COS’ È UNA FRONTIERA?
WHAT IS A BORDER?
DOI: 10.57613/SIAR07
Gruppo Antropologia e Psicoanalisi[*]
(Buenos Aires, San Paulo, Oxford, Macerata, Roma, Viterbo, Urbino).
Volentieri pubblichiamo la testimonianza di un interessante lavoro di gruppo interdisciplinare e internazionale su un tema di grande attualità: le migrazioni. Stimolo anche per noi, analisti ad orientamento corporeo, per ulteriori approfondimenti alla luce della corporeità, che è sempre la prima realtà che, del diverso, dell’altro da noi, sperimentiamo.
Abstract
L’obiettivo dello scritto è descrivere i concetti di ‘frontiera’ emersi nella ricerca dell’‘identità gruppale’, intrapresa dal gruppo di studiosi che qui scrive, eterogeneo per età, formazione, lingua e provenienza. Muovendo dalla teoria di W.R. Bion e dalla critica di F. Corrao, l’attenzione analitica sui gruppi è necessaria, a causa dell’incremento della coscienza etico-sociale-politica e della esperienza analitica tout court (dilatazione culturale, eventi emotivi di massa). Pertanto, si ripercorreranno le fasi di studio del gruppo che si è confrontato con le grandi tematiche dell’umanità e della sua disumanità, disturbanti e perturbanti (tanto da rischiare l’implosione), focalizzandosi sulla ‘migrazione del diverso/lo straniero’, che viola le frontiere geo-politiche. Concependo l’altro come «implicato nella vita mentale dell’individuo o come un oggetto o come un modello», si illustreranno le oscillazioni gruppali e individuali nell’esperienza della ‘migrazione’, attivatrice di frontiere culturali e soggettive, Infine, la prospettiva psicoanalitica verrà arricchita da quella neuro-scientifica, letteraria e storico-religiosa, cosicché, valutando gli agiti e gli insight individuali e gruppali, si determini una idea multifocale di frontiera del dentro e del fuori, dell’individuale, del gruppo e dell’umanità.
Parole chiave
Gruppo – Frontiera – Migrante - Approccio multifocale – Psicoanalisi – Neuroscienze – Letteratura.
Abstract
The Work describes the concepts of 'frontier' that have emerged in the search for “group identity”, undertaken by the group of studious who write here, heterogeneous in age, training, language and origin. Starting from the theory of W.R. Bion and the critique of F. Corrao, the analytical attention to groups is necessary, due to the increase in ethical-social-political consciousness and the analytical experience tout court (cultural dilatation, mass emotional events). Therefore, we will retrace the phases of study of the group that has faced the great themes of humanity and its inhumanity, disturbing and unsettling (so much so as to risk implosion), focusing on the “migration of the different/the stranger”, which violates geo-political borders. Conceiving the other as "involved in the mental life of the individual either as an object or as a model", the group and individual oscillations in the experience of “migration”, activating cultural and subjective frontiers, will be illustrateed. In the end, The psychoanalytic perspective will be enriched in such a way that, valuing the movements and individual/group insight’s, a multifocal view of the frontier can be determined from within and without, the individual, the group and the humanity.
Keywords
Group – Frontier – Migrant – Multifocal approach – Psychoanalysis – Neuroscience – Literature.
Come scrive Corrao nella presentazione dell’edizione italiana del libro di Bion Esperienze nei gruppi: “L’attenzione analitica sui gruppi è divenuta sempre più necessaria … I grandi fenomeni emotivi di massa come il panico, l’esaltazione, il furore, il lutto, sono nel mondo d’oggi facilmente canalizzati in fitte reti di messaggi a circolazione diffusa e continua che penetrano spesso intrusivamente ed inconsciamente nella sfera percettiva individuale, determinando alterazioni ed omogeneizzazioni persistenti o fugaci” (Bion,1971, p.5).
Lo stesso Freud scrisse: “L’altro è invariabilmente implicato nella vita mentale dell’individuo o come un oggetto o come un modello, o come un aiuto, o come un opponente. … L’atteggiamento dell’individuo verso i genitori, i fratelli, le sorelle, la persona amata, il medico … e tutti i rapporti che sono oggetto dell’investigazione analitica possono a buon diritto essere considerati fenomeni di ordine sociale”. (Freud, 1921, p.11)
Bion afferma la necessità, per la comprensione completa dei fenomeni mentali, di una sorta di visone binoculare dell’individuo, raggiunta attraverso la combinazione dei due metodi complementari costituiti dall’analisi individuale e dall’analisi di gruppo.
È importante tener conto dell’ampiezza della visione di Bion, poiché lo psicoanalista inglese pensa che la sfida della comunità alla quale deve far fronte non è da cercarsi fuori da sé stessa, bensì nei rapporti emozionali inconsci che giacciono fra i loro membri, e la crescita di questa comunità dipenderà dal modo in cui li riuscirà ad affrontare. Bion sostiene che l’uomo non ha grandi problemi nello stabilire rapporti con l’esterno in accordo alla legge. Il problema, dice, subentra quando si deve adeguare alle oscillazioni emozionali inconsce che esistono nei rapporti umani (Bion, 1996). Spesso l’Uomo per affrontarle si rifugia nell’aumento del controllo delle leggi esterne e questo si conclude con l’applicazione di un controllo stretto. Fatto che non risolve il problema.
James Hillman, psicologo americano, ci ha esortato a guardare fuori dalla finestra del nostro studio di psicologia. Cosa troviamo uscendo dalle nostre quattro mura? Il mondo. In particolare un mondo pieno di sintomi. Affacciandoci alla finestra troviamo l’essere umano in un mondo più vasto, troviamo l’inconscio collettivo e la sua disumanità. “Quello che resta fuori è un mondo che si va deteriorando. Perché la terapia non se n’è accorta? Perché la psicoterapia è lavorare soltanto su ciò che sta dentro l’anima. Rimuovendo l’anima dal mondo e non riconoscendo che l’anima è anche nel mondo, la psicoterapia non può più fare il proprio lavoro” (J.Hillman, 1998, p.5).
Il nostro gruppo, nato a Roma nel 2016, in seguito ad un Seminario dal titolo “Dialoghi sulla Felicità”, ha iniziato a riflettere sull’ampio tema “Antropologia e Psicoanalisi”, da cui prende il nome, e si è sempre confrontato con le grandi tematiche dell’umanità e della sua disumanità, in particolar modo della migrazione. Perdendo e inserendo partecipanti, tra scontri e incontri di diverse discipline si è lasciato penetrare da tematiche disturbanti e perturbanti, affrontato le dinamiche delle frontiere interne ed esterne della psiche, tanto da rischiare un’implosione. Il gruppo, nato per studiare l'infelicità e/o il desiderio di felicità delle moltitudini di emigranti non desiderati che violano le frontiere, ha tentato di trovare una visione/un pensiero/una frontiera di pensiero gruppale di fronte alla emigrazione del diverso/straniero, delle culture varie che nell'era della globalizzazione, della velocità dei trasporti possono inquinare, decostruire l'identità della cultura territoriale invasa. Il gruppo ha esperito la mancanza di una visione, percezione, assimilazione della diversità del nomadismo odierno. Il gruppo si è trovato senza una frontiera mentale e fisica nell'osservare gli Altri da Noi. Il gruppo si è pensato con un’identità che va oltre le frontiere linguistiche, religiose, politiche ed economiche. Pensare un'identità oltre le teorie psicoanalitiche ed antropologiche, ricercando un pensiero arcaico, nomade. Il tutto in un non luogo, nello spazio skype, dove nasce un pensiero pensato tra l'Argentina, il Brasile, l'Inghilterra, e vari luoghi d'Italia. Tra Psicoanalisti IPA, Ricercatori dell'Università di Cambrige e Macerata e Psicoterapeuti di Roma, Viterbo e Urbino.
L’esperienza del gruppo è un’esperienza di frontiera, un crocevia di culture, esperienze, età, formazione e discipline, che oscillano nella costante tensione tra individuazione personale e identificazione gruppale. Le 3 angolazioni percettive che si sono incontrate per dialogare sono Psicoanalisi, Neuroscienza e Letteratura. Quest’ultima apparentemente outsider, si è rilevata particolarmente importante nel difficile compito di trovare un equilibrio poiché ogni esempio letterario condensa in sé una frontiera migrante. Il continuo confronto tra interno ed esterno, la relazione volente o nolente tra autore, testo e società replica in versione pratica il rapporto di ricerca tra identità dei pensatori singoli e quella di un gruppo che si ricostruisce secondo un processo in migrazione statica.
Le frontiere sono anche luogo di creatività, e non solo per l’identità (Winnicott, 1971). Ne è esempio la nascita della biochimica (Kuhn, 1962) ma anche questo stesso gruppo, che nonostante prospettive e discipline differenti (a volte incompatibili nel livello pratico e in quello epistemologico [Heidegger, 1977]), ha prodotto prospettive nuove individuali ed un nuovo linguaggio di gruppo. Mentre la psicoanalisi trova frontiere nella psicologia del profondo (Freud, 1927); le tecniche di neuroscienza moderna trovano frontiere percettive tra diversi oggetti, e tra il noi e loro (Carhart-Harris et al., 2014; Molenberghs & Louis, 2018; Hart et al., 2000). Tuttavia non ci scordiamo che Freud prevedeva la rilevanza tra le due discipline (Freud, 1920), e che la psicoanalisi ha contribuito ad ispirare studi che definirono la neuroscienza moderna (Kandell, 1999).
L’esperienza della migrazione rende possibile distinguere le forze di vita e quelle di morte. La speranza di una vita migliore, l’apertura a nuovi orizzonti, l’incontro con una cultura e una lingua nuova sono tutte frontiere da dover valicare. Questi aspetti si scontrano con la disillusione, lo sradicamento doloroso, le perdite irrimediabili e i sentimenti di umiliazione e ribellione. Tali fratture nella continuità dell’esistenza rendono spesso necessaria la messa in atto di ulteriori frontiere, questa volta interne, i meccanismi difensivi di dissociazione e frammentazione per far fronte alla vergogna, la paura e la confusione, meccanismi difensivi che suggeriscono un’immagine di frontiere dietro cui nascondersi dal dolore. La tristezza può diventare un affetto congelato, quando il dolore è impossibilitato ad esprimersi, quando la frontiera non è permeabile, e la trasmissione del trauma si propaga allora per diverse generazioni.
Il gruppo ha vissuto queste continue oscillazioni tra dentro e fuori, il lavoro si è caratterizzato nella costante ricerca di un’identità, di un nome e di obiettivi, similmente al proprio oggetto di studio: il migrante.
I vissuti che circolavano come descrizione del lavoro con i migranti, erano specchio dei vissuti interni al gruppo: frustrazione, solitudine, impotenza e smarrimento. Tanto da rischiare una disgregazione.
Un nuovo obiettivo, un intento comune, una frontiera da valicare insieme, è diventato un oggetto catalizzatore. La produzione di un paper per la FEPAL[1] ha donato nuova linfa vitale al gruppo, infuso potere generativo e incanalato l’impotenza in potenzialità, agire piuttosto che rimuginare. Tuttavia al fianco delle sensazioni salvifiche degli obiettivi, che ci avrebbero donato una agognata identità e unito nel perseguire lo scopo, scongiurando il disgregamento, si accostavano vissuti persecutori e giudicanti rispetto la FEPAL. Una riattualizzazione controtransferale di ciò che Virginia de Micco definisce il “trauma culturale del migrante”.
La migrazione si configura essenzialmente come un trauma ‘identitario’ in cui per comprendere la “portata traumatica dell’esperienza migratoria occorrerà innanzi tutto rifarsi alla dimensione costitutiva dell’esperienza culturale per la psiche individuale. […] La cultura è in questo senso corpo-affetto, dimensione letteralmente incorporata e che struttura la percezione/rappresentazione della propria corporeità/affettività e della stessa immagine di sé”, sin dalle relazioni primarie. (V. De Micco, 2017).
Per Lacan l’essere umano è immerso nel linguaggio e diviso in sé stesso fin dall’inizio della vita: non c’è un tempo precedente all’inserimento del bambino nel simbolico.
Il soggetto umano quindi si costituisce nel campo dell’altro in cui viene a immettersi ed è perso da sempre nel linguaggio, in modo singolare ma anche secondo linee strutturali, i cui fili si perdono nelle generazioni (Lacan, 1964).
Se la migrazione ha a che fare con la rifondazione del Sé, con una crisi identitaria e con il senso di appartenenza, dobbiamo riflettere che è all’inizio del viaggio che il soggetto diventa “Migrante” e lo resta fino al superamento della frontiera, momento di incontro con l’Altro. Quando il “Migrante” incontra lo sguardo dell’Altro viene definito “Immigrato”.
Si tratta di coordinate che segnano l’ingresso del Migrante nel nuovo mondo: come egli si situa da Immigrato nella costellazione significante dei desideri e delle paure dell’Altro, e come ritrovi un accomodamento vivibile, necessario a ogni tornante dell’esistenza.
Come può, dunque, l’immigrato ricostituirsi nel luogo dell’Altro che gli preesiste?
Riprendendo la De Micco si tratta dunque di un delicatissimo e incessante processo di riformulazione identitaria che rende i migranti costitutivamente a rischio di un ‘cedimento’ della struttura egoica. (De Micco, 2017) Un cedimento a cui noi come gruppo siamo stati molto vicini, in un lungo e tumultuoso processo di definizione e ridefinizione di obiettivi, di identità e di superamento delle frontiere legate al trattare un argomento complesso e insidioso come quello della migrazione avendo punti di vista e discipline differenti, che pian piano hanno costruito legami sufficientemente stabili.
Sembra quasi che all’interno del gruppo ogni membro abbia messo in scena i vissuti della migrazione, così come nella stanza di terapia si gioca con il paziente, o come gli autori che giocano con i personaggi che prendono vita nei romanzi, o come i miti che giocano con la simbolizzazione e la rappresentazione dei vissuti umani, o nella scienza che gioca a rompere la frontiera del conosciuto.
Per la sua caratteristica di giocare, in una situazione relativamente protetta dalla dimensione del come se, offre la rara opportunità di sperimentare le proprie capacità senza dover troppo temere le conseguenze e di apprendere nuove competenze e identificare quegli aspetti personali che maggiormente influenzano. Nel gruppo ci sono stati forse numerosi agiti e solo la successiva riflessione di questi può favorire profondi insight individuali, non solo in merito al ruolo agito, ma anche riguardo alle proprie dinamiche all’interno del gruppo di lavoro. Allo stesso tempo il gruppo, attraverso l’agire insieme e il pensare può accrescere la propria consapevolezza sia circa il modo in cui affronta la situazione oggetto del pensare, sia circa le dinamiche relazionali interne e sottese al gruppo. Una continua oscillazione tra le frontiere del dentro e del fuori, dell’individuale, del gruppo e dell’umanità.
Diversi tipi di ansia possono comparire: ansie persecutorie di fronte al cambiamento, al nuovo ed all’ignoto, ansie depressive che danno luogo al lutto per gli oggetti abbandonati e per le parti perdute del Sè, e ansie confusionali dovute all’incapacità di discriminare tra “il vecchio" e il “nuovo”, tra il “dentro “e il “fuori”. Queste crisi possono figurare una situazione di "cambiamento catastrofico” (Bion, 1996) che può portare ad una catastrofe oppure ad una evoluzione arricchente e creativa nel senso di una rinascita rigenerativa.
Il nostro pensare alla migrazione, all’identità e alle frontiere reali e/o percepite, sicuramente non ci ha portati ad una soluzione del problema, tuttavia è un tentativo di conoscere e riconoscere ciò al di là della frontiera, come scrive Henry Roth nel suo Romanzo Chiamalo sonno: “Se riesci a tradurre in parole ciò che senti, esso ti appartiene!”.
La recente emergenza sanitaria ci ha messo di fronte a nuove frontiere da esplorare, sono aumentate le distanze interpersonali e nello stesso tempo si sono abbattute le distanze digitali. Come pensare il concetto di frontiera al di là di un paradigma territoriale? Cioè, dalla complessità di un paradigma essenzialmente culturale? Il nostro secolo si fonda su tre eventi: la rivoluzione di internet- secondo Luciano Floridi (2017), ciò porta in scena la soggettività “on life”; l’11 settembre del 2001- il giorno che ha fatto crollare la frontiera fra Occidente e Oriente; e la pandemia attuale che ha evidenziato la vulnerabilità della nostra civilizzazione. Tutte e tre insieme ci pongono la domanda: qual è la frontiera fra i nostri concetti e le nostre credenze, le nostre illusioni?
BIBLIOGRAFIA
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[*] Alessandro Cicconi, Psicologo clinico e Psicoterapeuta, (Urbino/Pesaro). Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. ;Elena Santilli, Docente di storia della letteratura presso il dipartimento di beni culturali e turismo dell'Università di Macerata e Ricercatrice presso Fondazione Fedrigoni di Fabriano, (Macerata). Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; Elisabetta Zamparini, Psicologa clinica e psicoterapeuta, (Viterbo). Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; Letizia Barbieri, Psichiatra, Psicoanalista, Membro Società Psicoanalitica Italiana (SPI)/ International Psychoanalytical Association (IPA), (Roma) Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; Liliana Ferrero, Psicoanalista, Asociación Psicoanalítica de Buenos Aires (APdeBA)/International Psychoanalytical Association (IPA), (Buenos Aires) Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.">Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. ; Marcio de Freitas Giovannetti, Psicoanalista, Sociedade Brasileira de Psicanálise de São Paulo (SBPSP)/International Psychoanalytical Association (IPA), (San Paolo) nnetti@uol; Maria Pina Orlando, Psicologa clinica e Psicoterapeuta, (Roma) Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.">Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. ; Mario Giampà, Psichiatra, Psicoanalista, Gruppoanalista, Membro Società Psicoanalitica Italiana (SPI)/ Sociedade Brasileira de Psicanálise de São Paulo (SBPSP)/International Psychoanalytical Association (IPA), (Roma) Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.">Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; Peter Coppola, Psicologo, Dottorando in Neuroscienze a Oxford, (Oxford) Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.">Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
[1] Federazione Psicoanalitica America Latina