Numero 1/2024
La relazione embodied nella psicologia corporea
Luisa Barbato*
Il campo della psicoterapia corporea manca ancora di una teoria unitaria che permetta di dialogare pienamente con le altre teorie della psicoterapia e con le correlate ricerche. Malgrado ciò, negli ultimi anni molto è stato fatto sedimentando un secolo di esperienze ricche e fruttuose che hanno portato ad una serie di posizioni sempre più consapevoli su che cosa significhi oggi esercitare la psicoterapia corporea.
Un buon punto di partenza può essere la parola inglese embodied di difficile traduzione in italiano, letteralmente sarebbe traducibile con incarnato, termine che tuttavia richiama assonanze religiose. Possiamo allora accontentarci del termine corporeo che si presenta però molto più circoscritto perché l’essenza fondamentale di embodied è che i nostri convincimenti psichici fondamentali siano incarnati. Ciò sta a significare che, fino a che non riusciremo a sentire le sensazioni corporee ed emozionali trattenute e il più delle volte inconsce, la nostra vita continuerà ad essere la stessa, non ci sarà nessun cambiamento, anche se le comprendiamo mentalmente.
Possiamo dire che questo costituisce l’assunto fondante delle scoperte effettuate per primo da Wilhelm Reich (1945 e 1948) circa un secolo fa ed è alla base della moderna psicoterapia corporea.
In ogni forma di sofferenza psichica vi è l’esperienza di una o più emozioni, un’esperienza intensa, indicibile, sia che si parli di disagio psicologico che di psicosi e forse anche della normalità dove ci confrontiamo ogni giorno con ogni tipo di emozione. In psicoterapia ci si può avvicinare al mistero delle emozioni se passato, presente e futuro entrano in una circolarità con l’obiettivo di rivivere ed elaborare le esperienze passate per arrivare a cogliere dentro di noi pienamente le esperienze attuali. Si può affermare che il più delle volte non c’è conoscenza senza sofferenza e la psicologia ha sempre cercato di scoprire l’essenza della sofferenza al di là dei sintomi, ma oggi sappiamo che nel corpo si nascondono i significati profondi, l’essenza profonda delle nostre emozioni, della nostra sofferenza e perfino dei nostri convincimenti mentali.
E’ questa la ragione per la quale senza il corpo la psicoterapia rischia di scivolare nell’interpretazione, indebolendo il contatto umano, psicologico, esistenziale, creativo con la persona in cura. Tuttavia oggi c’è anche il rischio opposto ed è quello che le neuroscienze segnino un rapporto con il corpo piuttosto meccanicistico, ripetendo gli errori della psichiatria naturale incapace di entrare nel guazzabuglio del cuore umano.
Noi, come psicoterapeuti, curiamo invece i disturbi della coscienza di sé, cercando il recupero della soggettività, del tempo, della coscienza intesa come consapevolezza di sé e da non confondersi con lo stato di vigilanza o coscienza di veglia.
Allora, si può usare il termine embodiment, letteralmente incarnazione, come la matrice di ogni relazione umana, compresa quella terapeutica, di ogni tipo di psicoterapia. Viviamo in una società in cui la matrice corporea è diventata dissociata, ci possiamo domandare quando questo è avvenuto e perché. Nel setting terapeutico, ad esempio, il controtransfert corporeo è un aspetto significativo della relazione terapeutica in cui il terapeuta è agito dalla presenza del paziente, agito non in maniera passiva, ma intersoggettiva, in una modalità che più specificatamente potremmo definire intercorporea. Così l’intercorporeità diviene una speciale relazione terapeutica con grandi potenzialità trasformative. Ma cosa intendiamo con embodiment? Si possono considerare i quattro fondamentali stati dell’esperienza umana: l’attivazione fisiologica, quella affettiva-emozionale, quella immaginativa e quella concettuale. (Heron, 1992).
La relazione tra queste parti costituisce un continuo passaggio e scambio tra quello che definiamo fisico e quello che definiamo psicologico. Riferendosi ai 3 cervelli di McLean, ai sette segmenti corporei individuati da Reich, che tuttora costituiscono la base del nostro agire terapeutico, e alle scoperte neuro-fisiologiche di Jaak Panksepp, possiamo dire che non si tratta di una gerarchia, ma di un sistema a sempre maggiore complessità dove il livello superiore emerge, sviluppa, evolve il precedente. Questa gerarchia non è solo bottom-up, come l’evoluzione del cervello lascerebbe supporre, ma anche un sistema di nested hierarchy in cui il livello superiore retrocede con l’inferiore, quindi anche up-bottom secondo le recenti scoperte di Panksepp.
Secondo questo schema di pensiero, il termine corporeo in psicoterapia assume due importanti significati: da una parte si riferisce alla consapevolezza di sé e della relazione con il mondo che abbraccia tutti gli stati della gerarchia sopra citata, dall’altra si riferisce ad un processo in cui la parte psicologica e della coscienza non è separata dal corpo.
Siamo tutti coinvolti in questo processo, ma a livelli di integrazione consapevole differente, condizionati dalla cultura, dalla nostra storia personale, dal contesto in cui viviamo e forse anche dal terapeuta che ci scegliamo. La stessa diagnostica clinica può essere pensata come passaggi da stati in cui siamo pienamente integrati e consapevoli della nostra unità corpo-mente-spirito, che costituiscono l’ideale di salute psico-corporea, a stati in cui siamo dissociati dai diversi aspetti delle nostre esperienze, che costituiscono i diversi gradi di psico-patologia.
Embodiment può essere allora pensato come l’aspirazione e (a tratti) la realizzazione di una piena consapevolezza della gerarchia, dalla fisiologia attraverso l’affettività e la fantasia fino al pensiero e poi anche fino alla coscienza suprema. Varela, Thompson e Rosch (1993) la chiamano enaction ossia embodied action ossia azione incarnata. Se consideriamo i vari livelli della gerarchia abbiamo, oltre alla fisiologia, anche un’emotività incarnata, un’attività immaginativa incarnata e un’attività cognitiva e di pensiero incarnata che insieme costituiscono un’intersoggettività incarnata o, in un unico termine, intercorporeità.
Nell’analisi reichiana, decliniamo questa intercorporeità nei vari segmenti corporei che sono espressione dei segni incisi lasciati dalle diverse fasi della vita infantile, delle fasi della nostra evoluzione, delle emozioni connesse e della conseguente psicopatologia. Abbiamo quindi una mappa molto precisa che esprime l’intercorporeità come mappa di fase, di stadio e di tratto caratteriale.
Ogni relazione terapeutica esprime questa intercorporeità, mettendo in dialogo i tratti caratteriali dell’analista e dell’analizzato e i relativi segmenti corporei. La differenza tra una psicoterapia corporea e una non corporea è la consapevolezza dell’agire sui vari tratti e livelli, con un progetto specifico che coinvolge tutti questi aspetti nella relazione terapeutica.
Noi siamo, infatti, sempre inestricabilmente interconnessi, non possiamo toccare l’altro, sia pure solo con il pensiero, senza esserne a nostra volta toccati. E più raffinatamente siamo toccati e tocchiamo con diversi livelli corporei. Anche se stiamo solo parlando con l’altro, abbiamo sempre uno o più livelli corporei che sono prevalenti per quella relazione, per quel momento, per quel tempo, per quel luogo che esprimono tutta la nostra storia di una relazione, di un momento, un tempo e un luogo vissuti nella storia antica della nostra vita. Si tratta di una complessità di cui solo ora stiamo iniziando a fare chiarezza. La cognizione è interamente legata alla natura corporea dell’essere, la mente non è centrale e il corpo periferico, anzi la loro unità è, per dirla in termini reichiani, funzionale.
Il corporeo è la matrice delle relazioni umane e la psicoterapia è la relazione in cui profondamente possiamo divenirne consapevoli. Da questo punto di vista la memoria implicita gioca un ruolo fondamentale perché la sua iscrizione è prettamente neuro-fisiologica.
Porges (2011) identifica 5 fondamentali stati di attivazione fisiologica che possono essere visti come livelli di connessione nelle specie mammifere tra il fisiologico e l’emozionale, engrammi neuro-fisiologici che si iscrivono nel nostro corpo e divengono la matrice delle nostre relazioni.
Gli stati sono: coinvolgimento sociale, mobilizzazione (attacco-fuga), immobilizzazione (congelamento), immobilizzazione senza paura (varie forme di intimità) e il gioco che Porges definisce come una combinazione di mobilizzazione con coinvolgimento sociale che inibisce l’aggressività e i comportamenti difensivi. Tutti questi stati sono di enorme interesse rispetto alla terapia, ma la terapia stessa, sia individuale che di gruppo, può essere vista come un gioco o una danza in cui si ha mobilizzazione senza aggressività e reciproca interazione con la consapevolezza delle interazioni con l’altro.
Possiamo anche riportare gli interessanti studi nell’ambito della cognizione incarnata effettuati da Wolfgang Tschacher (2011). Il concetto di cognizione incarnata ha profonde implicazioni interdisciplinari tra psicologia, scienze comportamentali, biologia, filosofia e psichiatria. Larga parte si concentra sulla comunicazione incarnata, ossia su come l’embodiment influenza il modo in cui ci rapportiamo agli altri, il ruolo che i movimenti giocano nelle interazioni sociali, quale è la funzione della sincronicità non verbale nelle relazioni interpersonali e in psicoterapia.
La sincronicità non verbale, infatti, denota la coordinazione temporale del comportamento motorio o psicologico di due o più individui interagenti. La ricerca empirica ha mostrato che la sincronicità non verbale è connessa con l’empatia, la qualità della relazione, ed altre emozioni sociali, ed è inoltre connessa con affetti positivi.
I fattori cognitivi incarnati sono inoltre incorporati in un particolare contesto culturale e ambientale.
A questo punto non vorrei che si pensasse che la relazione corporea o incarnata spieghi o esaurisca l’intero mondo della psicoterapia. Ovviamente tutti gli approcci hanno diritto di esistenza e apportano diversi punti di vista, tutti probabilmente fondati e veri nello spiegare l’irriducibile complessità dell’essere umano. Ma la corporeità costituisce il terreno, il suolo su cui ogni cosa cresce e fiorisce. Possiamo ignorarlo e immergerci nelle architetture complesse della nostra mente, ma il terreno continuerà ad esistere, come le fondamenta delle nostre case che permangono e ci sorreggono anche se non ce ne accorgiamo. La differenza, nella psicoterapia, è esserne consapevoli o meno e questo permette o meno di operare e interagire là dove ogni movimento psichico ha le sue radici (Totton, 2015).
Bibliografia
- Heron, J. (1992). Feeling and personhood: Psychology in another key. London: Sage.
- Porges, S. W. (2011). The polyvagal theory: Neurophysiological foundations of emotions, attachment, communication and self-regulation. NewYork, NY: W.W. Norton.
- Reich, W. (1945). Character analysis. New York, NY: Farrar, Straus and Giroux.
- Reich, W. (1948). Function of the orgasm. New York: Farrar, Straus and Giroux.
- Totton, N.(2015). Embodied relating: the ground of psychotherapy. IJBP (International Journal of Body Psychotherapy). Spring 2015.
- Tschacher, W. & Bergomi, C. (2011). The implications of embodiment. Edited by Wolfgang Tschacher & Claudia Bergomi.
- Varela, F.J., Thompson, E., & Rosch, E. (1993). The embodied mind: Cognitive science and human experience. Cambridge, MA: MIT Press.