Numero 1/2013
VIVA la libertà
Luisa Barbato*
Viva la libertà è uscito nelle sale cinematografiche italiane alla vigilia delle elezioni, mettendo sul piatto molti dei temi politici con i quali ci stiamo dibattendo nel post-elezioni.
Il regista del film è il siciliano Roberto Andò, intellettuale molto versatile: regista teatrale e di opere liriche, scrittore, sceneggiatore, che ha portato sullo schermo un adattamento del suo romanzo 'Il trono vuoto' (vincitore del premio Campiello opera prima 2012) edito da Bompiani e scritto con la collaborazione di Angelo Pasquini.
Si tratta di un film dall’apparenza semplice e a tratti “leggero”, in realtà leggibile a più livelli che si prestano a diverse riflessioni. Il tema narrativo centrale intorno al quale ruota tutta la storia è quello del doppio, dello scambio di persona, tema assai noto, molto utilizzato in ogni ambito culturale e artistico: letteratura, teatro, cinema, forse perché ci riporta a uno dei nodi portanti della nostra interiorità. E in questo film il doppio mostra tutta la sua ambiguità e fascinazione grazie alla magistrale interpretazione di Toni Servillo, perfetto nel ruolo dei due fratelli gemelli Oliveri.
Il primo, Enrico Oliveri, è il leader di sinistra del principale partito dell'opposizione che, dopo essere stato contestato durante un congresso e in calo nei sondaggi, decide di prendersi una pausa e sparisce improvvisamente dalla circolazione, lasciando la scena in un momento politico importante, poco prima delle elezioni. Si rifugia, secondo la tradizione storica della sinistra, in Francia, a Parigi, a casa di Danielle (la seducente Valeria Bruni Tedeschi) con la quale ha avuto da giovane una breve, ma intensa relazione estiva a Cannes. Danielle, che è sposata ad un famoso regista di origine asiatica, ha un figlio e fa la segretaria di edizione nel cinema, accoglie con affetto e tenerezza un Enrico confuso e in fase di riflessione sui nodi della propria vita. A Roma, nel frattempo, la situazione diviene preoccupante per il partito, ma un po’ meno per la moglie di Enrico che di lui non ne può più. Si incarica di trovare la soluzione il più stretto collaboratore di Enrico, Andrea Bottini (un bravissimo Valerio Mastrandrea), che ha l’idea di rivolgersi al fratello gemello di Enrico, Giovanni, proponendogli una sostituzione di persona.
Giovanni rappresenta, inutile dirlo, l’esatto opposto del fratello, istrionico, appena dimesso da una clinica psichiatrica per una “depressione bipolare”, professore di filosofia, scrittore di libri con lo pseudonimo di Ernani, imprevedibile, geniale, lunatico, estroverso, comunicativo, maestro nelle citazioni letterarie e non solo. Giovanni accetta con molto divertimento la sostituzione e mostra in pubblico i lati che mancavano al fratello: leggerezza, ironia, cultura, coerenza politica, sorprendendo e conquistando tutti: i giornalisti, l’opinione pubblica, i membri del partito e persino sua cognata. Accade così che Giovanni risale nei sondaggi, forse vincerà le elezioni, non lo sappiamo, con una visione delle cose rigorosa e richiamante una certa etica. Alla fine di un comizio cita Brecht per ridare forza agli italiani nel credere più in se stessi.
In Francia, intanto, Enrico riscopre i piaceri semplici: la natura, il lavoro manuale, la comunicazione intima con Danielle, e con essi il senso della vita. Il film si chiude in maniera aperta, forse Enrico ritorna con una nuova visione e riprende il suo ruolo politico e privato, forse Giovanni sparisce o forse entrambi si ricongiungono, come figure archetipiche, a ricostituire un’unità, non lo sappiamo, il regista sceglie di non dircelo.
In sintesi, il film ha un avvio leggero, diviene sempre più pensoso e si conclude in maniera simbolica e interrogativa.
L’argomento si presta, ovviamente, a numerose letture politiche e nell’attuale situazione nazionale è quasi un’invocazione per la classe politica al senso di responsabilità, all’impegno, alla cultura, ma anche a una certa leggerezza e semplicità. Tuttavia, non è il livello politico del quale mi interessa parlare in questo articolo, anche perché esso viene trattato in maniera a tratti surreale o grottesca, lasciando una vaga impressione di improbabilità o di finzione.
E’ invece molto più intrigante la tematica del doppio che viene realizzata in maniera convincente. Chi sono questi due gemelli? Il politico ci mostra un lato narcisistico, una posizione di potere quasi fallica e con essa un’incapacità di entrare veramente in relazione con gli altri, di sentire il mondo intorno a sé e quindi anche i sostenitori, gli elettori, i colleghi di partito. E’ una posizione quasi autistica, tipica di tanti politici intorno a noi. Il professore “pazzo” è invece fin troppo aperto ed esuberante, la facciata della follia gli permette di entrare empaticamente in contatto con gli altri, di essere sincero, di non preoccuparsi di tatticismi e strategie elettorali. Ci mostra un tratto “istrionico”, leggero, poroso, carismatico, seduttivo. Potremmo sintetizzare dicendo che l’uno ha fin troppa struttura, l’altro troppo poca. Nel gioco del doppio Enrico va in Francia a ritrovare il suo fratello simbolico e Giovanni emerge dall’ombra dell’ospedale psichiatrico per riappropriarsi dell’essere nel mondo del gemello.
La narrazione del film li mette davanti agli aspetti che sono loro mancanti, per il politico la sfera più intimistica e affettiva, per il professore l’affermatività, il potere e l’assumersi dei ruoli. E’ come se la vita facesse loro da terapeuta, portandoli ad elaborare la propria struttura caratteriale. Qual è il risultato? Mi piace pensare che l’ambiguità finale del film sottintenda un’integrazione, un’unione delle due figure, un processo evolutivo neghentropico e intelligente. La struttura, l’affermatività si allea alla sensibilità e affettività, ne emerge un uomo nuovo rigenerato, capace finalmente di affrontare la sfida delle elezioni e della vita.
La metafora del film diviene allora quella del cambiamento, della trasformazione interiore, del percorso di consapevolezza dell’analisi. Ciascuno di noi ha vari “gemelli” dentro di sé, varie sub-personalità che si esprimono nei tratti caratteriali. Ogni tratto ci racconta qualcosa della nostra storia personale antica e recente, delle relazioni significative della nostra vita, dei punti di forza e delle mancanze e soprattutto del nostro ancoraggio funzionale al corpo. Le stesse divisioni, che si leggono nei comportamenti dei protagonisti del film, possono essere lette nell’assetto corporeo. Possiamo essere in conflitto dentro di noi tra i vari tratti e arrivare a momenti di grande disagio in cui tutto sembra rallentare o incepparsi, come accade ad Enrico nel film, ma questa crisi può essere l’occasione per riconoscere le parti nascoste o non sviluppate e avviare un processo di riconoscimento e integrazione. Nell’arena dell’esistenza, la lotta può evolversi in riappacificazione e collaborazione.
Il film si chiude richiamando il senso di responsabilità verso noi stessi e verso gli altri (la citazione di Brecht al comizio). Questo rimanda ad una diversa visione delle possibilità di trasformazione della nostra esistenza individuale che si coniuga ad un conseguente cambiamento collettivo, anche sociale e politico.