Numero 1/2013
Commento all'articolo di Cristina Angelini
"La violenza di genere"
Carla Verdecchia *
Cara Cristina, ho apprezzato moltissimo il tuo articolo sulla violenza di genere nel numero 2/2012 della rivista, un tema da cui fatico a staccare lo sguardo, per le domande che continuamente mi pone. Con particolare interesse ho letto la parte in cui ti chiedi che cosa induce al silenzio e condivido la tua posizione verso il rovesciamento del ruolo della vittima.
Perciò ti voglio raccontare che proprio pochi giorni fa, in una classe quinta, dopo aver raccontato la storia di Franca Viola, ho letto questo brano, tratto dal libro del 2008 “Malamore. Esercizi di resistenza al dolore” di Concita De Gregorio:
“Come mai oggi nell’Italia delle ragazze calabresi che a scuola sono le più brave in Europa, delle figlie delle rivoluzioni sociali, delle managers e delle capitane d’impresa, come mai nel mondo delle trentenni e delle quarantenni che hanno studiato all’estero, che sono cresciute libere, che sarebbero nelle condizioni di esercitare una loro autonomia… come mai queste donne sono disposte a sopportare? Perché consentono su di loro la violenza sottile o radicale? Perché subiscono? Perché non si ribellano?... Cinque anni d’indagini Istat: 9 violenze carnali su 10 non sono denunciate, il 96% delle violenze cosiddette minori sono taciute. Il 96%, quasi tutte. La vergogna, si dice. Ma anche se fosse solo vergogna: vergogna di cosa? Di non essere abbastanza brave a sopportare? Di non aver saputo adempiere al compito stabilito? Di essere macchiate e indicate alla riprovazione sociale?
La paura, si dice anche. Ma se vale per chi non ha nulla e teme di perdere quel poco che resta, come si spiega allora l’epidemia di massacri e omicidi nelle classi alte e medio alte, il medico che avvelena la moglie con un farmaco volatile e torna ad operare; il direttore artistico del teatro che la bastona e la chiude viva in un sacco per i cappotti; l’imprenditore con auto fuoriserie che istiga i figli a scrivere sul muro del salotto “sei una perdente, mamma: vattene”.
Perché queste donne non hanno reagito prima, perché hanno lasciato che dentro le mura di casa, in segreto, si esercitasse su di loro una quotidiana umiliazione per poi uscire e tacere, tornare in ufficio e sorridere, andare a scuola a insegnare e dire alle colleghe non è niente, sono caduta, ho urtato contro l’armadio?
In classe le risposte sono state, più o meno, da parte delle ragazze “perché denunciare non serve e peggiora le cose”; da parte dei ragazzi “perché forse sono masochiste”.
Oggi. Italia. 2012. Ovviamente poi lì si ha modo di andare oltre e più a fondo. Ma colpiscono quelle prime risposte. Pongono delle domande su chi siamo noi adulte e adulti.
Del resto giustamente anche tu osservi come la nostra stessa legislazione sia arrivata molto tardi a recepire principi basilari. Ora purtroppo sarò un pò pedante, ma per me non è solo deformazione professionale, essendo insegnante di discipline giuridiche, ma è che proprio mi sembra fatichiamo tutte e tutti, me compresa, a ricordarci che, se è vero che gli anni ’70 sono stati decisivi per fondamentali cambiamenti culturali e legislativi (1970: legge sul divorzio; 1974: referendum sul divorzio; 1975: riforma del diritto di famiglia; 1978: legge sull’aborto; 1981: referendum sull’aborto) è però solo molto dopo che il delitto d’onore è stato definitivamente abrogato con la legge n. 442 del 1981 e dobbiamo addirittura aspettare la legge n. 66 del 1996 per passare dalla violenza sessuale come un reato che offende la morale, alla violenza sessuale come delitto contro la persona. Lo so, non sembra possibile. Anch’io certe volte devo rifletterci per ricordarmene! Rimozione collettiva?
Meccanismi di difesa a parte, spero di tornare a leggerti ancora su queste o altre tematiche e se hai suggerimenti/proposte circa le modalità per affrontarle meglio nella scuola o anche se pensi possibile un incontro tra la tua esperienza e le mie classi, per me sarebbe un vero piacere.
Ti abbraccio con tanto affetto e ti auguro buon tutto.
Bibliografia
- De Gregorio, C. (2008), "Malamore. Esercizi di resistenza al dolore", Milano, Mondadori ed.