Numero 1/2024

manchester by the sea

regia di kenneth lonergan
u.s.a. anno 2016

 a cura di Luisa Barbato*

Manchester by The Sea racconta la storia dei Chandler, una famiglia di modesti lavoratori del Massachusetts. Lee Chandler trascorre una vita solitaria tormentato dal suo passato traumatico. Lavora come factotum in un grande condominio di Boston, abita in un appartamento piccolissimo ed è solo per la maggior parte del tempo. La sua vita non è stata sempre così, in un passato che sembra ormai lontanissimo Lee aveva una moglie e tre figli.

Quando suo fratello Joe muore, è costretto a tornare nella cittadina d'origine, sulla costa, Manchester By the Sea, e scopre di essere stato nominato tutore del nipote Patrick, il figlio adolescente di Joe. Cerca di affrontare la situazione con il nipote e si occupa delle pratiche per la sepoltura, ma nel frattempo rientra in contatto con l'ex moglie Randy e con la vecchia comunità da cui era fuggito. Allontanare il ricordo della tragedia diventa sempre più difficile e Lee non è pronto ad affrontare questo cambiamento, non tanto per Patrick, quanto perché la ferita legata al trauma passato non è stata ancora superata. In pochi giorni Lee deve confrontarsi con eventi e persone che aveva deciso di allontanare e trovare una soluzione per prendersi cura del nipote che non ha più nessuno a parte lui.

manchester by the seaIl film è scritto e diretto da Kenneth Lonergan, la fotografia di grande intensità è di Jody Lee Lipes, mentre il protagonista Casey Affleck, fratello di Ben, ha vinto un Golden globe e un Oscar per questa interpretazione. Il film è stato anche candidato agli Oscar per miglior film, regia, sceneggiatura, attore non protagonista e attrice non protagonista. Una prova eccellente è anche quella del giovane Lucas Hedges (Patrick). Casey Affleck è un attore generalmente poco espressivo, ma in questo film è protagonista assoluto, è inquadrato quasi costantemente e recita per sottrazione con grande bravura.

Ambientato nel New England, sulle coste settentrionali del Massachusetts, dove la natura ha la meglio sull'uomo, il film ha una grande intensità emotiva.

Siamo a pochi chilometri da Boston, eppure sembra di essere sulla costa inglese, tra barche a vela, pescherecci, albatros e pinte di birra. E’ una tristezza inguaribile e Lee è ancora tormentato dal proprio tragico passato che lo ha allontanato da Randy e dalla comunità in cui è nato e cresciuto. Lee e Patrick lotteranno per andare avanti e gestire il mondo che li circonda, anche senza l’apparente coinvolgimento di Lee. Il tutto con un ritratto ora toccante, ora divertente dell'amore familiare e delle dinamiche delle piccole comunità.

Tutto questo perché il film è un dramma, ma non un melodramma: mancano le scene madri, mancano i confronti accorati e le lacrime liberatorie.

La gran parte del film è altrove: testo, ambientazione e recitazione vanno nella stessa direzione di assoluta sobrietà. La scrittura, che alterna i due piani temporali del prima e del dopo, è gestita con grande equilibrio e il film è coinvolgente perché riesce ad essere umano, descrivendo un personaggio, quello di Lee, che non agisce in maniera eroica di fronte alle tragedie della vita, ma soffre come farebbe ognuno di noi.

Il risultato è una specie di rivisitazione laica della figura di Giobbe, il personaggio della Bibbia che sopporta qualunque sventura Dio gli fiondi addosso. In questo senso Manchester by the Sea è un film raro, in cui i personaggi rinunciano all’amore e ai sentimenti, all’espressione di qualsiasi emozione profonda, non per inettitudine, ma per la necessità di sopravvivere.

Sia la regia che la recitazione sono tutte improntate alla reticenza, al non dire, non mostrare, fare il meno possibile per non mettersi contro la corrente del destino.

Possiamo dire che è un film sul trauma e la sua elaborazione. Il trauma assume un ruolo narrativo: estende i confini, evidenzia le reazioni, cela il dolore, conferisce opacità, esalta lo scarto temporale. Tutto sembra procedere guidato da una dinamica interiore: memorie che emergono secondo una libera associazione, un cambiamento d’umore, un sentimento, un’emozione più o meno forte. O un’immagine, una situazione, un paesaggio.

Se la vita “esteriore” di Lee sembra ormai ridotta al livello zero, completamente appiattita da un’indifferenza autodistruttiva, quella intima si muove veloce, procede a ondate guidata da un dolore che si cela, ma non svanisce, non scompare e non si attenua. Rimane dentro e lavora, scava, lascia ferite nel cuore e rughe sul viso. Rimane sotto pressione ed esplode in rabbie improvvise, immotivate, colpendo a vuoto il primo che capita a tiro, per poi tornare nell’apparente indifferenza esteriore.

Tutta la struttura temporale duale del film ha la finalità di incarnare l’impasse di Lee, quell’impossibilità di vivere pienamente il presente, stretto d’assedio tra un passato che toglie la speranza, un trauma che difficilmente permette altri percorsi, altre scelte, e un presente senza un vero respiro vitale.

L’insistita ripetizione dei flashback permette di entrare nelle ferite del cuore con l’attenzione necessaria a non riaprirle definitivamente, perché il lutto è sempre presente, è un lutto che si ripete ogni giorno, nonostante i tentativi, i propositi, le rielaborazioni… C’è anche una stoica sopportazione che sa tramutarsi in un senso dell’ironia strano, malinconico, irresistibile.

Il cinema di Kenneth Lonergan racconta quel momento dell’esperienza traumatica in cui si diventa consapevoli che non potremo più tornare ad essere le persone che eravamo, è il momento in cui perdiamo qualcosa e questo lascia una frattura che diviene irreparabile senza la necessaria elaborazione psico-corporea.

 
 

* Psicologa, Psicoterapeuta, Analista S.I.A.R., Vice Presidente SIPAP
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