Numero 2/2024
IL PROCESSO DI PSICOTERAPIA REICHIANA CONTEMPORANEA
ESPRESSIONE DELL'UNITARIETA' DELL'ESSERE UMANO
THE CONTEMPORARY REICHIAN PSYCHOITHERAPY PROCESS
EXPRESSION OF THE UNITY OF THE HUMAN BEING
Luisa Barbato[*]
Abstract
L’articolo esamina la finalità di un percorso di psicoterapia reichiana contemporanea come ripristino dell’integrità dell’essere. E’ un processo che ristabilisce la circolarità interna dell’informazione, che possiamo definire “meta”, tra i vari sottosistemi corporei, emozionali e cognitivi. Si tiene conto dei sistemi di autoregolazione emozionale, che sono corporei, in un percorso bottom-up, ossia dal basso, dalla nostra parte istintiva-emozionale, quindi dal corpo, verso le emozioni e poi verso la parte psichica cognitiva capace di elaborazioni intellettive. Ci si interroga anche sul centro di questo sistema. Nella psicoterapia reichiana si rafforza o si ripristina un’integrità dell’essere, un’unitarietà che è sempre presente, pur se in maniera latente, anche negli stati di grave frammentazione o dissociazione.
Parole chiave
Psicoterapia corporea – unitarietà – frammentazione - processi bottom-up.
Abstract
The article examines the purpose of a contemporary reichian psychotherapy process as restoring the integrity of human being. It is a process that re-establishes the internal circularity of information, we can define it as “meta,” between the various bodily, emotional and cognitive subsystems. The emotional self-regulation systems, which are corporeal, are taken into account in a pathway bottom-up, i.e. from the bottom, from our instinctive-emotional part, hence from the body, towards the emotions and then the cognitive psychic part capable of intellectual processing. We also question the centre of this system. In body psychotherapy it’s reinforced or ripristened an integrity of being, a unity that is always present, albeit latently, even in states of severe fragmentation or dissociation.
Keywords
Body psychotherapy – integrity – fragmentation - bottom-up processes.
Il corpo esprime la prima relazione di attaccamento tramite il contatto, la pelle, il battito cardiaco, l’olfatto, l’odore del latte, lo sguardo. La relazione primaria è così importante che uno scienziato, Allan Shore (2003), ha dimostrato che l’attaccamento primario determina la formazione del cervello, della corteccia prefrontale destra, ma soprattutto lo stile d’attaccamento determina lo stile di regolazione emozionale che durerà tutta la vita. Nella corteccia prefrontale destra si colloca infatti il centro dell’autoregolazione delle emozioni che è demandato a calmare e consolare il corpo e che funziona come autoregolatore nei limiti della finestra di tolleranza individuale, ossia alla nostra capacità di sopportare oscillazioni delle emozioni, di contenere e di consolarci (Shore, 2003). Tutto questo avviene tramite il sistema nervoso autonomo che è alla base delle emozioni. Più la finestra di tolleranza è ampia e flessibile, più tolleriamo le emozioni, sia quelle alte sia quelle basse, ossia le oscillazioni tra la prevalenza del sistema autonomo simpatico e parasimpatico. Se la finestra è bassa o stretta, qualsiasi emozione è intollerabile. L‘ampiezza della finestra dipende dalla capacità di consolazione del genitore, dallo stile di attaccamento del genitore. Ogni stile di attaccamento è quindi un mix di avvicinamento e ritirata, simpatico e parasimpatico. Occorre ricordare che Reich fu il primo a lavorare in psicoterapia con il sistema nervoso autonomo creando la VegetoTerapia Carattero-Analitica che usa specifiche attivazioni del sistema simpatico e parasimpatico (Reich, 1933).
La psicoterapia corporea, quindi, fin dai tempi dei pionieri come Wilhelm Reich, per capire i processi mentali tiene conto dei sistemi di autoregolazione emozionale, che sono corporei, in un processo che, oltre al tradizionale percorso top-down, include un percorso bottom-up, ossia dal basso, dalla nostra parte istintiva-emozionale, quindi dal corpo, verso le emozioni e infine verso la mente che costituisce la parte psichica cognitiva capace di elaborazioni intellettive (Ferri, 2020).La maggior parte delle volte la sofferenza è dovuta a esperienze traumatiche che ora diciamo non sono state mentalizzate, ossia che non è stato possibile contenere, elaborare, trasformare principalmente nella relazione primaria, ma anche nelle relazioni successive.
Quando parliamo di trauma non ci riferiamo a quello che crea il PTSD, ma quello che per primo Van Der kolk ha definito “development trauma”, trauma evolutivo (Van Der Kolk, 2015). Parliamo dei passaggi evolutivi segnati dal non possibile contenimento e elaborazione, passaggi in cui la traumaticità si ripresenta costantemente nella vita del bambino perché fanno parte delle relazioni usuali, il più delle volte familiari, implicate nella crescita del bambino.
Ne sono esempi: separazioni non funzionali, genitori depressi, contesti iperprotettivi che pure sono traumatici perché bloccano la funzione dell’esplorazione, della ricerca, fondamentale per lo sviluppo del bambino, umiliazioni, genitori che non giocano con i figli, conflitti tra i genitori che non vengono riparati, competizione tra fratelli non regolata.
Si tratta di esempi che presentano una traumaticità di grado assai diverso, ma il denominatore comune risiede proprio nell’appartenere non a singoli episodi, ma a una continuità relazionale e familiare. Nei casi più gravi c’è una grande difficoltà a decodificare la vicinanza e lontananza nella relazione, l’oscillazione tra simpatico e parasimpatico diviene drammatica, non contenuta come avviene nei disturbi borderline o dell’umore. Possiamo dire che nell’esperienza traumatica evolutiva c’è un collasso dello scambio interpersonale che diviene non più funzionale alla crescita del bambino e non sufficientemente regolata affettivamente.
È fondamentale quindi posizionare l’esperienza traumatica nelle varie fasi evolutive, indagando come sia stata la co-regolazione diadica attraverso lo sguardo, il tatto, l’olfatto ecc… fin dal ventre materno. Già Freud aveva definito delle fasi evolutive, Reich e la successiva psicoterapia corporea le hanno collocate nei segmenti del corpo, nei distretti corporei dove essi si sono impiantati e dove si sono impiantate le emozioni (Reich, 1933, Navarro 1992). Sappiamo che le emozioni primarie sono 4: paura, rabbia, disgusto e tristezza (Reich, 1933). Federico Navarro diceva che l’emozione base disfunzionale è la paura che determina una contrazione del sistema neurovegetativo, impedisce la pulsazione vitale e determina, insieme alla tristezza i blocchi principali (Lezioni tenute alla SEOR, 1989-1992).
Nell’ultimo decennio Panksepp, con le sue prove neuro-scientifiche, ha allargato lo spettro dei sistemi emozionali di base a sette, includendo quindi anche il desiderio sessuale, la ricerca, il gioco e la cura (Panksepp, 2012). I blocchi psico-corporei fanno collassare due sistemi fondamentali per la crescita del bambino: quello della cura e quello del gioco-esplorazione.
Nella mentalizzazione successiva, ossia nell’elaborazione mentale che successivamente facciamo di questi blocchi, abbiamo pensieri negativi di sfiducia in sé e negli altri: tutto andrà male, io non valgo nulla, non ce la farò mai, nessuno mi può amare, e poi in una fase successiva abbiamo quello che Freud definiva Super-Io sadico (Freud, 2012) , che ora definiamo sabotatore interno, giudice interiore ecc… che vuol dire avere dentro di noi un nemico, un personaggio che continuamente ci demolisce e ci dà sfiducia.
Se invece il sistema della cura e poi della ricerca si evolvono normalmente si sperimentano anche emozioni positive: la gioia, la sicurezza, la compassione per gli altri, il senso di appartenenza ecc... È interessante osservare la clinica contemporanea che ci dice che anche sistemi emozionali positivi possono diventare disfunzionali, ad esempio un eccesso del sistema della cura, come agito da molte madri definite “ansiose e iperprotettive”, collassa il sistema della ricerca, rende i piccoli inibiti, dipendenti e consente un’attivazione solo parziale e deficitaria del desiderio (Panksepp, 2012). Il desiderio è centrale nello sviluppo umano, Lacan (2002) diceva che siamo essere desideranti, la relazione umana si basa sul desiderio. Desideriamo il desiderio dell’Altro, le patologie psichiche sono a livello mentalizzato patologie del desiderio.
Pertanto, quando noi interveniamo bottom-up con un percorso di psicoterapia corporea, noi operiamo innanzi tutto:
- sulla relazione e comunicazione non verbale, sub-simbolica dove abbiamo gli stimoli sensoriali interni ed esterni, le spinte istintuali, le sensazioni corporee. Tutto questo non è immediatamente rappresentabile, non è simbolizzabile come dice la psicoanalisi, può essere richiamato solo tramite attivazioni corporee.
- poi sulla comunicazione verbale simbolico-emozionale. Qui ci sono le rappresentazioni affettive e poi cognitive degli stimoli sensoriali, ci sono le emozioni e l’immaginazione. Emergono dalle attivazioni corporee, la maggior parte delle volte sono inconsce ed emergono alla coscienza nel rivivere gli stimoli e le sensazioni corporee in precisi distretti corporei che sono stati stimolati o si sono sviluppati in determinate fasi evolutive. Addirittura siamo in grado di richiamare profonde sensazioni ed emozioni relative alla vita prenatale e perinatale della quale non abbiamo alcuna memoria psichica.
- infine sulla comunicazione verbale simbolica dove albergano i ricordi, la simbolizzazione, i processi linguistici, i sentimenti, tutto quello che in psicoterapia viene definito elaborazione.
Ma tornando ai traumi evolutivi, posto che questi sono innanzi tutto corporei, il loro contenimento, la loro elaborazione e riparazione non può che passare per il corpo, anche perché l’espressione psichica di questi traumi, la loro mentalizzazione, è molto successiva nello spettro evolutivo del bambino.
Soprattutto, facendo un passo più avanti, ogni trauma evolutivo si colloca nel corpo e mina l’integrità del Sé. La nostra naturale e funzionale unità psicosomatica viene spezzata, ogni trauma evolutivo segna, come ogni esperienza traumatica, una frammentazione dentro l’essere, un certo livello di scissione. Se ci rifacciamo alla saggezza antica, popolare, il cuore, inteso come centro animico ed energetico dell’essere, viene minato e così ci dissociamo dal corpo e dalle emozioni in maniera più o meno grave, ci dissociamo anche dai nostri pensieri che divengono schemi mentali psichici ricorrenti, espressioni mentali degli stati non verbali ed emozionali che diventano patologici ossia espressione della frammentazione. Non è opportuno sottovalutarli perché sono quelli per i quali la maggior parte delle persone chiede una psicoterapia: abbiamo già parlato delle ideazioni auto-svalutative, o persecutorie, reattività rabbiose, fantasie di onnipotenza, fantasie sado-maso, dissociazioni in stati mentali nirvanici, pensieri suicidari, pensieri ossessivi, sospettosità ecc… Tutto uno spettro sintomatologico che poi, unitamente alle informazioni anamnestiche, chiameremo diagnosi. La finalità di un percorso di psicoterapia reichiana contemporanea è dunque innanzi tutto quella di ripristinare questa integrità dell’essere, la circolarità interna dell’informazione che definiamo meta.
Ci possiamo allora chiedere: dov’è il centro di questo sistema? Vi è un centro? Già Reich, nella fase finale delle sue ricerche, era arrivato a parlare di un centro, un “core”. In seguito la psicologia ha creato il Sé per indicare un’istanza che superasse la frammentazione del sistema freudiano delle parti psichiche Io-Es-SuperIo, ma a questo Sé ovviamente i vari orientamenti hanno dato un significato diverso (Sassone, 2018). In analisi reichiana contemporanea il nucleo o Core esprime l’integrazione delle parti, un imprescindibile unità psico-corporea, energetico-emozionale che ha al centro la nostra essenza più profonda. Tutti i livelli corporei, tutta la cascata neuroendocrina, tutte le emozioni, tutte le mentalizzazioni dove trovano il loro centro? Chi o che cosa coordina il tutto? In psicoterapia reichiana diciamo che la nostra unitarietà è funzionale, ossia funziona come un complesso sistema integrato che addirittura arriva alla manifestazione epigenetica, ossia modifica l’espressione dei nostri geni (Lezioni tenute alla S.I.A.R. da Ferri, 2023). Per questo la guarigione tiene conto, opera, si appella all’integrità dell’essere, alla sua unitarietà che è sempre presente, pur se in maniera latente, anche negli stati di grave frammentazione o dissociazione. Possiamo allora affermare che il processo di psicoterapia reichiana non attiene solamente al corpo, o alle emozioni, o alle relative mentalizzazioni, ma innanzitutto all’unitarietà profonda dell’essere in tutte le sue manifestazioni.
BIBLIOGRAFIA
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Van der Kolk, B., (2015), Il corpo accusa il colpo. Milano: Raffaello Cortina.
[*]Psicoterapeuta, analista S.I.A.R., vice Presidente SIPAP. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. Indirizzo professionale: via Valadier, 44. 00193 Roma.