senso, sia stata la sperimentazione su di sé. Si parla di una possibile operazione per Feldenkrais, che non avrebbe avuto molte prospettive di riuscita, ma anche di un lungo periodo di riposo che gli fu prospettato dai medici di allora. Egli però cercò un’altra strada. Iniziò a studiare e a provare differenti movimenti su di sé. Procedette non concentrandosi sulla parte dolente ma piuttosto su tutta l’organizzazione del suo corpo, considerandolo come un sistema e andando a modificarne i vari equilibri. Si accorse così che lavorare sull’organizzazione aveva degli effetti su quella parte dolente. “Moshe lavorava alla teoria dei sistemi in fisica, così applicò questo modo di pensare al lavoro che faceva su se stesso per il suo ginocchio” (https://feldenkrais.it/moshe-feldenkrais/storia-di-frank/).

     Così come attinse al Judo di cui era cintura nera, iniziando ad utilizzare le leve del corpo, le sue torsioni e in generale a sfruttare il minimo movimento con il minimo sforzo, ma in esso ricercando una maggiore efficacia. I limiti che gli diedero i medici di allora per tutelare il ginocchio, come quello di non piegare la gamba o di non poggiarsi su di essa, divennero le condizioni per i nuovi movimenti che andava provando.

      Feldenkrais mise insieme una conoscenza che andò via va approfondendo delle varie parti del corpo e di come esse si collegassero tra di loro. Approfondì inoltre un’altra via: come questi movimenti fossero legati a strutture neurali che possono essere ricostruite facendo percorsi di movimento differenti. Di questo parleremo meglio alla fine dell’articolo.

Alcuni accenni sul metodo Feldenkrais

     Due le modalità con cui si può sperimentare il metodo Feldenkrais (1991): le lezioni individuali che prendono il nome di integrazione funzionale e segnano il passaggio dal lavoro che Feldenkrais fece su di sé al lavoro sulle altre persone, e poi vi sono le lezioni di gruppo, chiamate anche CAM, Consapevolezza Attraverso il Movimento. Si rivolge a tutti: bambini, anziani, adulti. Nella sessione individuale l’insegnante interviene con un contatto con il corpo dell’altro, muovendolo lui stesso. Francesco Ambrosio, psicoterapeuta reichiano e insegnante di Feldenkrais, sintetizza gli aspetti pregnanti di questa modalità: “l’insegnante utilizza il tocco per inviare stimoli sensoriali e informazioni motorie al cervello dell’allievo” (Ambrosio, 2004, p.48) comunicando così con il suo sistema nervoso, attraverso il contatto corporeo (Doidge, 2015). L’insegnante “impiega il tocco sia per stimolare, nell’allievo, la consapevolezza di qualche sua parte, sia per dare sostegno ai muscoli in modo che smettano di lavorare, sia per applicare precise e delicate forze allo scheletro, sia per creare, toccando contemporaneamente due o più parti del corpo dell’allievo, quelle connessioni neurologiche che attivano il riapprendimento di schemi funzionali” (Ambrosio, 2004, p.48).

     Nella sessione di gruppo l’insegnante guida i partecipanti attraverso il linguaggio: attraverso descrizioni precise o anche immagini visive e sensoriali il movimento da compiere. La posizione base è stesi sulla schiena con le gambe piegate e i piedi appoggiati a terra, abbastanza simile a quella degli acting reichiani. In questa posizione “gli ampi muscoli antigravitari (gli estensori della schiena e i muscoli della coscia) si rilassano e tutte le abitudini motorie innescate nel tentativo di contrastare la gravità per mantenere la postura eretta vengono  eliminate” (Doidge, 2015, p.239). Nella sessione di gruppo l’apprendimento avviene attraverso i diversi tentativi e le sperimentazioni del movimento, ma vi è anche la possibilità di guardare come gli altri componenti del gruppo stanno eseguendo il movimento. Vengono richiesti movimenti piccoli, lenti e precisi, affinché si possa sentire con attenzione il modo in cui si stanno compiendo, anche ad occhi chiusi per poter stare più a contatto con il proprio sentire. Più lo stimolo è debole e più possiamo percepire le sue caratteristiche e i suoi cambiamenti. Non ci deve essere sforzo né dolore, perché altrimenti la percezione del movimento viene sporcata e il sistema nervoso non può apprendere, non può esserci consapevolezza. “Lo sforzo compulsivo provoca movimenti meccanici, automatici, che diventano abituali e insensibili al mutare delle circostanze” (ibidem, p.236-237), chiamati anche movimenti “parassiti”(ibidem, p.237). Se non si riesce a fare qualche movimento particolare, se si prova fatica o dolore, ci si ferma e si prova ad immaginarlo.

     E’ significativo l’uso che viene fatto dell’immaginazione per apprendere dei movimenti: viene chiesto dall’insegnante se, in questo immaginare un determinato movimento in cui si viene guidati, si riescono ad avvertire le varie sensazioni legate al movimento stesso. Si può lavorare ad esempio con il movimento fisico su un lato del corpo e agire sull’altro lato soltanto attraverso l’immaginazione. Grazie agli studi sui neuroni specchio di Gallese (2006), e in generale gli approfondimenti delle neuroimaging (Doidge, 2007, p.220), sappiamo che pensare o immaginare un’azione, così come compierla, attiva le stesse aree cerebrali, da qui il legame tra immaginare un movimento e i miglioramenti nell’esecuzione dello stesso.

immagine Feldenkrais Arcidiacono senza didascalia     Un altro aspetto importante sono le pause. Favoriscono la sperimentazione del movimento come se fosse fatto per la prima volta e quindi il poter eseguirlo momento per momento con più attenzione e percependolo meglio. Infatti ridurre lo sforzo aumenta anche la nostra sensibilità, la capacità di sentire. Da un lato la pausa si lega all’autoregolazione, all’ascolto del proprio corpo. Prima di stancarsi si è invitati a fermarsi e riposare distesi sul tappetino. Dall’altro lato la pausa è un momento che favorisce l’apprendimento e tra un movimento e l’altro è richiesto espressamente dall’insegnante di fermarsi ed ascoltare i cambiamenti corporei. “Ciò ha lo scopo di far sentire le differenze, di permettere al SN (Sistema Nervoso) di elaborare le nuove informazioni raccolte, di rilasciare la tensione che si è creata” (Ambrosio, 2004, p.87). Il momento iniziale e il momento finale sono di ascolto degli appoggi corporei in una posizione supina e successivamente anche in piedi e camminando, riscontrando dopo un’ora di lezione i numerosi cambiamenti nella percezione di sé e del proprio corpo. Vi è alla fine la possibilità di una breve condivisione dell’esperienza.

     Una domanda che viene posta durante il momento dello scanning corporeo è se si avvertono delle differenze, tra una parte del corpo e un’altra, o tra il momento iniziale e finale. Poter percepire le differenze nel proprio corpo rispetto ad esempio agli appoggi, alle tensioni, alla lunghezza, ecc, permette di accedere ad “informazioni nuove che consentono al cervello di ristrutturare l’immagine di sé e gli schemi di azione” (ibidem, p.42). Per quanto riguarda il tipo di movimenti che vengono indicati è interessante come Feldenkrais studiò l’apprendimento del movimento nel suo nascere, negli animali e nei bambini, soffermandosi in particolar modo nella fascia del primo anno di età (Ambrosio, 2004). I movimenti appresi nei bambini, notò Feldenkrais, avvengono a seguito di numerose sperimentazioni e in maniera casuale (Doidge, 2015). Ambrosio sottolinea come Feldenkrais ”suggerisca di ritornare a compiere i movimenti dei bambini: strisciare sulla pancia, gattonare, rotolare sulla schiena… Essendo molto antichi questi schemi sono radicati nel nostro funzionamento neurologico molto più profondamente che non la stazione eretta e la camminata bipede” (Ambrosio, 2004, p.75).

 

Esperienza del metodo

     “Il MF (Metodo Feldenkrais) è un’occasione […] per scoprire come siamo fatti e come agiamo, per attingere dentro di sé sensazioni di profondo benessere, vigore ed equilibrio, e scoprire, una volta riemersi e tornati con i piedi per terra, che possiamo muoverci ‘come se nuotassimo nell’aria’” (Feldenkrais in Ambrosio, 2004, p.84). Voglio condividere alcuni aspetti dell’esperienza di questo tipo di pratica.

Ruolo degli occhi

     Accompagnare il movimento con gli occhi, con lo sguardo, permette di ampliarlo. Gli occhi si collegano anche al collo: se gli occhi rimangono fermi durante i movimenti, il collo può irrigidirsi e non accompagna il movimento, se gli occhi si muovono anche il collo può partecipare al movimento.

Contrazioni

     Lo sforzo può farci stare in apnea, può concentrarsi nell’area della bocca, della mandibola, della lingua, delle mani, irrigidendo queste parti, o nello spazio tra gli occhi che si corruccia. Quando inoltre proviamo a fare un movimento più difficile e faticoso il respiro tende a bloccarsi.

Respiro

     Vi è una costante attenzione al respiro durante la pratica, e di come esso si combina con il movimento. Il respiro in espirazione aiuta ad accompagnare i movimenti nel loro inizio, soprattutto i più difficili. Accennare un sorriso con la bocca può permetterci di prendere più aria. Riusciamo ad ascoltare il nostro respiro mentre respiriamo o nell’osservarlo proviamo in qualche modo a gestirlo, a controllarlo?

Ascolto e attenzione

     L’attenzione portata sulle singole parti del corpo è come se le facesse risvegliare. Queste parti quando vengono nominate mentre si sta eseguendo un movimento, è come se si riattivassero e iniziassero a muoversi. Prima invece queste stesse parti rimanevano ferme mentre si compieva lo stesso movimento. Viene chiesto com’è il movimento. E’ rigido, a scatti, è fluido, è lento, è coordinato tra le parti?

Lentezza, gentilezza e piacere

     La lentezza del movimento permette a poco a poco di sentire meglio quello che si sta facendo mentre lo si sta facendo e porta uno stato generale di rilassamento e una percezione di piacere. La gentilezza verso sé e verso i propri limiti diventa un balsamo verso le parti più rigide, allentando anche temi legati al giudizio. Judo, di cui Feldenkrais fu il diffusore in Europa, significa “via della gentilezza”.         Scrive Doidge citando Feldenkrais: ”Non essere severo, impaziente di evitare ogni movimento sbagliato. Il tipo di apprendimento previsto dalla Consapevolezza attraverso il movimento è una fonte di sensazioni piacevoli, che perdono la loro chiarezza se qualcosa ne offusca il piacere […] non è possibile evitare gli errori” (Doidge, 2015, p.237).

Apprendimento

     Questo rapporto con l’errore è alla base dell’apprendimento nel Feldenkrais.    Si impara ad imparare, si scopre il modo in cui ci si approccia a quei movimenti nuovi e, attraverso quest’attenzione prolungata di cui parlavamo prima, momento per momento, si può andare oltre l’automatismo motorio, tenendo attiva la consapevolezza. L’apprendimento è fatto di tanti aspetti. Si sperimentano altri modi per realizzare lo stesso movimento. Si scopre la complessità di quel movimento e i collegamenti tra le parti del corpo che mette insieme. Il movimento è scomposto in tanti altri più piccoli che si sperimentano e si differenziano tra di loro. Si attivano nuove parti del corpo come dicevamo.                                                                                                       Alla fine della lezione si può riuscire a eseguire movimenti che all’inizio non si era in grado di fare o ad ampliarli.                                                                    Sono inoltre differenti e soggettive le sensazioni che si possono avvertire a fine lezione: un radicamento dei piedi al terreno, minori tensioni corporee, maggiore equilibrio, un senso di maggiore altezza, apertura delle spalle, espansione del torace che spesso nella vita di tutti i giorni non è molto mobile. Ne risulterà un movimento più organizzato e più leggero. Aumenta la percezione di unitarietà del corpo, la propriocezione, il contatto con il proprio sentire.

Il legame tra il metodo Feldenkrais e la psicoterapia:

la neuroplasticità

     Il metodo Feldenkrais (1991) non è uno uno strumento psicoterapeutico ma ha degli effetti strettamente legati al benessere della persona. Un primo livello può attenersi ai dolori articolari e fisici che si riducono praticando questo metodo. “Molti problemi motori insorgono a causa di una rappresentazione inadeguata di alcune aree del corpo nelle mappe cerebrali” (Doidge, 2015, p.235). I risultati quindi sembrano legarsi alla riorganizzazione degli schemi motori della persona. Gli effetti che si avvertono alla fine di un incontro non riguardano soltanto la postura, ma in una visione unitaria mente e corpo, si osserva anche come lo stato mentale ed emotivo si trasformano. I pensieri sono più sgombri, c’è un maggior senso di pienezza, di piacevolezza, una maggiore presenza. 

     Quando lo stesso Feldenkrais iniziò a sperimentare i risultati di ciò che aveva imparato anche sugli altri riscontò una corrispondenza delle tensioni muscolari con quelle psichiche, come lo stesso Reich (1942) aveva riconosciuto. Un esempio di ciò è quando, lavorando sul torace di un ammiraglio inglese, questi incominciò a piangere, riemerse in lui un ricordo molto forte di quando aveva 4 anni (https://feldenkrais.it/moshe-feldenkrais/storia-di-frank/ ). Sappiamo bene come Reich legava le tensioni muscolari alla storia della persona e alle memorie di cui è portatrice. Molto interessante sembra essere nel metodo Feldenkrais il lavoro sugli schemi neurali attraverso il movimento, che aprono le prospettive del cambiamento. Feldenkrais, ancor prima che fosse scientificamente dimostrato, intorno alla metà del ‘900 intuisce la plasticità del cervello che sperimenta attraverso i vari riapprendimenti corporei. La neuroplasticità è la “capacità del sistema nervoso di adattare la propria struttura in risposta a una varietà di fattori e di stimoli interni o esterni” (https://www.treccani.it/vocabolario/neuroplasticita_res-47195b20-89da-11e8-a7cb-00271042e8d9_%28Neologismi%29/).

     Norman Doidge, psichiatra e ricercatore americano, ha sottolineato come la neuroplasticità abbia faticato ad affermarsi nell’ambito scientifico (2007). Verso la metà del 900, infatti, si sono succeduti una serie di studi che culminarono poi nel 2000 con le scoperte di Eric Kandel che vinse il premio Nobel dimostrando che attraverso l’apprendimento avviene un cambiamento delle strutture cerebrali. Kandel studiò il cervello di una lumaca di mare, l’Alypsia, che mette in atto un meccanismo simile a quello del cervello umano.

     Il cervello per circa 400 anni è stato considerato come immodificabile, soprattutto nelle fasi di vita più avanzate. Successivamente una fase più plastica venne ricondotta soltanto all’ apprendimento nei bambini che riuscivano a farlo senza sforzo, l’ambiente esterno veniva riconosciuto come influente nel bambino che stava via via formando le sue strutture cerebrali e non sapeva ancora cosa fosse più importante immagazzinare. Solo in seguito, attraverso numerosi esperimenti, si è riusciti ad evidenziare come anche nell’adulto e nell’anziano la neuroplasticità sia attiva, e di come sia necessario piuttosto più tempo per attivarsi.

     L’adulto ha nel tempo costruito una serie di mappe cerebrali derivategli dall’ esperienza, che si sono stabilizzate. Esse occupano un certo spazio nei circuiti cerebrali, e per imparare qualcosa di nuovo vanno riorganizzate. Questi studi permettono di concepire in maniera diversa lesioni cerebrali alla nascita o dovute a dei danni successivi. Disturbi e problematiche considerate per tanto tempo incurabili possono trovare dei modi appropriati d’intervento, in un’ottica di apprendimento e riapprendimento.

     “Se le mappe potevano essere modificate […] allora c’era motivo di sperare che chi aveva problemi congeniti in determinate aree cerebrali – disturbi dell’apprendimento, problemi psicologici, ictus o lesioni cerebrali – avrebbe potuto sviluppare nuove connessioni neuronali, inducendo i neuroni sani ad attivarsi simultaneamente e quindi a legarsi fra loro”. (Doidge, 2007, p.76)[1]

     Possiamo soffermarci adesso su alcuni aspetti particolarmente significativi che riguardano il funzionamento cerebrale e le sue capacità trasformative, nel testo “Il cervello infinito” di Doidge (2007), che hanno dei punti di contatto con il metodo Feldenkrais.

 - L’esercizio, così come l’attenzione risultano fondamentali nei processi di apprendimento. In particolar modo la concentrazione favorisce i cambiamenti a lungo termine, mentre i processi più automatici permettono dei risultati a breve termine.

     Questi aspetti rispetto al metodo Feldenkrais potrebbero suggerire come esso riesca ad andare in profondità rispetto al funzionamento cerebrale.

- Vengono evidenziati dei neurotrasmettitori fondamentali per i nuovi apprendimenti: l’acetilcolina e la dopamina che aiutano a consolidare i vari cambiamenti che si sono realizzati nelle mappe cerebrali. “La dopamina rinforza il premio, e l’acetilcolina aiuta il cervello a entrare in sintonia e a rinforzare la memoria” (Doidge, 2007, p.84). Abbiamo visto che la piacevolezza nell’esperire il metodo sia un aspetto molto presente.

- Disapprendere è più difficile che imparare, per la natura competitiva delle mappe cerebrali che una volta acquisite tendono a stabilizzarsi e per sostituirle o trasformarle è necessario più tempo. Gli schemi motori con cui si confronta Feldenkrais sono già acquisiti da qui la necessità di un tempo e di numerosi errori per poter re-imparare.[2]

     Quanto tutti questi aspetti possono trovare delle corrispondenze con il funzionamento psichico e quindi poi dei risvolti terapeutici? Quanto cambiare il nostro modo di percepirci e di muoverci nel nostro corpo influisce nel modo di muoverci nel mondo e nelle relazioni che viviamo?

     Potremmo ricollegarci anche alle abitudini che abbiamo acquisito, buone e cattive, guardandole come percorsi tracciati nelle nostre mappe cerebrali. O ancora possiamo riferirci ai pensieri ricorrenti fino ad arrivare a quelli ossessivi, che nel loro ripetersi si rafforzano, rinforzano le stesse reti neurali. Viene evidenziato inoltre il ruolo dell’azione e del pensiero nell’attivare circuiti funzionali o disfunzionali, ulteriore elemento che ritorna nel metodo Feldenkrais. Questi aspetti quindi, legati a mettere in atto nuovi comportamenti, tracciando nuove strade, lavorano insieme all’ attenzione e alla consapevolezza e sono le basi dei processi di cambiamento.

     Per concludere vorrei fare riferimento al concetto di “fondamentalità” del metodo Feldenkrais, citato da Ambrosio (2004), di cui lo stesso Feldenkrais parlava per distinguere il suo metodo da altre pratiche. In questa fondamentalità possiamo ritrovare la comprensione di “leggi e principi dell’agire degli esseri viventi e della loro organizzazione psicofisica” (Ambrosio, 2004, p.8) e non solo di come intervenire per apportare dei nuovi apprendimenti, favorendo quindi un processo naturale di apprendimento che realizza le varie potenzialità della persona. Feldenkrais invitava ad imparare non da lui ma dal movimento stesso e dalla sua percezione.

     Credo che proprio questo attingere al funzionamento del Sé, inteso come unità mente corpo, per poter permettergli di esprimersi in maniera piena e vitale sia un aspetto di profonda connessione con Reich.

 

 

Blibliografia

Ambrosio, F. (2004), Il metodo Feldenkrais. Como Pavia: Xenia, Ibis

Doidge, N. (2007), Il cervello infinito. Ponte alle Grazie, Milano: Adriano Salani Editore.

Doidge, N. (2015), Le guarigioni del cervello. Le nuove strade della neuroplasticità: terapie rivoluzionarie che curano il nostro cervello. Ponte alle Grazie, Milano: Adriano Salani Editore.

Feldenkrais, M. (1991), Le basi del Metodo per la consapevolezza dei processi psicomotori. Roma: Astrolabio, Ubaldini.

Reich, W. (1942), La funzione dell'orgasmo. Milano: SugarCo.

 

[1] Alcuni esempi sono il recupero dell’uso delle mani in casi di paralisi, come il miglioramento della funzionalità delle braccia nell’80% di pazienti colpiti da ictus (Doidge, 2007, p.162). Vi fu anche Barbara Arrowsmith Young, una studiosa canadese che nacque con una asimmetria cerebrale, disturbi dell’apprendimento e nell’area del linguaggio. Con il tempo la Arrowsmith, similmente a Feldenkrais, ideò una serie di esercizi specifici che le permisero di ottenere sorprendenti miglioramenti. I suoi risultati li mise a frutto poi nel 1980 a Toronto dove aprì la Arrowsmith School in cui tantissimi bambini e ragazzi vengono sottoposti a dei piani di esercizi individualizzati che permettono loro di migliorare enormemente le loro prestazioni così come la loro qualità della vita (Ibidem).

[2] Rispetto alle testimonianze raccolte su chi riesce a superare le limitazioni da cui è partito, si evidenzia inoltre come l’atteggiamento mentale sia molto importante, in particolar modo il passaggio da “non ce la posso fare” a “posso farcela”, che viene rafforzato dai miglioramenti che vengono sperimentati, anche in persone che erano arrivate a pensare che non sarebbero più riuscite a fare quella determinata azione (Doidge, 2007).

“Quello che impari alla fine delle due settimane, quando riesci ad abbottonare e sbottonare velocemente un camice da laboratorio, è che è possibile modificare il proprio atteggiamento mentale rispetto a ciò che si è in grado di fare! (ibidem, p.168).

    Tutto questo è in linea con ”’Ognuno può migliorare’, se gli si dà la possibilità di sentire meglio se stesso e di scoprire alternative più funzionali” (Ambrosio, 2004, p.8)  nella visione di Moshe Feldenkrais.

 

[*] Psicologa, psicoterapeuta S.I.A.R..  Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. Indirizzo professionale: via Domenico Scinà, 51, Palermo.

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