Numero 1/2024

PERCHÉ DOBBIAMO DIRCI REICHIANI

WHY WE MUST CALL OURSELVES REICHIANS

 

Marcello Mannella[*]

 

10.57613/SIAR50

 

 

Abstract

        La lezione più importante che ci ha lasciato il Reich intellettuale sociale e politico è la convinzione che l’attività scientifica non possa rinchiudersi nello spazio immacolato della pura ricerca e che gli intellettuali, gli scienziati, i ricercatori culturali non possano esimersi dallo svolgere, a partire dal proprio particolare punto di osservazione, l’importante funzione di critica sociale e politica. Debbono impegnarsi in questa funzione come principio deontologico, perché ne va della condizione di salute fisica, sociale, morale e spirituale di quell’umanità che pure si è scelto di difendere e promuovere. È questo un ritrovato e necessario modo per definirsi reichiani.

 

Parole chiave

Reich - paura della libertà - carattere gregario - psicologia del fascismo - rivoluzione sessuale.

 

Abstract 

        The most important lesson that the social and political intellectual Reich has left us is the belief that scientific activity cannot be close to the pure space of the research and that the intellectuals, scientists and cultural researchers, starting from their particular point of view, cannot avoid the important role of social and political critique. They have to apply themselves to this purpose as a deontological principle, because it influences the physical, social, moral and spiritual health condition of that humanity which they have chosen to defend and promote. This is a re-discovered and necessary way to define ourselves as Reichians.

 

Keywords 

Reich – fear of freedom - gregarious character - psychology of fascism - sexual revolution.

 

 

Un po' di storia

     Essere reichiani non ha mai significato la semplice adesione ad un episteme, ad una tradizione di ricerca, come ad esempio essere psicoanalisti, ma una scelta dalle molteplici implicazioni. Per tanti psicoterapeuti ha rappresentato motivo di orgoglio appartenere alla ristretta cerchia di quanti condividevano una comprensione dell’esistenza “autentica” e un metodo terapeutico in grado di portare gli individui a riscoprire la capacità di “funzionare naturalmente”, per ritornare a pulsare in armonia con la vita “dentro e fuori di sé”. Essere reichiani, per tanto tempo, ha dunque rappresentato un modo di essere nel mondo, un progetto di vita, una prassi in grado di trasformare l’esistente, tanto individuale che sociale.

     Tale finalità terapeutica ed esistenziale radicale era venuta a costituirsi come il personale Daimon di Reich. La sua biografia ne è testimonianza. Per amore della “verità” non ha esitato – anche a detrimento del suo successo professionale - ad entrare in contrasto con uomini e consessi culturali, professionali e politici che pure avevano segnato profondamente la sua formazione umana e intellettuale. Si pensi al rapporto di stima e affetto con Freud, al rapporto intenso e creativo sul piano intellettuale con la Società Psicoanalitica, all’adesione al Partito Comunista Tedesco, e al suo doloroso doversi separare da tutto ciò.

     In questa tensione assoluta verso la “verità”, un ruolo decisivo ha giocato il suo carattere appassionato ed esuberante, non alieno però da rigidità e chiusure, che se da una parte lo hanno reso capace di rifiutare ogni forma di compromesso intellettuale o di ossequio politico e culturale, dall’altra, non di rado, lo hanno chiuso all’ascolto, rendendolo impermeabile al dialogo e al confronto[1]Non è allora per caso che la sua avventura intellettuale sia culminata in una fase[2] epistemologicamente debole e a tratti ingenua, che ha messo in ombra l’intera sua opera. La sua stessa vita è finita nel dolore e nel dramma (Mannella, 2014).

     La S.I.A.R. ha ormai da tempo compiuto un processo di ripensamento della sua opera. Ne ha enucleato i punti di forza, divenuti parte integrante del suo episteme, così come ha evidenziato le debolezze teoretiche e pratiche. Ha accolto la sua geniale intuizione dell’origine corporea della mente, della direzione bottom-up del processo evolutivo umano, confermati oggi dagli sviluppi delle neuroscienze. Ha fatto propri i contributi terapeutici più originali e innovativi, sviluppandoli in una cornice sistemico-complessa. La Vegetoterapia Analitico-Caratteriale, che ha segnato l’ingresso del corpo nella psicoanalisi, è stata ripensata nell’ottica del tempo evolutivo, ed è stata rimessa al centro della prassi terapeutica, dopo la messa in ombra operata dallo stesso Reich quando aveva rivolto tutte le sue energie in direzione dello sviluppo della Terapia Orgonica[3].

     Se altre scuole hanno portato avanti la loro ricerca sulla scia delle ultime teorizzazioni di Reich, la S.I.A.R. dunque si è concentrata e ha sviluppato i contribuiti del primo e del secondo periodo. È questo il nostro senso a dirci reichiani, o meglio post-reichiani (intervista a G. Ferri di M. Mannella in PsicoterapiaAnaliticoReichiana, Rivista semestrale online, n°2/2012).

     Penso che il nostro richiamarci alla tradizione reichiana debba essere oggi ripensato o meglio integrato. Sono le particolarità del nostro tempo a reclamarlo. È necessario compiere lo sforzo intellettuale di recuperare un altro aspetto decisivo della sua ricerca. Si tratta di un aspetto caratterizzante, messo in ombra dallo stesso Reich nell’ultima fase della sua riflessione[4].

     Mi riferisco ad un importante aspetto epistemico e metodologico, cioè alla costante attenzione rivolta al rapporto fra i fenomeni mentali affrontati clinicamente e le dinamiche culturali, sociali, politiche della società del tempo. Quell’attenzione era necessaria non soltanto per una loro comprensione più profonda, ma anche al fine di strutturare una prassi culturale e politica volta a porre rimedio alle cause sociali della sofferenza individuale.

     Reich era convinto – a dire il vero in maniera meccanica - che la mente individuale altro non fosse che il riflesso della mente sociale e che quest’ultima non sorgesse per caso o decreto divino o naturale, ma fosse funzionale a precisi interessi economici e politici. In termini marxiani è dire che i fenomeni culturali e spirituali, i comportamenti collettivi e individuali, i miti e le aspirazioni, ma anche le angosce e paure di una determinata società in una determinata epoca – la cosiddetta sovrastruttura culturale – poggino e siano espressione della sua base materiale, della sua struttura economica e che incarnino dunque precisi rapporti di potere. Queste decisive convinzioni lo portarono a considerare che l’esercizio del pensiero critico e l’impegno sociale e politico costituissero un preciso dovere – oggi diremmo un principio deontologico - di chi si occupava della cura delle “anime”. Anche per questo fu uno psicoanalista unico e scomodo nel panorama del suo tempo.

     Reich, almeno agli inizi del loro rapporto, aveva avuto in Freud un maestro d’eccezione. Prendiamo in considerazione uno dei temi caratterizzanti la psicoanalisi, lo statuto della sessualità umana, probabilmente quello che ostava maggiormente alla sua accettazione e che animò il dibattito culturale già nei primi decenni del XX secolo. Freud aveva posto la pulsione sessuale alla base del comportamento umano. Inevitabilmente la psicoanalisi si era trovata a svolgere un’importante funzione di critica sociale mettendo in risalto come i fenomeni nevrotici ormai endemici del tempo avessero origine nella corrente morale sessuale. Tutte le affezioni nevrotiche altro non erano che il risultato dello scontro fra forze bio/psichiche, fra la spinta della pulsione sessuale al soddisfacimento e le istanze super egoiche, rappresentanti le istanze morali e sociali nell’individuo. Egli pertanto giudicava necessario un ripensamento critico dei costumi sessuali.

     Ma nel 1920 Freud aveva improvvisamente invertito la rotta. In Al di là del principio di piacere (1920) aveva teorizzato la realtà della pulsione di morte che aveva comportato la svolta conservatrice della psicoanalisi. Le nevrosi ora non erano più il risultato del contrasto fra la spinta al soddisfacimento del desiderio sessuale e le forze della rimozione, ma la conseguenza dell’inconscia volontà di sofferenza insita nella mente umana. La svolta conservatrice era culminata ne Il disagio della civiltà (1930) in cui Freud era giunto a teorizzare che la repressione della sessualità fosse, in qualche misura, il necessario tributo che l’umanità doveva pagare per garantirsi la sicurezza e i vantaggi della civiltà. L’attenzione per il fenomeno della repressione sessuale[5] era spostato dal piano sociologico al piano antropologico.

     La rottura con Freud non avvenne dunque soltanto per questioni teoretiche o scientifiche. Ben fondamentale era la questione circa lo statuto della psicoanalisi, della necessità di pronunciarsi intorno al suo ruolo sociale. Se si affermava, come faceva Freud, l’esistenza di una connaturata pulsione di morte e si riconduceva l’origine delle nevrosi a fattori endogeni, allora la psicoanalisi rinunciava ad essere una teoria critica e assumeva il ruolo, sempre nobile ma più modesto, di una pratica medica volta a lenire le sofferenze connaturate alla condizione umana.

immagine MANNELLA Wilhelm ReichWilhelm Reich     Non è allora un caso che è proprio nel 1927 - l’anno in cui Reich pubblicava La funzione dell’orgasmo, opera dedicata al maestro, in cui esponeva la propria teoria delle nevrosi e che ufficializzava di fatto la rottura con Freud - che accade l’incontro con Marx ed Engels. “Mentre Freud sviluppava la sua teoria della pulsione di morte secondo la quale ‘la miseria proviene dall’interno’, io andai fuori, fuori tra la gente … E qui vi fu un altro uomo, un altro genio, Marx. Cominciai ad interessarmi a Marx e ad Engels nel 1927. […]. Imparai la buona, vera sociologia”  (Reich, p.58). Nel marxismo, Reich, ormai politicamente deluso dalla psicoanalisi, pensò di aver individuato un decisivo strumento di critica sociale. Ha inizio così una nuova stagione della sua vita professionale e umana: quella dell’impegno sociale e politico, che possiamo definire periodo freudo-marxista[6]. Reich è l’iniziatore di questa corrente culturale, mai veramente compiuta, che mira alla conciliazione e completamento dell’indagine psicoanalitica della mente con la teoria sociale di Marx, e viceversa[7].

 

L’impegno sociale e politico

     Ma ritorniamo a Reich, al suo periodo freudo-marxista. Reich era convinto che il disagio emozionale degli individui avesse primariamente la sua causa nella pratica sociale della repressione della sessualità infantile. Fu questa convinzione a spingerlo alla costituzione - negli ultimi anni del 1920 a Vienna e nei primi del 1930 a Berlino - di cliniche d’igiene sessuale. Le cliniche prestarono consulenza psicoanalitica (a Berlino si costituirono con il beneplacito del Partito Comunista, inaugurando il movimento della sexpol). Reich, ad un certo punto, si rese conto che anche l’azione di profilassi sociale di massa non avrebbe sortito alcun risultato, se contemporaneamente non si fosse portata avanti una profonda rivoluzione culturale. Fu questa consapevolezza che lo spinse a scrivere La rivoluzione sessuale. L’opera mostrava le gravi conseguenze della corrente morale sessuale per la salute psicofisica dei giovani e denunciava che il vero motivo della repressione della sessualità nei bambini e negli adolescenti era del tutto politico: determinare la sottomissione dei figli all’autoritarismo dei genitori.

     Tale tesi sembrava trovare proprio in quel tempo un’importante conferma con l’avvento dei totalitarismi in Europa. Sotto l’incalzare drammatico degli eventi in Germania, Reich scrisse la sua opera più significativa dal punto di vista politico, la Psicologia di massa del fascismoIl punto più difficile da spiegare per un intellettuale comunista era quello di comprendere come proprio la grande crisi economica del ‘29, che in base alle teorie marxiste avrebbe dovuto comportare un più deciso spirito rivoluzionario delle masse indigenti, avesse invece segnato l’adesione politica di quelle stesse masse verso i partiti della destra più estrema. Da questo evento “paradossale” prende l’avvio l’indagine psicologica che porta Reich ad individuare la chiave del comportamento delle masse nella loro ideologia, nel loro atteggiamento emozionale, che veniva a costituirsi come un decisivo fattore della storia. Inevitabile la polemica con gli intellettuali marxisti che consideravano la struttura economica l’elemento determinante lo sviluppo storico e l’ideologia un suo semplice riflesso. A parere di Reich l’indagine puramente sociologica non era adeguata; il marxismo doveva aprirsi alla psicoanalisi. Reich si proponeva di definire una psicologia politica e di investigare intorno alla struttura emozionale delle masse grazie a quel concetto di struttura caratteriale che già da tempo aveva formulato. Nasceva la sessuoeconomia che da Freud adottava le scoperte psicologiche, da Marx i principi socio-economici.

     In Psicologia di massa del fascismo il punto di partenza della sua indagine sulla struttura emozionale irrazionale delle masse è rappresentato dall’attenzione che egli rivolge al problema della repressione della sessualità infantile. La psicoanalisi aveva individuato i meccanismi della repressione sessuale; ora la ricerca sessuoeconomica doveva spiegare le ragioni della repressione sessuale. Il fine della repressione sessuale a suo parere era eminentemente politico.  Essa rendeva il bambino apprensivo, timido, obbediente, timoroso dell’autorità; inibendo la curiosità sessuale produceva una generale inibizione del pensiero e delle facoltà critiche. Dapprima il bambino si adatta alla struttura autoritaria di quello stato in miniatura che è la famiglia, dopodiché era pronto ad accettare il sistema politico autoritario. Il risultato di questo processo è la paura della libertà che rende gli individui passivi e apolitici, conformisti, paradossalmente sostenitori dell’ordine autoritario che li opprime. Le masse finiscono con lo sviluppare un carattere gregario, sottomesse e adoranti il duce, il fuher, il capo di turno.

     Erano soprattutto le particolarità della famiglia patriarcale piccolo-borghese a determinare nei figli il sorgere di strutture caratteriali gregarie, timorose e docile all’autorità. La posizione sociale di questo ceto e la sua organizzazione familiare determinavano un atteggiamento ambivalente nei riguardi dell’autorità. Da una parte la piccola borghesia teme l’aggressività economica della grande borghesia industriale e finanziaria, dall’altra, nella sua ansia di promozione sociale, è portata ad identificarsi con essa e adotta pertanto una serie di posizioni ideologiche che le garantiscono la distanza dal proletariato, con cui peraltro condivide, nella stragrande maggioranza dei suoi membri, una condizione economica simile. Per potersi identificare con la grande borghesia, il piccolo borghese è costretto a compensare la sua indigenza economica attraverso un accentuato moralismo sessuale che si concretizza nei concetti – non necessariamente nei comportamenti – di onore, di dovere che tanto ricorrono nella propaganda e nella retorica.

     Nella famiglia piccolo borghese il padre esige la più rigida inibizione della vita sessuale. E mentre le donne sviluppano un atteggiamento di rassegnazione che copre una ribellione sessuale rimossa, i maschi, oltre ad un atteggiamento sottomesso, carico di aggressività rimossa, sviluppano una forte identificazione con la stessa autorità. Tale sindrome autoritaria il nazismo seppe sfruttare abilmente attraverso l’esaltazione dell’idea di capo. Il nazismo si presentava alla piccola borghesia con la promessa di combattere il grande capitale, soddisfacendone le aspirazioni alla ribellione. Ma quando il nazismo si liberava del suo carattere anticapitalistico e rivoluzionario, essa non gli sottrasse il suo consenso politico. Emergeva allora il bisogno di sottomissione pure presente nella struttura caratteriale della piccola-borghesia[8]Questo in maniera schematica le sue tesi di fondo sui meccanismi psicologici che hanno favorito l’ascesa del totalitarismo in Germania e più generalmente dei regimi autoritari in Europa.

     La pubblicazione di quest’opera fu determinante per l’espulsione, comunque nell’aria, dalla Società Psicoanalitica Internazionale. La dirigenza psicoanalitica era assurdamente impegnata a dimostrare che la psicoanalisi fosse esclusivamente una pratica medica, che agiva nel campo della “pura” e “disinteressata” ricerca scientifica ai fini della salute degli individui, estranea pertanto ad ogni agone politico. Si illudeva di poter continuare a svolgere indisturbata la propria attività professionale. Pensava di poter “curare le anime” astraendosi dal clima di orrore politico e umano che caratterizzava ormai tanti paesi in Europa!!! L’analisi sulla psicologia del fascismo, e soprattutto la sua recisa condanna, facevano di Reich, un intellettuale ancor di più scomodo da cui prendere le distanze. Reich fu espulso dalla Società Psicoanalitica Internazionale nel 1934. L’anno precedente era stato espulso dal partito Comunista tedesco per le sue attività di sexpol giudicate non esattamente in asse con l’ortodossia marxista.

 

L’attualità intellettuale di Reich

     Quanto risulta coraggiosa e attuale la posizione di Reich!!! E questo a prescindere dal fatto che le sue tesi abbiano o meno retto alla prova del tempo[9]. Quante similitudini con il clima culturale e politico del nostro tempo!!! La lezione più importante che egli ci ha lasciato è la convinzione che l’attività scientifica non possa rinchiudersi nello spazio “immacolato” della pura ricerca; che gli intellettuali, gli scienziati, i ricercatori culturali, non possano esimersi dallo svolgere, a partire dal proprio particolare punto di osservazione, l’importante funzione di critica sociale e politica. Debbono impegnarsi in questa funzione come principio deontologico, perché ne va della condizione di salute fisica, sociale, morale e spirituale di quell’umanità che pure si è scelto di difendere e promuovere.

     Si pensi al nostro tempo, alle continue emergenze – vere o presunte - che lo hanno animato e lo animano: economiche, ambientali, energetiche, geopolitiche, militari, sanitarie. Tali emergenze e la loro gestione, oltre al carico di angoscia e di dolore che provocano nel mentre accadono, non lasciano inalterati i rapporti sociali e politici fra i ceti sociali, ma implicano una diversa distribuzione della ricchezza, erodono lo spazio della libertà individuale, dei diritti umani, civili, politici. Eppure il silenzio è stato e continua ad essere assordante.

     La maggior parte del mondo della politica, della cultura, della scienza, delle professioni mediche, giuridiche, ha accettato supinamente la vulgata ufficiale diffusa come una sol voce dai mezzi di informazione.  E questo è accaduto e accade anche quando ci si trova al cospetto della palese negazione di quei diritti civili e umani che sembravano essere assodati, almeno in quella parte del mondo che per tanto tempo ha avuto l’orgoglio di definirsi libero. “Una società democratica, liberale (pensavamo) si è trasformata senza possibilità di contraddittorio e di una riflessione integrata. La linea ufficiale scelta non ha ammesso alcun dialogo” (Le Eumenidi, 2024). La “classe” intellettuale nel nostro tempo ha abdicato dalla sua funzione critica a vantaggio del politicamente corretto, o, peggio, per paura o per meri calcoli utilitaristici. Nel nostro tempo sembra essersi spenta persino l’eco della passione politica, dell’onestà intellettuale. La paura della libertà e il carattere gregario sembrano ormai imperare.

     In questa atmosfera di triste e assordante silenzio civile e umano, in cui a prevalere sono stati interessi economici e politici di parte, pure non sono mancate le voci e gli appelli coraggiosi di quanti chiedevano di osservare e di ragionare criticamente, di non farsi vincere dalla paura e dall’angoscia, di pensare e valutare soluzioni diverse.  E non mancano neppure oggi le voci di chi ritiene che occorre continuare a interrogarsi su quanto accaduto e ancora accade, sulle conseguenze negative per la salute mentale dei singoli e della collettività. Si aveva e si ha proprio bisogno di un tale atteggiamento umano e critico!!! Reich sarebbe stato sicuramente fra costoro!!! È questo un ritrovato e necessario modo per definirsi reichiani.

 

 

 

Bibliografia

De Marchi, L., (1981), Vita e opere di Wilhelm Reich. Milano: SugarGo.

Mannella M., (2014), Wilhelm Reich. Il dramma e il genio. Roma: Alpes.

Mannella, M., (2022), Corpo, Società, Identità sessuale. Roma: Alpes.

Mannella, M. Il modello post-reichiano della S.I.A.R. (prima parte), in PsicoterapiaAnaliticoReichiana, Rivista semestrale online, n°2/2014.

Mannella, M. Il modello post-reichiano della S.I.A.R. (seconda parte), in PsicoterapiaAnaliticoReichiana, Rivista semestrale online, n°1/2015.

Ollendorff, I. (1978), Wilhelm Reich. Biografia da vicino. Milano: La Salamandra.

Reich, W. (1994), Analisi del carattere. Milano: SugarCo.

[1] Si vedano: Ollendorff I., Wilhelm Reich. Biografia da vicino, La Salamandra, Milano, 1978, e Mannella M., Wilhelm Reich. Il dramma e il genio, Alpes, Roma, 2014, in particolare ’Introduzione.

[2] L’opera di Reich è generalmente ordinata in tre periodi. Quello psicoanalitico (1919/34) in cui il giovane Reich è membro della Società Psicoanalitica Viennese ed intimo di Freud, che è culminato nella definizione della tecnica dell’Analisi del carattere. Il periodo norvegese (1935/39) in cui Reich sviluppa autonomamente la prassi terapeutica della Vegetoterapia Analitico-Caratteriale, che sancisce l’ingresso del corpo nella psicoanalisi. Con la scoperta, poi, dell’energia orgonica assistiamo, nel cosiddetto periodo americano o orgonomico (a partire dagli ultimi mesi del 1939 fino alla sua tragica morte), ad un ulteriore sviluppo della sua riflessione che porta alla definizione della Terapia Orgonica. In questo periodo gli interessi di Reich diventano molteplici: studi di fisica e astrofisica, medicina. Sul piano pratico si assiste anche alla costruzione di numerosi strumenti volti all’utilizzazione dell’energia orgonica alla vita dell’uomo.

[3] Si vedano il capitolo “Gli sviluppi della tecnica terapeutica” in M. Mannella, Wilhlem Reich: Il dramma e il genio, op. cit., M. Mannella, Il modello post-reichiano della S.I.A.R. (prima parte), in PsicoterapiaAnaliticoReichiana, Rivista semestrale online, n°2/2014 e M. Mannella Il modello post-reichiano della S.I.A.R. (seconda parte), in: PsicoterapiaAnaliticoReichiana, Rivista semestrale online, n°1/2015.

[4] A partire dal periodo americano o orgonomico, in seguito alla scoperta dell’energia orgonica, l’interesse di Reich e progressivamente rivolto agli aspetti fisici e astrofici della natura, piuttosto che all’uomo. Del resto egli si sentiva ormai soprattutto un fisico.

[5] Il tema della sessualità naturale e della sua repressione e perversione è centrale nella riflessione di Reich. La S.I.A.R. ha rivisitato anche questo aspetto della sua riflessione. La S.I.A.R. non giudica che la sessualità umana sia un fatto naturale ma un processo complesso causato da molteplici fattori – biologici, psicologici, sociali – che si definisce in età evolutiva. Si veda Mannella M., Corpo, Società, Identità sessuale, Alpes, Roma, 2022.

[6] Come ho affermato nella nota n° 2, l’opera di Reich è solitamente divisa nei tre periodi psicoanalitico, vegetoterapico e orgonomico. Anch’io ho sostenuto questa suddivisione nel mio libro Mannella M., Wilhelm Reich. Il dramma e il genio, op. cit. Oggi sono favorevole a riconoscere la realtà di un quarto periodo, in realtà secondo perché si pone a conclusione del primo e in qualche misura vi si sovrappone, quello psicoanalitico. È il periodo freudo-marxista che ha ne La rivoluzione sessuale (1928), in Psicologia di massa del fascismo (1933), e in Cos'è la coscienza di classe (1933), le sue opere significative. Per onestà intellettuale ricordo che già De Marchi ha indicato la realtà di questa fase nella sua opera Vita e opere di Wilhelm Reich, SugarGo, Milano, 1981. Però De Marchi indica con la denominazione freudo-marxismo il periodo generalmente indicato come psicoanalitico e compreso fra il 1919 e il 1934.

Tale corrente ha avuto in Fromm e Marcuse i suoi più illustri rappresentanti. Entrambi, e questo non fa certo loro onore, hanno taciuto i meriti di Reich. In particolare nell’opera di Fromm risuonano temi e figure già inaugurate o sostenute da Reich senza che si senta il bisogno di ricordarne la primogenitura.

[7]  Tale corrente ha avuto in Fromm e Marcuse i suoi più illustri rappresentanti. Entrambi, e questo non fa certo loro onore, hanno taciuto i meriti di Reich. In particolare nell’opera di Fromm risuonano temi e figure già inaugurate o sostenute da Reich senza che si senta il bisogno di ricordarne la primogenitura.

[8] L’incapacità del piccolo borghese a ribellarsi non dipendeva soltanto dall’educazione autoritaria, ma veniva ulteriormente rafforzata dal fatto che la sua famiglia era spesso anche una piccola impresa economica – bottega artigianale, impresa commerciale o agricola -  che richiedeva una forte coesione interna fondata sulla rimozione della sessualità e dell’aggressività. Ancora: era tipicamente piccolo borghese, l’impossibilità di poter sviluppare un sentimento di solidarietà di classe simile a quello della classe operaia, in quanto essere un membro di una piccola impresa porta a vedere gli altri come temibili concorrenti. Tale difficoltà era ancora più evidente nel caso di impiegati o funzionari pubblici. Il funzionario non si preoccupava del destino dei suoi colleghi, ma della sua relazione con l’autorità aziendale.

[9] La convinzione di Reich che il disagio emozionale degli individui e delle masse avesse primariamente la sua causa nella pratica sociale della repressione della sessualità infantile, non regge la prova del nostro tempo. Nella odierna società la libertà sessuale piuttosto che un’esperienza di liberazione rappresenta un’esperienza politicamente reazionaria. La sessualità del nostro tempo è essa liquida, immatura al pari delle nostre personalità. Oggetto di consumo, la sessualità è oggi una forma di  divertissiment, volta allo stordimento, alla dimenticanza di sé.

[*] Psicologo, Psicoterapeuta, Didatta S.I.A.R., Membro dei Comitati Scientifico e Direttivo della S.I.A.R., Membro del board scientifico della collana CorporalMente dell’Editrice Alpes, Membro della redazione della Rivista PsicoterapiaAnaliticaReichiana. Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.. Indirizzo professionale: Via Flaminia, 19-00196 Roma

 

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