Numero 1/2024

DAL CORPO LA PACE

 Domande in tempo di guerre

PEACE ALSO COMES FROM BODIES

Questions in time of war

 

Antonella Messina[*]

 

10.57613/SIAR52

 

 

Abstract

     L’articolo esplora il ruolo della psicologia e della psicoterapia nella creazione di una cultura di pace. Reich ha proposto riflessioni sul pensiero dominante e la creazione di blocchi corporei che non facilitano la consapevolezza delle connessioni tra la sofferenza individuale e le cause socio-economiche.

 

Parole chiave 

     Pace – psicoterapia - campo sociale.

 

Abstract

     The article explores the role of psychology and psychotherapy in creating a culture of peace. Reich's thought proposes reflections on dominant thought and the creation of bodily blocks that do not facilitate awareness of the connections between individual suffering and socio-economic causes

 

Keywords

     Peace – psychotherapy - social field.

 

     La pace è un processo, non è un evento. Non accadrà all’improvviso, arriverà anche dal lavoro costante e direzionato. In che modo la psicologia e la psicoterapia possono contribuire alla costruzione ed al consolidamento di un processo di pace nel quotidiano svolgimento delle proprie mansioni? Intendiamo dire che, al di là delle pratiche di educazione alla pace che psicologi e psicoterapeuti possono portare avanti in setting specifici, vogliamo interrogarci su come psicologia e psicoterapia possano essere esse stesse pratiche di pace, in quanto spazio di riconoscimento dell’alterità, dell’integrazione, della complessità e della salute.

     In studio i pazienti portano dolori che vengono da segni incisi sul corpo da guerre familiari e sociali caratterizzate da disconoscimento, prevaricazione, violenza ed uccisioni di parti del Sé. Nel campo sociale le pratiche di guerra, competizione e attacco, vengono incoraggiate dalla struttura della società stessa. Bisogna competere, bisogna affermarsi a discapito dell’altro, bisogna resistere agli attacchi della vita, bisogna sopravvivere, bisogna difendersi dagli altri, mettere da parte la propria spontaneità e programmare, organizzare la propria lotta per proclamarsi vincitori. Bisogna sacrificare corpo sonno e respiro, tempo personale ed affetti in nome dell’azienda e della sua mission. Bisogna combattere la natura, invadere i campi con monocolture di prodotti richiesti dal mercato, uccidere con veleni le erbe invece utili agli insetti, cementificare, devitalizzare quanto si oppone alla necessità economica del mercato edilizio.

     Le pratiche di guerra hanno invaso le intimità. Vige una pornografia che debella l’immaginario intimo, colonizzandolo con immagini di corpi prevaricati e conquistati da branchi di umani; i mass media rimpinguano i programmi di litigi e guerre di opinione. Esempi ne sono stati gli schieramenti di opposizione tra vax e no vax, le assimilazioni politiche che hanno visto chi voleva la pace, disconosciuto nel suo proteggere le vite umane e prigioniero di una etichetta politica. Sembrerebbe che la violenza, insita in questa società, provveda ad abituare gli individui alla guerra, innestando nel sistema sociale le lotte di uno contro l’altro. Metodi di guerra e di prevaricazione sono assimilati, come automatismi senza occhi, a metodi risolutivi immediati.

     La psicologia e la psicoterapia propongono integrazione, ascolto, empatia, riconoscimento dell’altro nella pratica di incontro e di cura. Esse sembrerebbero dunque avere nei propri mandati la possibilità di rispondere in maniera divergente al modello sociale vigente. Come attuare queste potenzialità? Come interagire con i pazienti rendendo manifesta la concatenazione di processi sociali che a scapito del corpo e dei valori cooperativi, generano disagio e abituano l’umano alla guerra?

 

Psicoterapia reichiana, corpi e pensiero dominante

     Arrivano da Wilhelm Reich suggestioni e studi sulla possibilità di decostruire culture prevaricanti, a partire dal lavoro sul corpo. Reich vede che la famiglia nel primo novecento in Occidente, perpetra relazioni il cui carattere è culturalmente determinato. La madri ed i padri improntano i processi relazionali e gli insegnamenti educativi, attingendoli dalla cultura di appartenenza e dai personali blocchi corporei incarnati. I ragazzi e le ragazze ricevono segni di come si sta al mondo, tramite il carattere dei genitori, la relazione con essi e con la cultura di appartenenza. Reich denuncia il processo di incarnazione con cui il pensiero dominante scolpisce se stesso sui corpi. Esso si infiltra capillarmente nel lavoro, nella sessualità, nell’educazione e nella cultura comunicativa pervertendo la naturale propensione dell’umano al lavoro, alla conoscenza ed all’amore. Reich esplicita e rende consapevoli gli individui dei blocchi corporei che il sistema sociale determina; attribuisce alla psicologia l’inevitabile compito di occuparsi delle caratteristiche socio economiche che segnano un individuo in una data società in un dato tempo storico. Reich scrive:

"La nostra psicologia politica non può essere nient'altro che la ricerca di questo «fattore soggettivo della storia», della struttura caratteriale degli uomini di una determinata epoca e della struttura ideologica della società che essa forma" (Reich, 1971, p.37)."Una ideologia sociale modifica la struttura psichica degli uomini, non solo essa si è riprodotta in quegli uomini, ma, cosa che è molto più importante, essa è diventata, sotto forma dell'uomo così modificato concretamente e quindi dell'uomo che ora agisce in modo diverso e contraddittorio, una forza attiva, una forza materiale". (Ibidem, 1971)                                        

     Intervenire sul corpo con acting, con la consapevolezza dei blocchi emotivi, costituisce un’azione di riappropriazione della propria libertà di fare relazione, di prendere distanza critica dalla cultura dominante incarnata sul corpo e divenuta un inconscio culturale. Reich afferma che il fascismo, inteso come atteggiamento caratteriale di sopraffazione, prima che come partito politico, è possibile solo in presenza di colli rigidi e petti in fuori. Queste parti del corpo e dunque l’individuo di cui sono parte, hanno dimenticato la capacità di respirare e di entrare in contatto con l’altro. In nome della pace bisogna quindi sciogliere quei colli e quei petti.

     Le finalità degli studi di Reich sono, per un periodo della sua vita, rivolte a liberare i corpi dai blocchi emotivi, affinché gli individui possano vedere le ingiustizie sindacali educative e politiche, riconoscerne la natura sociale e contrastarle.

 

Le connessioni tra i corpi  e il pensiero dominante oggi

   In che modo l’unità mente - corpo contemporanea viene segnata dal pensiero dominante prevaricante, lo replica nel quotidiano e rimane inerte assistendo a genocidi, guerre, discriminazioni e ingiustizie sociali? La psicoterapia può dire di assolvere al proprio mandato attivando delle interazioni consapevoli dentro la famiglia o nei luoghi di lavoro e lasciando in zone cieche le connessioni tra il singolo e gli atteggiamenti di sopraffazione (perpetrata o subita) e di violenza strutturale sociale (Farmer, 2003)[1]?

     Nello specifico, nel mondo reichiano, per quali vie continuare a portare l’eredità di Reich e rendere esplicite e manifeste anche nelle terapie, la natura sociale dei segni incisi sul corpo e la loro origine da un mondo dedito al profitto e dimentico dell’umano?

     Nei setting di psicoterapia giungono vite segnate da un sociale che scrive sui corpi segni invalidanti:

- madri la cui densità di relazione utero-feto è sempre più invasa ed inficiata dalla stanchezza di lavori mal pagati e orari di lavoro straordinario che non lasciano tempo al sentire la propria gravidanza;

- madri sottoposte a gravidanze in solitudine o prive di sostegno adeguato in ospedali privati dal sistema politico di un adeguato numero di personale, letti e farmaci;

- giovani in cerca di lavoro sottoposti ad assunzione fittizie, a ricatti o minacce silenti di contratti a tempo determinato non rinnovabili;

- persone di ogni età afflitte dalla colpa di non riuscire a sostenere ritmi di lavoro senza respiro e sotto la minaccia del licenziamento;

- persone insonni che svolgono più lavori notturni malpagati per riuscire a sopravvivere;

- figli in cerca di genitori assenti fisicamente per via della necessità di lavorare senza orari prevedibili;

- medici e manager con forti dipendenze da ansiolitici o sostanze stupefacenti attivanti, utili a reggere turni di lavoro sfiancanti e lunghissimi.

    Le gravidanze a bassa densità, le ansie, le dipendenze, le devianze giovanili portano ancora una volta i segni incisi di un pensiero economico dominante; quest’ultimo pervade le relazioni ed in esse si moltiplica e ripete, provando a tramutare l’essere umano in un corpo intento a sopravvivere, privato del sentire, dedito alla sopraffazione e costantemente in guerra. Può la psicoterapia reichiana parlare di segni incisi dalle relazioni tacendo su quanto esse siano culturalmente determinate?

IMG MESSINA pablo picasso la pacePace di Pablo Picasso     Possiamo non esplicitare nel processo di cura le connessioni tra le ingiustizie sindacali di lavori alienanti e le dipendenze, le difficoltà relazionali, le ansie? Qualora si volessero trascurare gli aspetti sociali di una dipendenza e/o di una depressione esplicitando solo gli aspetti orali di un segno inciso nelle relazioni, potremmo sostenere che quegli aspetti orali si sarebbero slatentizzati in un clima sociale equo e cooperativo?

   Ogni momento storico ha dei segni incisi predominanti provenienti dal sistema sociale ed economico che lo caratterizza. Il pensiero dominante attuale promuove la guerra alla connessione sentire-pensare, al tempo delle relazioni. Esso ha conclamato la frattura tra il tempo interno del sentire ed il tempo esterno dettato dall’orologio e dall’esterno (Ferri 2005). Il risultato è stato trasformare le relazioni in incontri a consumo finalizzati alla produzione di un progetto, di una mansione, di un figlio, di una eiaculazione, di un introito.

     Le persone che incontriamo nei setting non sempre richiedono di essere consapevoli e di mettere in equilibrio le loro le parti. Sperano invece di risolvere l’ansia che impedisce loro di tornare a correre da un lavoro sottopagato ad un altro.

     Poco curante del proprio dentro invisibile, chi sta male chiede nei setting di tornare ad essere visibilmente prestante, in famiglia, nel lavoro, con gli amici, con l’amante di turno. Molto gradita è spesso la spiegazione chimica e fisiologica della propria malattia, scotomizzata della parte emotiva o delle connessioni con il proprio stile di vita disumanizzante. La scienza ed anche la psicologia e molte discipline olistiche, come percepite oggi dai più, sono  vittime di un malinteso che le rende scienze della meccanica del corpo, della psiche e dell’anima. Esse parlano linguaggi di invasione più che di evoluzione. Insegnano che bisogna riparare i corpi. Molte università,  scuole di formazione, ospedali, programmi in TV portano avanti la promozione di metodi di cura con farmaci e strategie psicologiche per tornare ad essere subito produttivi ed attivi. Si sta trasformando la cura in una pratica di invasione e colonizzazione della persona. L’avere cura richiede il fare relazione e il rispetto che porta alla pace. Con il proprio disagio e con l’altro.

     Per questa via, le scienze, psicologia compresa, rischiano di cadere nella trappola dello scientismo, di spiegare i disagi e le malattie spiegandone le probabilità e i processi biochimici preposti e nulla dicendo sulle cause sociali che ne determinano l’ammalarsi.

     Potremmo, come psicoterapeuti, attivare riflessioni su una  rotazione degli occhi che deve fare i conti duramente con un pensiero dominante, divenuto inconscio, che tende a bloccare il movimento oculare così da non far vedere? Siamo disposti a rendere manifeste al singolo le correlazioni di causa effetto tra il proprio disagio psicologico e le violazioni derivanti, ad esempio, dal sistema lavorativo?

     È possibile che compito della psicoterapia sia rendere evidenti anche le vie irrazionali per le quali l’essere umano contemporaneo è bersagliato da disagi provenienti da ingiustizie sociali, ma sta irrazionalmente accumulando ansia per il non essere abbastanza, piuttosto che rabbia organizzata nel modificare il sistema lavorativo che lo opprime. Reich aveva ipotizzato che alla base di tale irrazionalità vi fosse il fatto che:

"Gli uomini subiscono le loro condizioni di vita in modo duplice: direttamente attraverso l'immediata influenza della loro condizione economica e sociale, e indirettamente, attraverso la struttura ideologica della società; devono quindi sempre sviluppare una contraddizione nella loro struttura psichica che corrisponde alla contraddizione tra l'influenza esercitata dalla loro condizione materiale e l'influenza esercitata dalla struttura ideologica della società." (Ibidem, p.39).

     L’essere umano occidentale avverte la propria condizione di disagio al lavoro, ma anziché razionalmente lottare ed agire per modificare la povertà economica e dei diritti, si lascia convincere dal pensiero dominante che deve migliorare e realizzare se stesso per meglio rispondere agli standard richiesti. Può una rotazione degli occhi di analista e paziente avere la sostenibilità per riportare la consapevolezza sulla violenza strutturale di questa società e sulle pratiche conseguenziali di trasformazione per costruire la pace?

 

Concludiamo con le parole di Reich.

“Per la psicologia sociale la domanda si pone esattamente alla rovescia: non si chiede perché l'affamato ruba o perché lo sfruttato sciopera, ma il motivo per cui la maggior parte degli affamati 'non' ruba e perché la maggior parte degli sfruttati non sciopera” (Ibidem, p.41).

“La psicologia di massa comincia a indagare proprio laddove la diretta spiegazione socio-economica fallisce”. (Ibidem, p.41).

“Il problema fondamentale non consiste nello stabilire se e in quale misura è presente nell'operaio il senso di responsabilità sociale (questo è ovvio!), ma ciò che inibisce lo sviluppo del senso di responsabilità” (Ibidem, p.42).

“Per esempio non possiamo spiegare completamente una guerra dal punto di vista sociologico se sveliamo le particolari leggi economiche e politiche che la determinano direttamente, cioè per esempio le tendenze tedesche di annessione miranti prima del 1914 ai bacini minerari di Briey. (…) Gli interessi economici dell'imperialismo tedesco erano senz'altro il fattore immediato decisivo, ma dobbiamo anche tener conto della base "psicologica di massa" delle guerre mondiali, e dobbiamo chiederci in che modo il "terreno psicologico di massa" è stato coltivato perché potesse assorbire l'ideologia imperialista” (Ibidem, p.43).

"La funzione psicologica di massa nelle due guerre mondiali è comprensibile solo se si tiene presente che l'ideologia imperialista ha modificato concretamente in senso imperialistico le strutture delle masse lavoratrici” (Ibidem, p.44).

     Il problema è che "ogni ordinamento sociale produce in seno alle proprie masse quelle strutture di cui ha bisogno per raggiungere i suoi obiettivi principali.” (Ibidem, p.44).

 

 

 

Bibliografia

 

Chul, Han, B. (2016) Psicopolitica. MIlano: Edizioni Nottetempo.

Farmer, P., Sen, M., 2004. Patologie del potere: Salute, diritti umani e la nuova guerra sui poveri pubblicato in inglese con il Pathologies of Power: Health, Human Rights, and the New War on the Poor, University of California, Berkeley, 2004

Ferri, G. (2005), Chi mi ha rubato le lancette? in Liberazione, 6 Marzo.

Messina, A. (2021) Nulla da temere, tutto da desiderare. Acireale: Lekton.

Pompei M., Pedagogia Psicologia Psicoterapia Muoversi nella complessità in “Psicoterapia Analitica Reichiana, n.2/23. L’articolo contiene in bibliografia un elenco di articoli con uno sguardo sulla complessità del sociale pubblicati negli ultimi quattro anni nella rivista citata

Quaranta, I. (a cura di) Antropologia medica  Milano: Raffaello Cortina Editore

Reich, W. (1971) Psicologia di massa del Fascismo. Milano: Sugarco.                                                                                                                                    

[1] Il concetto di violenza strutturale viene introdotto da Paul Farmer nel 2003 facendo riferimento a quel particolare tipo di violenza che viene esercitata in modo indiretto, che non ha bisogno di un attore per essere eseguita, che è prodotta dall’organizzazione sociale stessa, dalle sue profonde diseguaglianze e che si traduce in patologie, miseria, mortalità infantile, abusi sessuali.

 

[*] Dottoressa in Filosofia, Psicologa, Psicoterapeuta, Analista S.I.A.R., Formatrice per i processi interculturali, Etnopsicoterapia. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. Studio professionale: Via Cuturi, 8. Catania.

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