Numero 1/2024

CERCARE IL PROPRIO POSTO NEL MONDO

FINDING ONE'S PLACE IN THE WORLD

 

Demetra Di Febo[*]

 

10.57613/SIAR53

 

 

Abstract 

        Viola è una giovane ragazza che ha iniziato un percorso di psicoterapia per curare i suoi comportamenti autolesionisti. In questo articolo si propone una lettura del caso e della sua evoluzione secondo l’approccio analitico reichiano, attraverso l’analisi dei sintomi sui livelli corporei e del lavoro di Vegetoterapia svolto, che hanno portato Viola a riprendere il contatto con il proprio Sé e a cercare il suo posto nel mondo.

 

Parole chiave 

        Approccio analitico reichiano - tratto orale insoddisfatto - autolesionismo - muscolarità - fase orale - spazio – tempo.

 

Abstract

         Viola is a young girl who has started psychotherapy treatment to cure her self-harming behaviors. This article proposes a reading of the case and its evolution according to the Reichian analytical approach, through the analysis of the symptoms on the bodily levels and of the vegetotherapy work carried out, which led Viola to regain contact with her own self and to seek her own place in the world.

 

Keywords

         Reichian analytical approach - unsatisfied oral trait- self-harming behaviour - muscularity - oral stage - space – time.

 

 

Quando la incontro per la prima volta Viola è una ragazza di 14 anni molto carina, ha i capelli lunghi, biondi e fini, gli occhi sono piccoli e difficili da incontrare in quanto tiene quasi sempre lo sguardo a terra. È piuttosto alta e magra, nonostante lei dica di essere grassa. Fin dai primi colloqui resto colpita dalle sue mani: ha delle dita lunghe e sottili, che sembrano essere sempre molto rigide. Nel corso della terapia mi racconterà che le tremano spesso. Nella stanza in cui ci incontriamo si muove sempre in punta di piedi, è molto attenta a non calpestare il tappeto che si trova tra le nostre poltrone perché mi racconta che ha paura di sporcarlo, tiene sempre il giubbino sulle sue gambe per non occupare troppo spazio e si preoccupa di non poggiare accessori sul tavolino per non dare fastidio. Al mio cenno di poter entrare ed accomodarsi lei risponde sempre con un “posso?”.

     Quando arriva da me frequenta il primo anno del liceo Scienze Umane; è una ragazza intelligente, organizzata nello studio e molto curiosa. Ora sta frequentando l’ultimo anno ed ha iniziato ad avere difficoltà di concentrazione. Dice di non avere voglia di studiare e di non sapersi organizzare per arrivare preparata alle interrogazioni. Quando le chiedo di dirmi tre aggettivi per descriversi lei si definisce subito pesante. In un secondo momento mi dirà che è sensibile, permalosa, impulsiva ed affettuosa. Sente di non sapere quale sia il suo posto nel mondo, si sente depressa, angosciata, stanca e nervosa, non riesce a dare un senso alla sua vita. Durante il primo colloquio mi ripete spesso che lì con me si sente a suo agio e che si fida di me perché la prima domanda che le ho fatto dopo averla fatta accomodare è stata “come stai?”. Afferma che questa attenzione nei suoi confronti l’ha colpita molto perché lei ha bisogno di affetto, di essere abbracciata e di qualcuno che la accolga per ciò che è realmente.

     Mi racconta fin da subito dei tagli che si procura sulle braccia con la lametta da sei anni, da quando la madre si è sposata con il suo nuovo compagno. Viola in questi anni inizia ad avere il pensiero di farla finita, ma come mi dirà lei stessa, era troppo fragile per fare un gesto così grande. Si tagliava per punirsi, perché pensava che avrebbe potuto fare qualcosa per far tornare i genitori insieme. In realtà Viola è nata con il senso di colpa; lei parla così della sua nascita: “Sono nata per sbaglio, da un preservativo rotto. Dopo la mia nascita papà ha iniziato a drogarsi e mamma l’ha lasciato. È tutta colpa mia”. I tagli successivamente diventano un modo per “distrarsi e sfogarsi”. Al matrimonio della madre si aggiunge la nascita del suo primo fratellino. Viola racconta di questo evento come di una vera e propria sconfitta. Non basta più punirsi, lei è arrabbiata con se stessa ma soprattutto con sua madre, sente “il bisogno di sfogarsi e di vedere il sangue, perché solo alla vista di quel liquido rosso che esce dalle sue vene riesce a sentirsi viva.”

     Da quel momento inizia a sentire i suoi occhi bloccati: non riesce a piangere, raramente le lacrime rigano il suo pallido viso, nonostante senta spesso il bisogno di farlo, ma c’è qualcosa dentro di sé che glielo impedisce.

     La famiglia si allarga con la nascita di un secondo fratellino a cui seguirà l’arrivo di un terzo fratello e di un quarto. Viola durante le gravidanze della madre vive due periodi: il primo semestre è felice e molto positiva, nell’ultimo trimestre il suo umore cambia violentemente, inizia ad agitarsi molto anche per le piccole cose, si allontana dalla madre e cerca un legame con alcuni zii. Nonostante la grande fatica di vivere, Viola si lega fortemente ai suoi fratellini e li accudisce come se fosse la loro madre. Questo avviene perché non condivide la gestione familiare e l’educazione che sua mamma ed il marito hanno imposto in casa; afferma che non riesce a non intervenire là dove sente che si stia sbagliando. Lamenta poca attenzione, scarsa collaborazione da parte del padre dei suoi fratelli, e in generale afferma che non si respira aria di famiglia in casa. Sarà, per esempio, proprio lei ad accorgersi che il maggiore dei suoi fratelli ha un deficit del linguaggio e sarà sempre lei ad insistere affinché venga approfondita ed affrontata questa problematica.

 

La famiglia

     Il papà quando è nata Viola aveva solo 18 anni. La figlia lo definisce giocherellone, impulsivo e intelligente. Il padre sono riuscita ad incontrarlo solo una volta, il giorno in cui è venuto a compilare e firmare il modulo per l'autorizzazione alla prestazione professionale. Tutto ciò che so di lui mi è stato quindi raccontato da Viola. Qualche giorno dopo quel nostro unico incontro, però, mi ha chiamata per chiedermi se potevo dargli dei consigli su come potersi avvicinare alla figlia senza invaderla troppo. Il padre di Viola, infatti, ha vissuto molto poco la figlia perché all’età di 20 anni ha iniziato a drogarsi ed è vissuto in diverse strutture per potersi disintossicare. Ad oggi il papà è tornato a vivere nella sua famiglia di origine, a pochi chilometri di distanza da casa della figlia, ma nonostante questa vicinanza fisica, continuano ad incontrarsi poco.

     Viola ha sofferto molto l’assenza del padre, soprattutto perché si è sempre rispecchiata caratterialmente in lui piuttosto che nella madre. Sente di essere fragile e sensibile proprio come lui. Ha cercato tante volte di creare una relazione il più possibile vicina a quella tra un padre ed una figlia, ma ad oggi descrive così il rapporto con lui: “strano e poco recuperabile. Ci vogliamo bene, ma continua ad esserci tra noi quell’imbarazzo tipico di chi si vuole bene ma non si conosce”.

     La mamma ha 38 anni, non lavora, è la terza di 4 figli, e si definisce la pecora nera della famiglia. Viola fa molta fatica a trovare degli aggettivi per descriverla, riesce a dire solo che è una donna responsabile, successivamente mi dirà che è anche forte e sensibile (ma non come il padre). In questi anni ho incontrato la mamma solo tre volte. La prima volta, all’inizio del percorso, per poter avere da lei le informazioni necessarie per ricostruire la storia di Viola, e mi ha detto che la loro è una famiglia normale, che la figlia è stata fortemente desiderata e che non le hanno mai fatto mancare nulla. Altre informazioni le avrò successivamente dalla mia paziente che ha cercato di ricostruire la sua storia con l’aiuto dei nonni e degli zii.

     Il nostro secondo colloquio è avvenuto insieme a Viola e al suo fratellino di pochi mesi in quanto non sapevano a chi lasciarlo. Durante questo incontro c’è stato uno scontro molto forte tra la madre e la figlia, a tal punto che ho dovuto sospendere la seduta. Da quel momento Viola mi pregherà di non incontrarla più perché pensa che sia inutile, in quanto la madre parla un linguaggio completamente diverso dal suo, un linguaggio privo di profondità e sentimenti. Nonostante la richiesta della mia paziente, poiché ancora minorenne, decido di rivedere solo la madre tre mesi dopo. La mamma mi dice che Viola è troppo richiedente, che lei le dà affetto come meglio riesce ma alla figlia non basta mai. Lamenta, inoltre, che Viola va spesso dagli zii e sta poco in casa.

     Il nonno materno ha 69 anni ed è un noto medico di base del suo paese. Un uomo di grande fede, amato e rispettato da tutti. Per Viola, il nonno è il suo punto di riferimento, il focolare presso cui rifugiarsi e riscaldarsi, il porto sicuro in cui poter sempre tornare. L’ultima parola sulle scelte da prendere per il futuro della ragazza è sempre la sua. Il nonno per Viola è stato il padre che non c’è mai stato, e Viola per il nonno è la sua quinta figlia. Lo zio Luca, il fratello maggiore di sua madre, ha 40 anni, è sposato con l’amata zia Chiara, ha 6 figli e, come suo padre, è medico di base. Loro rappresentano la famiglia ideale per Viola, sono l’esempio di amore e unione. Viola trascorre la gran parte delle sue giornate nella loro casa, ad aiutare la zia con i cuginetti e a cercare l’affetto ed il calore che le mancano. La zia Chiara è per lei una madre, mentre definisce ormai sua madre come una sorella maggiore. Racconta di essere trattata dagli zii come una figlia, ma afferma che purtroppo non sarà mai una loro figlia e non farà mai realmente parte di quella famiglia.

 

Di Febo IMG Cercare il proprio posto nel mondoAnamnesi

     Viola nasce da due genitori innamorati ma molto giovani, la madre aveva infatti 19 anni ed il padre 18. Non hanno mai preso in considerazione l’idea di non portare avanti la gravidanza, e alla sua nascita la madre è rimasta a vivere, insieme alla piccolina, a casa dei genitori, mentre il padre viveva nella sua casa familiare, a circa 12 km di distanza. Della gravidanza e del parto mi dicono che è andato tutto bene e che in ospedale erano presenti il papà e tutti i nonni. È nata da un parto naturale e a Viola viene raccontato che era una bella bambina, sana e tranquilla. È stata allattata per 5 anni. Non abbiamo altre informazioni a riguardo. Mentre, per quanto riguarda l'introduzione di altro cibo, ci sono ricordi contrastanti. Non ha gattonato e ha cominciato a camminare a 11 mesi.

     Quando Viola ha circa 2 anni, il padre, che era ancora legato sentimentalmente alla madre della bambina ma continuava a vivere separato da loro, inizia a drogarsi e da quel momento Viola ha iniziato a vederlo sempre meno. Ricorda che quando aveva 3 o 4 anni circa lo andava a trovare nella comunità di recupero in cui aveva iniziato il percorso di disintossicazione. Ha un ricordo molto bello di quegli incontri con il padre, anche se non sapeva il motivo per cui vivesse in una tale struttura.

     Viola trascorre i primi anni di vita serenamente, circondata dall’amore dei nonni materni, con i quali viveva insieme alla madre, e dall’affetto degli zii. Gli incontri con il padre li viveva come un momento di gioco e un’occasione per fare delle piccole gite, nel frattempo viveva in simbiosi con la madre, la quale non si allontanava mai dalla figlia.

     Quando Viola ha 7 anni i genitori si lasciano definitivamente; da quel momento inizia a vedere il papà sempre meno. Il padre era ormai uscito dalla comunità di recupero ed era tornato a vivere a casa dei propri genitori. Quando Viola ha 11 anni, il padre rientra nella comunità di San Patrignano. Sarà la nonna paterna a dirle quale fosse il motivo.

     Un momento molto faticoso per Viola è stato il passaggio dalle elementari alle medie perché aveva iniziato a capire che c’era qualcosa che non andava nella vita del padre, ma nessuno ancora le diceva la verità. In quegli anni, inoltre, entra nella loro vita Gennaro, il futuro marito della madre, e la speranza di Viola che si potesse tornare ad essere una famiglia con mamma e papà sembrava essere persa e ha iniziato a sentirsi sola, diversa e sbagliata.

     Inizia a maturare una profonda rabbia verso la madre, perché secondo la piccola Viola era stata la mamma a distruggere tutto, permettendo a Gennaro di entrare nelle loro vite e rompendo così il suo sogno di un possibile ricongiungimento tra i genitori. Viola ha dormito tutte le sere, per 12 anni, nello stesso letto con la madre, si abbracciavano così forte da formare un “nodo indissolubile”, e anche se a volte capitava di addormentarsi arrabbiate e per questo dandosi le spalle, la mattina si svegliavano intrecciate in quella indissolubilità. Ma la madre si sposa con Gennaro, si devono trasferire nella nuova casa, e Viola prende una decisione molto importante: lei resterà a vivere per un anno a casa dei nonni, nella loro cameretta, perché a casa nuova, con la “nuova famiglia” si sentiva di troppo. È in questo stesso anno che Viola inizia a tagliarsi.

 

Diagnosi analitico-caratterologica

     Per quanto riguarda la storia di Viola, abbiamo pochissime informazioni sul periodo della gravidanza. La madre descrive i nove mesi positivamente, ma Viola racconta, invece, di essere nata per sbaglio, i genitori si amavano ma erano molto giovani e questa nascita non era prevista. Non essere nel progetto dei genitori è una variabile determinante da prendere in considerazione. Da qui, infatti, nasce la sua storia: essere nata in un tempo in cui non c’era un posto per lei. Questo è il primo imprinting da cui si sviluppa la tematica che accompagna tutta la storia di Viola. Continuando con la lettura analitico - caratterologica della storia di Viola, è importante soffermarsi sull’allattamento e sul contesto familiare all’interno del quale si affaccia per entrare nel mondo. L’allattamento è il momento in cui avviene lo scambio di calore e affetto tra mamma e neonato. La quantità e la qualità della relazione tra neonato e seno sono determinanti, il come dell’allattamento e la situazione emotiva della madre continuano a tessere la densità del Sé iniziata con il concepimento. Nella storia di Viola possiamo leggere un allattamento durato 5 anni, che è andato, quindi, oltre la fase oro-labiale, e che ci porta a riflettere su quale sia in effetti la richiesta di un allattamento così duraturo e soprattutto chi è che richiede un tale nutrimento. La madre è la pecora nera della famiglia, per i suoi genitori, fortemente cattolici, ha commesso un peccato, il compagno ha cercato di esserci ma si è smarrito e Viola è l’unica presenza calda ed accogliente nella sua vita. La madre, ha così creato un legame simbiotico con la figlia, una diade dalla quale è riuscita a slegarsi solo quando ha incontrato Gennaro, con il quale ha riproposto una nuova diade. La madre è, quindi, nella coppia, colei che chiede e Viola funge così da nutrimento per lei. Vivono una simbiosi in cui il flusso di energia va dalla figlia alla madre e non viceversa. Questo allattamento così duraturo ha causato inoltre difficoltà nello svezzamento, non c’è stato un buon passaggio dall’oralità alla muscolarità. Lo svezzamento rappresenta, infatti, la seconda grande separazione nella vita di un individuo e permette il passaggio dalla fase oro-labiale a quella muscolare.  La piccola Viola è rimasta aggrappata all’oralità, alla diade con la madre. Questa dinamica, inoltre, è stata favorita dal fatto che non ci fosse una figura con funzione di secondo campo che la potesse aiutare ad alzarsi e a salire sul proprio torace.

     L'anno in cui la madre si è sposata Viola inizia a tagliarsi. Il matrimonio  segna la rottura della diade con la madre e anche lo smarrimento. Non c’è, di nuovo, un posto per lei. Viola fino ad allora aveva il ruolo importante che le era stato dato dalla madre: stammi vicino, sostienimi, sii il mio antidepressivo. I tagli fatti sulle braccia possiamo leggerli non solo come una possibilità di farsi guardare, ma anche come tentativo di aprire quella compressione scaturita dalla ricerca allarmata di un luogo in cui porre le proprie radici. Quei tagli sulle braccia ci raccontano di un tentativo di richiamare il torace, di stimolarlo, in sintesi di un tentativo di salire verso la muscolarità.

Alla luce di questo, è possibile affermare che Viola porta in terapia una tematica depressiva, caratterizzata da un tratto orale insoddisfatto. Il tema di inclusione/esclusione che caratterizza tutta la sua vita ci pone dinanzi ad una situazione depressiva che a volte va oltre e scivola verso comportamenti borderline. Questa depressione, infatti, si cronicizza, portandola verso il vuoto,  perché non sa effettivamente se ci sia un posto per lei nel mondo.

      Nella storia del nostro percorso terapeutico avviene una chiusura. Io dovevo partorire  e, fisicamente, non stavo molto bene. Un po’ cognitivamente avevo, quindi, fatto credere a me stessa e alla mia paziente che il percorso fosse concluso. Riletto ora, mi rendo conto che in realtà si è creato come un gioco di specchi, questo evento ha rispecchiato, infatti, la storia della mia paziente: stava arrivando un’altra piccolina e per lei non c’era più posto, non c’era più la sostenibilità. Comunque, anche se quel momento è stato gestito in modo brusco ma autentico, la mia paziente non è precipitata.

     Attende 6 mesi e mi ricontatta. Mi chiede un appuntamento e torna nel mio studio. Viola si ripresenta con alcuni tic e qualche rituale, in particolare mi racconta di guardare spesso l’orologio durante il giorno perché dimentica in continuazione l’ora, inoltre mentre mi racconta gli eventi accaduti non riesce a collocarli sulla freccia del tempo. Viola, con l’arrivo della mia bambina, aveva perso quel suo posto che stava trovando nella nostra relazione terapeutica. Viola ha aspettato, ma la perdita di quello spazio le ha provocato una disorganizzazione del tempo. Il mio tentativo, un po’ troppo cognitivo, di chiudere il percorso terapeutico come se fosse finito, si è rivelato in realtà una sospensione che Viola ha sostenuto aspettando, ma con un vissuto di perdita ed un abbassamento dell’energia. In questa ottica, i rituali un po’ ossessivi li possiamo leggere come un tentativo di frenare la discesa dell'energia.

 

Il progetto terapeutico

     Viola mi ha chiesto, fin da subito, di essere aiutata a guarire dai tagli, di essere vista ed accolta. Io la prendo in carico conoscendo quello sguardo, lo sguardo di chi un posto nel mondo lo desidera, lo sguardo di una quattordicenne che con coraggio ammette di stare male e vuole guarire. Nei nostri incontri è riuscita a trovare una stabilità: i miei occhi sempre fermi su di lei, così tanto perché avevo una gran paura che un giorno, durante uno dei suoi momenti intimi con la lametta, andasse oltre e la perdessimo. Sì, questo non potevo permettermelo. Ma questi miei occhi attenti sono maturati con il tempo, il mio allarme è sceso mentre l’attenzione è rimasta. La storia di Viola inizia però a pesarmi, era diventata tanto richiedente, mi chiedeva non solo l’abbraccio a inizio terapia ma anche l’abbraccio a fine terapia. Inizio così a fare le prime supervisioni e a lavorare anche sul mio controtransfert.

     Viola ha una dipendenza da una madre difettuale; è la scena originaria ad essere difettuale, in cui la madre vive una dipendenza dalla figlia e il padre dalla droga. La densità di Viola è insufficiente e la fa precipitare nei passaggi e nelle esclusioni. Il suo problema è nella domanda implicita con cui arriva in terapia: “Dove sono? Qual è il mio spazio? E il mio tempo?”. La sua storia è caratterizzata da continui eventi che le ricordano che dove si trova non è il suo posto. Questo la fa sentire sbagliata e compressa, a tal punto da doversi decomprimere con i tagli. Non riesce a salire da questo stato depressivo perché non ha mai interiorizzato il passaggio verso la muscolarità. I tagli sono un aiuto che chiede a se stessa per risalire, appunto.

     Alla luce di questo, la mia posizione come analista è stata di primo campo accogliente, strutturante e stabile. Viola ha cercato tante volte in me il nutrimento che lei è stata per sua madre, ed è stata proprio questa sua ricerca che mi ha fatto nascere un controtransfert caratterizzato da stanchezza e pesantezza. Ma elaborandolo sono riuscita a spostarmi da questo controtransfert e a scendere nei miei piani più profondi, imparando così ad ascoltarla e a sentire il mio corpo nel setting. Nel mio progetto implicito iniziale la mia intenzione era, infatti, di farle capire che doveva cercare il suo posto dentro di sé. Ma, naturalmente, portando una tematica di pre-soggettività questo lei non poteva capirlo. Così ho iniziato ad assumere una posizione analitica più da primo campo non solo nutriente, ma anche strutturante e stabile. In questo modo Viola ha potuto sentire che il nostro setting, anche se cambiato più volte per ragioni logistiche, era in realtà caratterizzato da Viola, da me e dalla nostra relazione. Questo passaggio, fatto insieme, le ha permesso di sentire che qui, dove ci incontriamo, è un suo posto nel mondo, e da qui poter esplorare, insieme, ed approdare nel suo posto fuori.

     Inizialmente abbiamo lavorato da sedute. Le ho proposto l'attivazione corporea del naso-cielo, con i miei occhi al posto della luce e insieme la  suzione[1]. In particolare, Viola doveva fare l'azione della suzione mentre tornava con gli occhi sulla punta del suo naso ed espirare quando guardava me. Questo ritmo è stato scelto per darle la possibilità di nutrirsi tornando su di sé, ma nel frattempo avere me, presente, che la guardo nutrirsi. È stato molto faticoso per lei soprattutto perché ha la mascella molto pronunciata e questa sua caratteristica fisica non l’ha mai accettata e l’ha fatta sentire sempre a disagio. Ma, nonostante la fatica, questo acting è stato molto importante per lei perché le ha permesso di slegarsi dalla suzione della madre, ed inserirne una più autonoma e nutriente, poiché è latte ed ossigeno e questo aumenta la propria energia. Inoltre, con questo lavoro corporeo, caratterizzato da una mia posizione seduta di fronte a lei che le ha garantito presenza e torace, Viola ha smesso di procurarsi i tagli.

     Successivamente, le ho riproposto questo acting sul lettino, sostituendo i miei occhi con una lucina. Questo passaggio è stato davvero complicato, molte volte Viola si è rifiutata di stendersi sul lettino, altre volte, durante l’acting si è irrigidita a tal punto da doverlo sospendere. Certamente l’ingresso della lucina ha rappresentato l’arrivo di un terzo tra noi, non c’ero più io a guardarla e, quindi, ad accompagnarla con piacere al suo svezzamento e nutrimento.

     Quando Viola torna in terapia dopo sei mesi incontra la sua analista diventata nel frattempo madre. Mi presenta diversi tic ma anche una grande novità: ha deciso di affrontare il suo problema alla mascella e ha iniziato un percorso medico molto importante che si dovrà concludere dopo aver compiuto la maturità, con un complesso intervento chirurgico mascellare. Dopo qualche mese da questo nostro primo incontro, abbiamo ripreso il lavoro corporeo. Questa volta le ho proposto il punto fisso luminoso[2] perché Viola era smarrita e non riusciva a convergere. Questo punto fermo luminoso l’ha aiutata a riprendere il contatto con il proprio Sé e ad esplorarsi alla ricerca del suo posto nel mondo.

 

Conclusioni

     Viola mi racconta che, con grande sacrificio, ha deciso di frequentare meno la casa degli zii. Questa scelta è stata molto dolorosa ma fortemente voluta da lei. Lì c’è la famiglia che ha sempre desiderato, in quella casa si nutre dell’amore di un padre ed una madre verso i propri figli. Ma ora si rende conto che è come se fosse diventata una spettatrice di se stessa all’interno della loro casa e ha iniziato a fare i conti con la realtà. “La verità è che quella famiglia è tutto ciò che avrei desiderato per me e i miei fratelli, ma quella casa non è il mio posto”. Una dichiarazione forte e dolorosa. Poi ridendo mi dice che, anche se con meno frequenza, continuerà ad andare dagli zii per fare il pieno di serotonina. Ma questa volta non resterà ferma lì, cercherà un suo posto in cui poter studiare e prepararsi come si deve alla maturità. Ci salutiamo con un lungo abbraccio, e le ricordo che questo studio è anche il suo posto. Viola scioglie il nostro abbraccio, mi guarda con grande emozione e afferma “lo so, lo è sempre stato”. Continuerò a seguire Viola, come ho fatto in questi quattro anni, fino al suo esame di stato, poi si trasferirà per frequentare la Facoltà di Psicologia. Io resterò qui, nel mio studio a guardarla spiccare il suo volo.

 

BIBLIOGRAFIA

Ferri, G. & Cimini, G. (2012), Psicopatologia e carattere. Roma: Alpes.

Ferri, G. (2017), Il corpo sa. Roma: Alpes.

Ferri, G. (2020), Il tempo nel corpo. Roma: Alpes.

[1] Viene proposta la combinazione di due acting relazionali appartenenti entrambi alla fase oro-labiale, ma che coinvolgono due livelli corporei differenti. Il naso-cielo ad oggetto stabile interessa il livello corporeo degli occhi e consiste nel movimento oculare del paziente dal proprio naso all’oggetto e viceversa. Il movimento di suzione coinvolge, invece, il livello corporeo della bocca. In questo caso viene proposto il movimento di suzione introiettato, con le labbra che si protrudono ritmicamente verso il fuori e che richiamano il movimento introiettavo per prendere il latte.

[2] Il punto fisso luminoso è un’attivazione corporea praticata dallo psicoterapeuta con una penna-luce posizionata sul “punto di convergenza oculare” sostenibile dal paziente. Siamo nella fase oro-labiale, nel tempo del passaggio dalla presoggettività alla soggettività. Questo acting viene indicato per l’approccio mirato al trattamento della “giusta distanza” relazionale tra il Sé e l’Altro da Sé, e della “perdita di confini” del campo di coscienza dell’Io. Praticato più volte nel tempo, permette alla persona di incontrare la propria soggettività, in quanto attiva la corteccia prefrontale, nel mentre regola la distanza appropriata dall’oggetto.

 

*Psicologa, psicoterapeuta, analista SIAR. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. Studio privato: Via Napoli 6/b Roseto degli Abruzzi (TE)

 

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