Numero 1/2013
PSICOTERAPIA IN GRUPPO/linee metodologiche
(Prima parte)
Giorgio Nigosanti*
Nel trattare questo argomento mi piace iniziare riproponendo una affermazione di Piero Borelli, contenuta in un articolo del 1990 di Xavier Serrano Hortelano:
“Devo osservare che tutte le terapie che non sono sostenute da una terapia di gruppo corrono il rischio di risultare incomplete; esse permettono una buona sopravvivenza in solitudine, ma difficilmente riescono a sbloccare del tutto le difficoltà di inserimento del soggetto nel mondo ostile. Così, non considero mai conclusa una terapia se il soggetto non partecipa ad un gruppo terapeutico”.
Quanto riportato mi sembra importante, sia per dare storicità all’esperienza terapeutica di e in gruppo, sia per rendere omaggio a quelli che considero i Padri di questa pratica. L’esperienza in gruppo è relativamente recente rispetto ad un lavoro individuale. W. Reich non la utilizzò, ed i primi gruppi corporei sono iniziati in America negli anni ‘50 del 1900 con A. Lowen. Si trattava di gruppi di bioenergetica.
E’ solo con il movimento post-reichiano che si introduce anche in Europa questo lavoro. In Italia con Piero Borelli, Roberto Sassone, Francesco Dragotto, Mirella Origlia, Giovanna Reggio d’Aci. In Francia con Anne Marie le Porte, in Spagna con Xavier Serrano.
Il lavoro in gruppo si muove su due direttrici.
La prima, ovvia, visto che mi sto riferendo alla psicoterapia corporea, è che si tratta di lavorare con il corpo, in una strutturazione logica e progressiva di acting che possono condurre ad una espressività psico-corporea.
La seconda è che accanto al lavoro corporeo è necessaria un’integrazione analitico-verbale. Intendo dire che è fondamentale, per il paziente, prendere coscienza di ciò che è avvenuto, da dove è arrivato, che cosa lo ha toccato, perché e come può superarlo. Questo ci pone subito in una prospettiva molto diversa qualitativamente rispetto ad altri interventi corporei di gruppo (anche molto di moda ultimamente) che si limitano a cercare un sentire corporeo e possibili abreazioni senza che la persona abbia la possibilità di elaborare completamente il proprio vissuto.
Potremo quindi affermare che il nostro lavoro in gruppo si muove cercando una equilibrata integrazione tra corpo e psiche.
Psicoterapia di gruppo/psicoterapia in gruppo
Un concetto teorico-pratico che va sottolineato è la distinzione tra terapia di gruppo e terapia in gruppo.
Nella psicoterapia di gruppo, così come viene concepita e praticata, l’accento è posto sul gruppo nel suo insieme. È il gruppo che ha una sua vita, una sua storia, una sua evoluzione; la persona ne è una parte, ovviamente attiva, ma la focalizzazione è sul gruppo.
L’elaborazione è di gruppo, visto, elaborato ed interpretato nel suo insieme; l’individuo ne risulta sfumato.
La psicoterapia in gruppo è invece centrata sui vissuti e sulle esperienze che la persona vive nella propria interiorità; di conseguenza elaborazioni e interpretazioni sono incentrate soprattutto su ciascun individuo.
Da questo punto di vista il gruppo è uno strumento.
Come nell’analisi individuale si lavora a più livelli di approfondimento in relazione allo stato del paziente, alla sua sostenibilità, così avviene nell’analisi in gruppo. Il terapeuta valuta costantemente che cosa quella persona sta vivendo nell’esperienza che sta facendo, che cosa è opportuno elaborare, a quale livello di profondità scendere; si può passare pertanto dalla semplice presa di coscienza ad elaborazioni molto profonde.
Nonostante la priorità data all’individuo, naturalmente dobbiamo vedere anche il gruppo nel suo insieme; ne possiamo vedere la dinamica, l’evoluzione, i momenti di empasse, di contrapposizione, di resistenza. In alcune situazioni, pertanto, può essere necessario lavorare sul gruppo come sistema.
Perché fare un’analisi in gruppo?
In un’analisi individuale, nello studio dell’analista ci sono il paziente e l’analista. Manca il mondo, l’altro da Sé! Questo viene portato all’interno del setting solo attraverso il racconto del paziente.
Ma se quel paziente viene inserito all’interno di un gruppo, ecco che quel mondo, gli altri, non sono più racconti ma persone vive, presenti lì, in quel momento, con le loro vite e le loro storie.
Ma anche con il loro modo di rapportarsi, di guardare, parlare e di interagire. Allora, quel paziente nel gruppo potrà vivere direttamente, qui ed ora, ed in un ambito protetto, i vissuti che l’incontro con l’altro possono evocare e provocare.
Questa esperienza permette una possibilità facilitata di manifestare le proprie proiezioni e leggerle in maniera più chiara perché vissute.
Aggiungiamo ulteriori input.
Il gruppo ci offre l’opportunità di vedere e sentire come gli altri ci vedono e ci vivono. Permette una ri-attualizzazione più reale di vissuti antichi e questo comporta una maggiore e migliore possibilità di rielaborazione.
Nel gruppo si sviluppano e si possono instaurare tra alcuni partecipanti affinità esperienziali e/o affinità affettive, o dinamiche reattive e conflittuali.
Capita spesso che ci si incontri con l’altro casualmente su stati o situazioni simili. Mi viene da scrivere, con un certo azzardo, che nel gruppo è molto più visibile come gli inconsci comunichino.
Tutto questo, e altro ancora, dà la possibilità di rielaborazioni in un contesto diverso, sicuro, guidato.
Sottolineiamo infine come tra analisi individuale ed analisi in gruppo si sviluppa una interconnessione molto forte; vissuti che in analisi il paziente non riesce sufficientemente ad elaborare possono essere portati nel gruppo e giocati; così come esperienze o stati d’animo o sentimenti che in gruppo la persona può fare fatica ad esprimere, possono essere meglio visti nel lavoro personale.
Concludiamo questa breve introduzione sottolineando come il lavoro in gruppo sia una grande integrazione dell’analisi individuale, anzi molto spesso (come scriveva Borelli) dà proprio la spinta propulsiva determinante.
Descriveremo ora alcuni punti metodologici.
Il Setting
Lo spazio.
Il lavoro con il corpo necessita di uno spazio adeguato, intendo dire un luogo abbastanza ampio da consentire una possibilità e facilità di movimento in relazione al numero delle persone.
Vanno molto bene i luoghi in cui si fanno attività come lo yoga, che oltre ad offrire uno spazio adeguato offrono il vantaggio di essere ambienti più caldi e accoglienti delle palestre.
Le seggiole non servono, caso mai sono utili dei cuscini, sia per far sedere qualcuno che ha difficoltà a rimanere per lungo tempo in terra, che per l’espletamento di alcuni acting.
La pavimentazione.
Lavorare col corpo significa spesso lavorare in terra, quindi è opportuno evitare un pavimento freddo (in caso si può ovviare con tappetini e coperte).
Abbigliamento.
I partecipanti, pur nella loro libertà di vestirsi come credono (sarà anche questo, caso mai, fattore di analisi), dovranno avere un abbigliamento comodo.
Se lavoriamo con il corpo è importante che questo corpo sia innanzitutto libero da indumenti stretti che ne impediscono l’espressività.
Periodicità/tempo
La periodicità (il ritmo degli incontri) dipende dalla loro durata e dal numero dei partecipanti; riteniamo che per un lavoro terapeutico sia necessario definire una periodicità.
Un incontro singolo, pur potendo fornire utili input ed esperienze, rischia di rimanere a sé stante, laddove non peggiori la situazione della persona se si arriva a vivere emozioni profonde e rimosse senza che poi si abbia la possibilità di elaborarle.
Potremo quindi indicare una periodicità settimanale, quindicinale, mensile o di un certo numero di week-end di full immersion.
La preferenza va data, dove possibile, alle prime tre possibilità.
Riguardo ai tempi possiamo dire che più la periodicità è dilatata, più è necessario un tempo più lungo per ogni incontro. Se per un gruppo che si vede settimanalmente 3 ore possono essere sufficienti, per un gruppo mensile ne occorreranno circa 5, a volte tutta la giornata.
Ritengo che il tempo debba comunque essere consistente; questo sia perché è fondamentale entrare nello spirito/atmosfera del gruppo, sia perché è necessario che tutti i componenti abbiano la possibilità di esprimere ed elaborare i propri vissuti; le due cose necessitano di un tempo adeguato.
Numero degli incontri
E’ importante che un percorso in gruppo abbia il tempo necessario per permettere che tutte le potenzialità che questo lavoro possiede possano esprimersi. Questo significa che è necessario un numero di incontri minimo che non potrà essere inferiore ai 5 o 6. Un numero minore può sicuramente essere importante ed utile alla persona, ma mancherebbe della possibilità di fare un reale percorso di psicoterapia personale in gruppo, riducendosi ad un aspetto sostanzialmente esperienziale.
Di contro, pur non essendoci un numero massimo stabilito di incontri, è importante che l’esperienza di gruppo abbia una conclusione.
Successivamente si potrà iniziare, a distanza, un nuovo gruppo a cui le persone che hanno fatto l’esperienza precedente potranno partecipare.
Il nuovo gruppo sarà così composto sia da pazienti alla loro prima esperienza, che da quelli che l’hanno già fatta. Appare sempre molto netta la differenza tra questi due sottogruppi. Questo è notato anche dai partecipanti, ma lungi dall’essere un motivo di difficoltà, ne rappresenta invece una risorsa.
Infatti quelli che hanno già fatto esperienza fanno un po’ da traino, mentre coloro che lo iniziano per la prima volta notano la disinvoltura con cui gli altri si muovono (parlano di più, sono più intraprendenti…) e vedono pertanto in loro un modello da raggiungere, mentre i primi si rivedono come erano e percepiscono così i progressi realizzati.
Il percorso terapeutico di una persona in un gruppo non si esaurisce di solito in una sola esperienza, ma spesso ne necessita di tre o quattro.
Composizione e numero dei partecipanti
Se la psicoterapia in gruppo deve possedere le caratteristiche che abbiamo descritto: consentire la possibilità di espressione, di elaborazione e di confronto, è chiaro che il numero dei partecipanti diventa una variabile determinante.
Non si potranno ottenere tali esperienze con un numero di partecipanti troppo numeroso (30–40 persone), come può essere limitante un gruppo di soli 3 – 4 individui.
L’ideale andrebbe da un minimo di 7-8 ad un massimo di 15-18.
Questo elemento si incrocia con quello della periodicità e della durata dei gruppi.
Altro aspetto importante è la composizione, sia di età, meglio se abbastanza omogenea, che di genere (anche qui un certo equilibrio numerico è auspicabile).
Scansione temporale di un incontro
Un incontro di gruppo di solito è opportunamente suddiviso in tre momenti. Una parte iniziale, una centrale ed una conclusiva.
Parte iniziale.
In questa parte si invitano i componenti ad una ricerca di centratura che serve essenzialmente ad entrare nell’esperienza, nell’atmosfera, nella consapevolezza di essere lì. Successivamente si invitano le persone a raccontare al gruppo che cosa è accaduto nella loro vita a partire dall’ultimo incontro. È un momento di scambio, di condivisione, di conoscenza e di fiducia reciproca.
Può capitare che da questo primo momento il corso del gruppo prenda tutt’altra direzione da quella che il terapeuta aveva ipotizzato.
Parte centrale.
È la più importante come tempo e intensità, è dedicata al lavoro propriamente detto. Si suddivide in due parti: quella del lavoro con gli acting di Vegetoterapia e quella dell’elaborazione dell’esperienza.
Parte conclusiva.
Ha lo scopo di chiudere ed uscire dal gruppo. Qui si può fare anche la lettura dello stato del gruppo se il terapeuta lo ritiene utile.
Sottolineiamo che è fondamentale uscire dal gruppo in maniera positiva: non si dovrebbero lasciare situazioni non risolte o in sospeso.
Un ultimo aspetto importante riguarda la possibilità o meno, di consentire ai partecipanti di incontrarsi/vedersi fuori dal gruppo.
Molti indirizzi metodologici sono contrari a questa opportunità per non inquinare l’esperienza del gruppo, facendo in modo così che tutto avvenga all’interno degli incontri.
Noi invece concediamo questa possibilità.
È vero che le dinamiche potrebbero essere più complesse, ma l’esperienza ci ha dimostrato che questa opportunità consente un arricchimento sia per i componenti che per lo stesso lavoro terapeutico. Potremmo dire, sintetizzando, che i vantaggi sono maggiori degli svantaggi.
La proposta del gruppo
Un gruppo di analisi reichiana, con un lavoro che coinvolge il corpo, spesso è un’esperienza molto forte e profonda. Ciò che si può ri-vivere non è solo il pensiero di un ricordo, ma coinvolge completamente la struttura psico-fisica di una persona, facendo emergere anche aspetti neuro-vegetativi che possono essere rimasti chiusi-bloccati fino ad allora. Può essere pertanto, estremamente coinvolgente.
Questo pone un interrogativo, e cioè se un gruppo di tale specificità possa essere proposto a tutti i pazienti o se l’analista debba necessariamente fare una scelta. Così è.
Descriviamo brevemente qualche aspetto.
Il primo è ancora una volta la motivazione della persona.
Ci possono essere pazienti che possono avere un grandissimo giovamento da un’esperienza di gruppo e che con tutti i loro timori rispondono in maniera positiva alla proposta; altri che mostrano una disponibilità quasi nulla.
Quei pazienti che portano problematiche che coinvolgono la persona nella sua complessità e che necessitano di un’analisi personale sono quelli che rispondono meglio alla proposta e che ne possono avere vantaggi.
Chi arriva invece solo per un problema specifico, come ad esempio una crisi matrimoniale, lavorativa…, non avendo problematiche psicologiche particolari, è più restio a fare un lavoro che non sente.
È importante sottolineare che, prima di intraprendere un percorso in gruppo, è necessario che il paziente abbia già fatto un certo cammino in analisi individuale; la persona, infatti, ha bisogno all’inizio di conoscere il terreno, di rassicurarsi, di creare un buon transfert con l’analista, di aver cominciato a vedere dei piccoli cambiamenti, di essere entrato nella metodologia analitica reichiana. Solo dopo tutto ciò, sarà anche pronto a rimettersi in gioco in un contesto diverso come è quello del gruppo.
Altro tema riguarda la sostenibilità personale per un lavoro in gruppo. Proprio per la particolarità, la profondità e la pregnanza del lavoro che si propone, alcuni pazienti possono non averne la sostenibilità necessaria, anzi, un’esperienza in gruppo potrebbe addirittura rivelarsi destrutturante. È sempre necessario quindi valutare molto bene lo stato del paziente prima di proporgli quest’esperienza.
Analista di gruppo: formazione e caratteristiche
La distinzione tra psicoterapia di gruppo ed in gruppo comporta necessariamente un atteggiamento, un modo, una posizione diversa da parte di chi conduce il gruppo. Il terapeuta deve vedere il gruppo, ma soprattutto le relazioni all’interno del gruppo e l’individuo all’interno di queste dinamiche.
Quale formazione è utile che abbia l’analista di gruppo e di quali caratteristiche deve essere in possesso?
Formazione:
Il primo elemento (ovvio per noi della Società Italiana di Analisi Reichiana, ma forse non per tutte le Scuole di Psicoterapia!) è che lui stesso si sia sottoposto, nella sua formazione di analista o successivamente, ad un’analisi in gruppo.
Solo chi fa questa esperienza diretta, vissuta, sa che cosa significa vivere il timore, la paura, l’ansia, ma anche il piacere e il desiderio. Può sentire così (quando è in veste di analista) in maniera più profonda e vera le atmosfere che si stanno attivando nel gruppo che sta conducendo, le resistenze delle persone, i loro stati interiori, le potenzialità, le possibilità e quanto altro può verificarsi in un gruppo.
In secondo luogo, è fondamentale che abbia fatto esperienze come assistente in gruppi gestiti da un analista con questa specifica esperienza.
Avrà avuto così la possibilità di vedere ciò che accade da una giusta distanza e la presenza dell’analista gli avrà fornito quella cosa fondamentale che è l’esperienza sul campo, con la possibilità di essere istruito in una situazione reale: quale atmosfera ha il gruppo, che cosa sta succedendo, quale lavoro si farà in quell’incontro e perché, come sono le persone, quali difficoltà presentano, con chi si può lavorare, quali acting sono opportuni, quali no…
Infine, naturalmente, è importante che possegga anche una solida base teorico-culturale.
Caratteristiche:
L’analista di gruppo deve possedere una buona strutturazione psichica. Se questo è vero per tutti coloro che lavorano con le persone, lo è di più per chi lavora con i gruppi.
Un percorso di psicoterapia in gruppo è molto più complesso di un’analisi individuale. Ci sono molte variabili che possono muoversi contemporaneamente; ogni persona vive il gruppo in una differente modalità e all’interno di esso segue un proprio percorso. Ci sono tempi e situazioni diverse nei partecipanti. C’è chi in quel dato momento è pronto per approfondire una tematica o un vissuto e chi no. C’è chi può vivere il gruppo come terra di conquista e chi si sente piccolo e vulnerabile. All’analista tutto ciò deve arrivare, deve vedere, sentire e avere la capacità di agire all’istante, proponendo la cosa giusta, facendo lavorare chi è in grado di permetterselo e lasciando gli altri in standby temporaneo.
L’analista deve possedere una grande sensibilità, apertura ed empatia. Sono queste le qualità che permettono di poter fare quanto detto.
E’ necessario ancora che sappia cogliere le atmosfere individuali e di gruppo, due elementi che non sono scissi ma agiscono continuamente in un continuo intreccio dinamico.
Deve possedere l’abilità di modificare, durante il gruppo, il proprio programma se le circostanze lo rendono necessario.
Deve avere la capacità di sostenere l’emozionalità del gruppo e dell’individuo, che possono essere molto forti.
Ulteriore caratteristica è quella di riuscire ad entrare completamente nell’esperienza che il gruppo sta facendo e nei vissuti della persona, pur restando fortemente presente a se stesso.
Numero analisti
Quanti analisti devono condurre un gruppo?
Anche se un gruppo può funzionare bene con un solo analista, magari aiutato da un assistente, ritengo che due analisti siano il numero ideale. Questo se il gruppo ha, come numero di incontri, di partecipanti e di frequenza le caratteristiche che abbiamo descritto sopra. Se il numero dei partecipanti fosse più numeroso, potrebbe essere necessario usufruire di assistenti di gruppo (che potrebbero essere proprio i futuri terapeuti). In questi casi è necessario che la cosa sia esplicitata ai partecipanti, in modo che i ruoli siano chiari.
Due terapeuti garantiscono una visione del gruppo più precisa e chiara; un analista può vedere elementi che sono sfuggiti all’altro, o entrare in una sintonia maggiore in particolari situazioni.
Anche il lavoro risulta più semplice, in quanto mentre un analista conduce il gruppo (sia nella parte corporea che elaborativa) e quindi risulta più coinvolto in questo lavoro, l’altro ha la possibilità, sia di avere una distanza personale maggiore, sia di poter intervenire su quelle persone che necessitano di un aiuto o di un sostegno immediato.
Infine è anche molto più facile reggere il gruppo in momenti pregnanti.
E’ preferibile che i due terapeuti siano un uomo ed una donna, e, se volessimo essere ancora più attenti, sarebbe auspicabile che posseggano due distinte strutture caratteriali. Il perché ci sembra ovvio. Un uomo ed una donna vanno a riecheggiare le due figure genitoriali, cosa che favorisce un lavoro su queste tematiche.
Da ultimo vorrei sottolineare come sia fondamentale che tra i terapeuti sussista una notevole sintonia (non sono da escludere infatti eventuali situazioni sbilanciate o, peggio ancora, di potere).
Concludo affermando che quanto scritto in questo articolo non vuole rappresentare una verità in un campo così complesso come quello delle terapie in gruppo, ma fornire solo alcune linee metodologiche che l’esperienza mi ha portato a ritenere importanti.
(Continua)
Bibliografia
- Hortelano X. S., Sistematica della Vegetoterapia-Carattero-Analitica di gruppo in Energìa, Caràcter y Sociedad, vol. 8(2), n° 14, (1990).