Numero 2/2018

LO SPAZIO E IL TEMPO INTRAUTERINO SONO PRIMO TERRENO DI RESILIENZA

Simona Paradisi[*]

 

     Attraverso la gravidanza il bambino, prima embrione, poi feto, cresce e vive le sue prime esperienze nel ventre materno, si nutre, si relaziona con la madre, sente, impara. In questo tempo intrauterino il feto ha una comunicazione speciale con la mamma, un dialogo biologico-ormonale-corporeo-affettivo-sensoriale. Un dialogo profondo, non disturbato dal rumore delle parole. Ogni attimo della vita intrauterina è esperienza che il feto memorizza. La madre, oltre ad offrirgli un costante nutrimento, gli trasmette sensazioni, emozioni, che entreranno a far parte del suo bagaglio esperienziale e contribuiranno alla formazione del carattere del futuro bambino. Nel modello psicoterapeutico analitico reichiano della S.I.A.R., il tempo intrauterino rappresenta la prima fase di sviluppo che l’individuo attraversa lungo il suo viaggio evolutivo e la madre rappresenta il primo campo energetico con cui il Sé si relaziona. La funzione di primo campo madre – utero è un dato sia biologico che psichico; se a livello biologico la madre ha la cruciale funzione di offrire un utero accogliente per permettere l’armonico sviluppo del nuovo nucleo energetico, a livello psichico crea uno spazio interno dove fiorirà un profondo legame comunicativo tra i due e dove il piccolo potrà essere pensato, fantasticato ed amato ancora prima della nascita. Durante il periodo di gestazione si assiste ad una continua ristrutturazione del sistema poiché il piccolo Sé, che prende forma di embrione, poi di feto, non potendo stare più sulle pareti uterine per via della crescita, si sposta verso il centro, cambiando modalità di assumere energia e sostanze dall’ambiente, si servirà presto del funicolo ombelicale per continuare ad assorbire energia dal campo utero madre. È evidente una attitudine neghentropica nel piccolo nucleo energetico che lo spinge costantemente a riorganizzarsi per assumere nutrimento dall’ambiente esterno. Sarà la specifica energia dell’utero, del bacino e della madre che nutrirà la sua grande oralità primaria.

       L’ombelico, la cicatrice che tutti noi conserviamo del funicolo, rappresenta la zona del nostro corpo da cui abbiamo assunto il nostro primissimo nutrimento: la nostra prima grande bocca.

       Secondo il modello psicoterapeutico analitico reichiano della S.I.A.R., il quantum di energia responsabile del gradiente, mezzo specifico che condiziona l’assorbimento dei liquidi uterini e determina la potenzialità espansiva del nuovo nucleo energetico, è strettamente dipendente da alcune variabili, come la vitalità dell’ovulo, dello spermatozoo, della persona e dalla qualità del big-bang, l’esplosione iniziale che avviene durante il processo di fecondazione (Ferri, G., 2012). Il processo di densificazione del Sé raggiunge valori molto elevati nel primo periodo embrionario – fetale, per poi progressivamente attenuarsi fino allo svezzamento. L’ancestralità di questa variabile basica la rende fondamentale: essa definisce stati energetici del Sé a bassissima, bassa, media e alta reciprocità – densità, tanto da costituire una premessa e condizione di tutte le relazioni che il soggetto potrà stabilire con gli oggetti successivi.

       Insieme alle altre variabili determinanti il carattere dell’individuo, la densità della relazione oggettuale primaria costituirà un terreno favorevole ad un corretto sviluppo della persona o all’impianto di possibili disturbi psicopatologici quali stati psicotici, borderline (Sé a bassa o bassissima densità), depressivi o nevrotici (Sé a media o alta densità). Infine, ancora dipendente dallo spessore di questa prima relazione oggettuale, è la possibilità di raggiungere stati/stadi evolutivi più avanzati (Ferri, G., 2012).

      La Speranza II Gustav KlimtLa Speranza - Gustav Klimt Dunque, la buona qualità della relazione madre-feto, a partire dal periodo prenatale, viene così a costituire l’Imprinting neurobiologico e neurofisiologico che determinerà l’equipaggiamento con cui il figlio verrà al mondo, quanto accade nella finestra temporale intrauterina, il nutrimento offerto al piccolo Sé, le sensazioni, emozioni, vissuti trasmessigli, entreranno a far parte del bagaglio esperienziale del feto e contribuiranno alla formazione del carattere del futuro bambino,  costituendo terreno di Resilienza, determinante per la sostenibilità agli stress adattivi futuri.  

       Dopo i nove mesi vissuti nel tepore del liquido amniotico, nell’oscurità quasi assoluta, il bambino si prepara per affrontare il suo viaggio verso la luce, comincia lentamente a percorrere il canale del parto.

       Il parto rappresenta il primo significativo passaggio che l’individuo sperimenta nella sua vita. Momento di passaggio dalla vita tutta racchiusa nel campo uterino alla vita nel fuori sconosciuto, separazione dal campo energetico corporeo emozionale della madre-utero e approdo nel campo della madre-seno, madre-occhi, madre-cuore. Nel modello analitico reichiano della S.I.A.R. questo momento riveste una cruciale importanza nella storia di ciascun individuo poiché il come della nascita risuonerà significativamente sulle sue future separazioni. Il vissuto e le dinamiche relazionali di quell’esperienza lasciano un’impronta che tenderà a ripetersi nei successivi momenti di separazione che l’individuo incontrerà (Ferri, Cimini, 2012).

       Di seguito, attraverso l’esposizione di un caso clinico, ho illustrato l’importanza del legame fra i vissuti del feto, durante la gravidanza e durante la nascita, e la problematica che il paziente mi porta.

 

Riccardo

       In un caldo pomeriggio di fine luglio ricevo una telefonata: era Riccardo, un ragazzo di 24 anni che, con voce tremolante, mi chiede di fissare un colloquio “in breve tempo”, poiché ha bisogno che qualcuno lo ascolti. Si sente “bloccato, quasi immobilizzato, di fronte a qualsiasi scelta ed opportunità che la vita gli presenta; sente di vivere una situazione che lo opprime e da cui è difficile prendere aria”. Fissiamo un appuntamento per la successiva settimana.

       Riccardo arriva con qualche minuto di anticipo, è abbastanza teso, appare imbarazzato, spesso arrossisce e non riesce a tenere il contatto oculare con me. Ha dei lineamenti molto delicati, capelli castani, occhi e carnagione chiari. Primogenito, lavora come operaio presso l’officina meccanica di famiglia.

       Conscia dell’importanza che riveste per ciascuno di noi la primissima fase intrauterina, dedico i primi incontri con Riccardo a ricostruire la sua storia, a partire dalla relazione di coppia dei genitori. Dai dati raccolti evinco che si trattava di una coppia genitoriale complice, energica, giovane che, dopo pochi mesi dall’inizio della loro vita coniugale, decidono di avere un bimbo sostenuti dall’amore e dall’entusiasmo delle rispettive famiglie di origine. Immagino, dunque, il concepimento di Riccardo, come un atto di amore, un big-bang esplodente che ha trasmesso al nuovo nucleo una buona dose energetica.

       Riccardo descrive la sua gravidanza come “serena”, la madre, investita da una tempesta di emozioni, nei primi mesi, quando ha realizzato di avere in grembo il suo piccino, ha iniziato a fantasticare il suo visino, il colore dei suoi occhi, la scelta del nome, il corredino da preparare e la culletta che avrebbe accolto il piccolo al suo arrivo al mondo. Questi erano i pensieri che hanno accompagnato la madre durante i nove mesi di gestazione; pensieri ed emozioni che condivideva con quanti andavano a farle visita a casa. Deduco che l’utero materno, che per 9 mesi ha ospitato Riccardo, sia stato accogliente, caldo, nutriente e protettivo.

        È nel cruciale momento di passaggio, alla nascita, che Riccardo vive un’esperienza che, nella sua storia di vita, diventerà un segno inciso. Alla nascita, l’entusiasmo, la gioia, che hanno caratterizzato i mesi precedenti, lasciano il posto alla paura, all’incertezza, all’allarme. Il parto, primo passaggio significativo dal punto di vista biologico e psicologico, è descritto da Riccardo come “traumatico”. A tal proposito mi riferisce: ”Io e mamma ci stavamo rimettendo la pelle!”. Riccardo nasce con qualche giorno di ritardo, con parto naturale. Egli nel suo tragitto verso il mondo stava per “soffocare”, aveva il cordone ombelicale intorno al collo ed i medici hanno fatto fatica a “tirarlo fuori” fino al punto di fargli male ad un piedino. Immediatamente dopo il parto, la madre ha delle importanti conseguenze cliniche in seguito ad una forte emorragia, che la costringono a stare, per circa 10 giorni, in terapia intensiva; il piccolo, invece, con il suo colorito bluastro per le complicanze respiratorie, viene trasportato urgentemente in un altro ospedale dove resta per 40 giorni in incubatrice. Lo stesso funicolo che fino a pochi istanti prima costituiva il principale legame fisiologico del piccino con la sua mamma, ora, al momento dell’entrata nel mondo gli impedisce di respirare, “di prendere aria!!”.

       La nascita è il frutto di un processo di collaborazione tra madre e bambino: è al bambino che spetta di sapere quando è pronto, è lui a dare avvio agli eventi che innescano i cambiamenti preparatori al travaglio e al parto; quando ha raggiunto la maturità di tutti gli organi, manda un messaggio preciso alla madre: inizia a secernere la propria ossitocina che dà all’organismo materno il segnale di partenza, di solito quattro o cinque settimane prima di nascere il bambino assume il controllo della situazione e comincia a dettare le sue regole. Il suo cervello chiama in causa diversi apparati materni perché si attivino e lo aiutino a portare a buon fine il viaggio più importante della sua vita: la nascita. Ma è alla madre che spetta l’ultima parola: anche lei deve essere pronta, è lei che decide quando reagire ai segnali del feto, è lei che stabilisce il momento in cui il bambino nascerà (Schmid, V., 2005).

       La madre di Riccardo, probabilmente, non ha risposto ai segnali del suo bambino, ha temporeggiato nella fase simbiotica con lui trattenendolo a sé ed ostacolando, così, il suo ingresso al mondo. Dopo il parto[1], solitamente, si ha una madre emozionalmente aperta e pronta a ricevere il piccolo che attivamente si muove verso di lei, per Riccardo, invece, non è stato così, non ha potuto incontrare lo sguardo della sua mamma. Agitazione, paura, tensione e sguardi allarmati, animavano l’atmosfera negli attimi seguenti al parto, queste sono state le sue primissime impressioni.

       Consideriamo, inoltre, che in questa primissima fase evolutiva, pur trovandoci in un tempo presoggettivo abbiamo l’amigdala[2] che registra quanto accade nella relazione con l’Altro da Noi, pertanto tutto sarà registrato nella memoria implicita del nascituro.

       Durante i primi mesi di lavoro con Riccardo lo aiuto a leggere la sua storia, mettendo a fuoco principalmente i suoi momenti di passaggio significativi. Da questo lavoro si deduce che un po’ tutte le sue fasi evolutive sono in eccesso, ovvero, egli permane più del dovuto nelle diverse finestre temporali. Riccardo non ha frequentato la scuola materna e l’inserimento alla scuola dell’obbligo, per lui prima esperienza di passaggio dal secondo campo famiglia al terzo campo sociale, è ricordato con un vissuto di malessere. Dopo aver conseguito la maturità, importante momento di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, piuttosto che restare nell’officina paterna, gli sarebbe piaciuto “andare all’Università, spostarsi in un'altra città” ma poi, “i forti sensi di colpa provati nei confronti della famiglialo scoraggiavano, impedendogli “di andare”.

       Il movimento di Riccardo verso le principali stazioni evolutive è stato difficoltoso, egli si è trovato di fronte ad una carica energetica materna intensa, ad un forte investimento su di sé che, se da un lato lo ha sostenuto, dall’altro, non gli ha favorito lo svincolo e la separazione dalla mamma, generandogli una coartazione, una riduzione del suo movimento vitale ed una mancata individuazione. Il quadro clinico che si delinea si colloca in una diagnosi di Nevrosi d’angoscia primaria[3].        

       Riccardo, quando arriva da me si sente “compresso”, egli, probabilmente, sente dentro di sé una esigenza vitale di uscire fuori, di camminare nel mondo, ma nel momento in cui si incanala corre il rischio di “rimetterci la pelle”, si avvia ma poi c’è un segno inciso viscerale (il suo parto “traumatico”) nel cammino verso che lo allarma profondamente e lo fa tornare indietro. Sin da subito, nonostante il malessere che egli lamentava, ho sentito la sua buona densità energetica primaria, conferitagli dal caldo utero materno che lo ha nutrito durante i mesi di gestazione.

        Lo spazio ed il tempo intrauterino sono stati per lui un primo terreno di resilienza. Il processo di densificazione del Sé, nelle sue varie possibilità di spessore, come accennato sopra, raggiunge valori molto elevati nel primo periodo embrionario – fetale, periodo questo che Riccardo mi ha sempre descritto con tinte lucenti. L’utero materno caldo, accogliente e nutritivo che lo ha sostenuto durante la gravidanza, gli ha, senza dubbio, conferito un Sé a media/alta densità di energia che gli ha concesso un sano sviluppo nelle finestre evolutive successive e una buona carica vitale. Conscia della sua buona densità di energia, mi sono, allora, interrogata su cosa fare per rispondere alla sua richiesta di aiuto. Come sostenerlo nel separarsi dal caldo utero per andare nel mondo?

       Nel lavoro con Riccardo ho utilizzato uno strumento specifico, la Vegetoterapia Analitico Caratteriale. L’attivazione corporea che ho proposto a Riccardo è stata quella del Naso/Cielo con oggetto fisso luminoso. Fermata la lucina sul punto di convergenza di Riccardo, gli ho chiesto di guardarla per poi spostarsi con lo sguardo sulla punta del suo naso. Poi tornare alla lucina e poi di nuovo al naso e così via.

       Vedere la lucina generalmente significa vedere l’Altro da sé, per Riccardo significava vedere la madre come separata dal proprio sé. Vedere il naso significa vedere se stesso, individuarsi e sperimentare la capacità di ri-prendersi e tornare nei propri confini. La luce, inizialmente vissuta da Riccardo come richiamante, con il tempo, è diventata per lui il mondo verso cui andare. Questo acting gli ha permesso di vedere la madre nella sua posizione trattenente nei suoi confronti e, poi, gli ha anche consentito di individuarsi. La mia posizione ferma e stabile, che permetteva ed approvava tale movimento, ha permesso a Riccardo di sperimentare il suo processo di individuazione e, poi, di separazione.                         

       Nel corso dei mesi egli ha iniziato a “sentire il coraggio di osare e fare nuove esperienze”, intraprende il suo percorso di svincolo dalla famiglia: pur restando nell’officina meccanica paterna, sceglie di occuparsi dell’aspetto contabile dell’azienda e delle relazioni con i fornitori, ruoli che sente più consoni a sé e comincia a fantasticare l’idea di prendere un bilocale per andare a vivere da solo. Col passare del tempo, complice anche la mia giovane età, sentivo di aver costruito con Riccardo una relazione autentica, lui mi ha sin da subito riconosciuta come alleata nel suo viaggio verso il mondo. Ferma nella mia posizione strutturante, avvertivo la fiducia nel suo avanzare leggero, quasi danzante, verso altri spazi, altri lidi, spostandosi pian piano dall’orbita familiare.

 

 

 

[*] Psicologa, Psicoterapeuta S.I.A.R.

[1] È fondamentale nei primissimi momenti dopo il parto che il bambino resti con la madre finché non si è ripreso dalla fatica del parto e non si è ambientato al nuovo habitat che lo circonda. Le primissime impressioni sensoriali che il bimbo vive in queste ore, il viso e la voce delle persone che incontra rimangono profondamente impresse a causa dei livelli altissimi di adrenalina e formano il suo imprinting di base (Schmid, V., 2005).

[2] L’Amigdala, inclusa da MacLean nel Sistema limbico (cervello dei mammiferi che ci permette le emozioni, i sentimenti, la relazione e l’affettività), è posta sopra il tronco encefalico, è l’archivio principale della memoria implicita, ed è in grado di reagire prima ancora che la corteccia prefrontale sappia che cosa sta accadendo (MacLean P.D., 1984).

[3] Secondo la lente fornitaci dal modello analitico reichiano della S.I.A.R., si tratta di una nevrosi da eccesso (di madre) soprattutto in fase oro labiale; l’atteggiamento materno seduttivo e richiamante ha agito su Riccardo, un Sé a buona densità di relazione oggettuale intrauterina, impedendogli separazioni funzionali ed approdi ad altre stazioni evolutive. Egli si è trovato a dover gestire un troppo nutrimento che potrebbe essere stato per lui oppressivo fino al punto di rinunciare alle sue naturali spinte vitali.

 

 

Bibliografa

Ferri, G., Cimini, G. (2012), Psicopatologia e carattere. Roma: Alpes

Schmid, V. (2005), Venire al mondo e dare alla luce. Percorsi di vita attraverso la nascita. Universale Economica Feltrinelli/Saggi

Mac Lean, P.D. (1984), Evoluzione del cervello e comportamento umano. Torino: Einaudi.

 

 

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