Numero 2/2024

Alessandra

Questo articolo è la parziale documentazione di un incontro di supervisione analitico-clinica in gruppo condotta da Genovino Ferri, psichiatra, analista reichiano.

Un terapeuta presenta il caso di un proprio paziente, gli altri terapeuti intervengono con domande e commenti, il supervisore conduce.

 

Terapeuta: Alessandra, 32enne, mi è stata inviata da una psichiatra del Centro di Salute Mentale, circa 9 mesi fa.

Vive in un paesino della mia provincia da alcuni anni, in una casa di proprietà della madre di lei, insieme al fidanzato; lei lavora come insegnante, mentre il fidanzato è in cerca di occupazione.

All'inizio era molto in sovrappeso e poco curata nella sua femminilità, attualmente tiene molto di più a se stessa.

Ha una diagnosi di disturbo da attacchi di panico con agorafobia e presenta una sintomatologia caratterizzata da sensazione di derealizzazione, parestesie agli arti inferiori, instabilità, accompagnate da una polarità bassa dell'umore e condotte di evitamento. Pratica una terapia psicofarmacologica con antidepressivi a bassi dosaggi.

Dopo nove mesi dal primo incontro mi riferisce (e aggiunge “non l’ho mai detto a nessuno”) che, quando attraversa la strada sulle strisce pedonali, sentendosi insicura, chiude una mano o un piede come un pugno, con le unghie delle dita che premono. Sentendo in tal modo un po’ di dolore riesce a superare la difficoltà dell’azione; utilizza questa modalità anche quando è costretta a camminare velocemente o deve salire su un autobus.

La storia

I genitori di Alessandra si sono conosciuti a Roma durante il loro periodo universitario e dopo due anni di fidanzamento si sono sposati.

Mi ha raccontato che il padre bevve alcolici poche ore prima del matrimonio, aggiungendo che la nonna materna non lo aveva mai accettato, perché un po' donnaiolo.

Alessandra è gemella eterozigote, nata di 3,200 kg mezz’ora prima della sorella, il cui peso era di 3 kg.

Prima di loro la madre aveva abortito tre volte, forse volontariamente, perché era in carriera lavorativa.

Il padre, italo-greco, la madre, italo-inglese, attualmente vivono a Roma.

In famiglia, pur parlando italiano, si è respirata un'atmosfera di cultura straniera nell’alimentazione, nella musica, nella visione dei film.

La sorella vive in Svizzera con un compagno tedesco, lavora in banca, dopo aver conseguito la laurea in Economia.

Alessandra mi descrive ciascun componente della famiglia con chiara espressività. Il padre: divertente, bugiardo, piacevole “mi appoggia, mi capisce, scherziamo, mi aiuta, mi dava e mi dà sicurezza”; la madre: forte di carattere, una sensibile mascherata, un po’ fredda; la sorella: ambiziosa, introversa, sensibile. Lei si descrive: amichevole, insicura, attualmente dipendente, "non riesco a fermarmi in un posto e viverci stabilmente".

Ha preso il diploma di ragioneria, come la sorella, e ha successivamente frequentato un corso professionale per il turismo.

Riferisce che il loro parto è stato naturale e a termine.

Le gemelle sono state allattate al seno per soli tre giorni, in quanto la madre non aveva abbastanza latte ed era anche desiderosa di tornare alla sua attività lavorativa.

Alessandra ha utilizzato il biberon e il ciuccio fino ai tre anni, il controllo degli sfinteri si è compiuto ai quattro anni, soffrendo però di enuresi fino ai cinque.

Precisa come la sorella l’abbia anticipata in tutto e che la madre le vestiva uguali fin dalla nascita.

Da piccola era sempre affamata, si svegliava di notte e piangeva, mentre la sorellina dormiva tranquilla. Aveva anche un sogno-incubo ricorrente: sognava la madre, che in un primo tempo era cara con lei, ma poi diventava cattiva. Alessandra si lamentava sempre e metteva spesso il muso alla madre.

Nei primi anni di vita le due piccole hanno sentito molto la presenza del padre in casa molto di più di quella della madre, che lavorava come manager e rientrava tardi la sera. Il lavoro era per lei prioritario tanto che le piccole erano molto legate affettivamente alla loro babysitter.

A 45 anni la madre perse il lavoro a causa dei tagli del personale, così i ruoli genitoriali a casa si ribaltarono (le piccole avevano 8 anni). La mamma, diventata casalinga, si occupava della famiglia mentre il papà era spesso fuori casa. Venne inoltre licenziata la babysitter, che fino a quel tempo le aveva accudite con dolcezza e calore.

Quando le gemelle avevano dieci anni, nel '96, morì il nonno materno (inglese di origine) e la nonna materna, rimasta sola, andò a vivere con loro, destabilizzando ancor di più la scena familiare. Molto autoritaria e invadente, nonché temuta, qualche anno dopo scoprì che il padre aveva una relazione con la babysitter, continuata anche dopo il licenziamento di quest'ultima, facendone rivelazione alle ragazze.

Le gemelle hanno frequentato le scuole elementari a cinque anni, Alessandra era pigra e non rendeva nello studio, mentre la sorella eccelleva. Erano comunque in classi diverse. Alessandra aveva una maestra molto rigida, che la puniva duramente, spesso portandola nella classe della sorellina, alla quale ad alta voce riferiva che non aveva risposto correttamente ad una domanda. Era mancina, ma la maestra la costrinse ad usare la destra.

Alle scuole medie e superiori hanno invece frequentato la stessa classe.

La sorella era molto precisa, la più brava della classe e sosteneva molto Alessandra, che era emotiva, presa in giro dagli altri, ma che riuscì a diplomarsi con 90/100.

"A diciotto anni ero veramente grassa, nervosa e infelice, così decisi di consultare una dietologa e riuscii a dimagrire quindici chili in due mesi, ma poi ne ripresi molti".

Il peso attuale è di 85 Kg e da alcuni anni soffre di stipsi.

La sorella è sempre stata magra, come la mamma e le assomiglia anche fisicamente, mentre lei è più simile al papà, anche lui un po’ in sovrappeso.

Alessandra ha frequentato un corso di due anni in un Istituto per il turismo, che le è piaciuto molto e le ha consentito d’imparare le lingue.

Durante il primo anno fece un primo stage da sola in un albergo francese. Fu la madre ad accompagnarla e a lasciarla piangente, ma resistette solo un mese; spesso la responsabile la umiliava davanti ai clienti, specificando quanto la giovane che l’aveva preceduta fosse più brava.

Nel secondo anno fece un altro stage in Spagna e furono il padre e la sorella ad accompagnarla. Alessandra reagì piangendo e chiedendo di tornare a casa, ma il padre le diede fiducia e sostegno, promettendole di tornare a prenderla se fosse stato necessario. Stette sei mesi in Spagna lavorando in un albergo; la ricorda come una bellissima esperienza, si trovava bene con la responsabile e i compagni di studio, era indipendente, autonoma e apprese bene lo spagnolo.

Il rientro però fu difficile, sentiva addosso l’insostenibilità dell'oppressione-controllo della madre e della nonna: convinse così la madre a mandarla vicino Londra, nel paese del nonno, dove avevano una casa, per imparare l’inglese; lei acconsentì nonostante vivesse con terrore la possibilità di autonomia delle figlie, alle quali si era legata particolarmente dopo il rientro in casa e carriera fermata.

Lì conobbe l'attuale fidanzato, che lavorava nel suo stesso albergo; ben presto però lasciarono l'Inghilterra per tornare di nuovo a Roma a casa dei propri genitori.

Alessandra cominciò a star male, a soffrire la città, aveva spesso mal di gola e febbre. Per tre volte chiamò l’ambulanza, spaventata dal poter avere problemi cardiaci, percependo un senso di costrizione al petto. Un giorno ebbe un attacco di panico, le si bloccò il piede sinistro, che non riusciva ad appoggiare, cominciò a zoppicare, sentiva il nervo infiammato, ma i medici non riscontrarono patologie.

Alessandra non riusciva più a stare tra la gente e con il fidanzato decisero di trasferirsi nel paese dove vivono attualmente; oggi riferisce di sentirsi tranquilla con il fidanzato, ma si sente un po’ bloccata nell’intimità a causa del suo peso.

In una lettura psicodinamica direi che lo schema più significativo di Alessandra è quello del non essersi sentita vista dalla madre, poco affettiva, insufficiente e richiedente, alla quale non riesce ad esprimere i tanti “no” che le implodono dentro; ad ogni suo tentativo di distanza la madre le chiede se le vuol bene, procurandole forti sensi di colpa.

Il percorso psicoterapeutico fino ad oggi ha registrato notevoli miglioramenti sul piano clinico, relazionale e della cura di sé.

La Supervisione

Supervisore: (rivolgendosi alla psicoterapeuta) quale domanda poni alla supervisione?

Psicoterapeuta: vorrei avere una consapevolezza maggiore del quadro clinico-analitico e verificarlo con il gruppo in supervisione.

Supervisore: (rivolgendosi al gruppo degli psicoterapeuti) come possiamo aiutare Alessandra e la sua psicoterapeuta?                                              

Quali sono i segni incisi della narrazione che vi hanno più colpito?

Riflessioni dei componenti del gruppo:

  • La gravidanza gemellare.
  • La minacciosità che aleggia durante la gravidanza, considerato i tre aborti precedenti.
  • L'allattamento al seno per soli tre giorni (oralità insoddisfatta).
  • L'enuresi fino ai 5 anni.
  • Il controllo sfinterico maturato in ritardo.
  • La muscolarità che ha faticato ad esprimersi.
  • Il mancinismo corretto e la maestra castrante alle scuole elementari.
  • La sorella molto più competitiva.
  • La madre in carriera.
  • La coppia sostitutiva "padre-babysitter" che esce con l’entrata della madre a 8 anni.
  • La nonna materna autoritaria e invadente, dai 10 anni a casa in famiglia.
  • Il fidanzato affettivo ma non genitalizzato.
  • La minaccia di esclusione.

Supervisore: ottime considerazioni che ci svelano un quadro di segni incisi che hanno determinato una personalità complessa e sofferente.

Dobbiamo scegliere fra la molteplicità delle domande implicite; in particolare proporrei di fare focus sulla domanda implicita e clinica presente nel segreto confessato alla psicoterapeuta, che ha link evidenti con l'intero quadro personologico e clinico.

Intervento 1: mi chiedo quale sia il senso dell’aiutarsi facendosi male alle mani quando è in difficoltà.

Supervisore: la paura di attraversare le strisce pedonali è legata alla paura della perdita del controllo, per cui deve sentirsi per farcela. Alessandra ricorre al dolore per non correre troppo e così potercela fare, cercando un equilibrio tra l’accelerazione che la smarrisce e la paralisi che la immobilizza. Il meccanismo del sentire dolore le permette di riprendere il controllo, far salire la vigilanza ed essere più presente.

Intervento 2: questo controllo mi fa pensare al trattenere le feci.

Intervento 3: richiama la muscolarità, il suo intento non è quello di farsi male, ma di aumentare il suo tono.

Intervento 4: aumenta la presenza: “mi raccolgo e mi concentro”.

Supervisore: certo! Per attivare ed essere fra i due estremi: l'accelerazione che potrebbe farle perdere gli occhi-controllo e la paralisi che non la fa agire.

Sono presenti tratti intrauterini fobico-masochistici a partire da un solo spazio per due, oltre che di allarme e minacciosità, insieme ad un tema di separazione-passaggio-approdo e ad un forte tratto di oralità difettuale e insoddisfatta.

Intervento 5: per fare i passaggi ha bisogno di condividerli.

Supervisore: sì e nel dopo passaggio incontra un'insufficienza orale e un gran complesso di castrazione, c’è la sorella più competitiva, la madre che non la include, il padre sulla periferia del campo, la nonna minacciosa e invadente.

Sul versante femminile lei è ultima in aggressività e dintorni, quindi ha un tema incombente di castrazione dal femminile, ma strizza l’occhio all'affettività paterna. Il viaggio in Spagna infatti va meglio di quello in Francia; in entrambi è presente un’ansia da separazione, ma Alessandra riesce ad affrontarla meglio quando è accompagnata dal padre e dalla sorella. C'è sempre comunque con lei un accompagnatore: la sorella, la madre, il padre, il fidanzato.

Psicoterapeuta: quando è arrivata da me ha incontrato un femminile accogliente, l’ho inclusa, ma le ho anche trasmesso un piglio.

Supervisore: la tua relazione con lei va a recuperare un recettore conosciuto, penso sia quello della relazione con la babysitter... una simulazione incarnata terapeutica appropriata! Questo tuo imprinting relazionale ha ottenuto risultati rapidi in tempi terapeutici, penso cioè che abbia riattivato situazioni già presenti e depositate in lei, la tua posizione controtransferale di genere, di tratto e di campo sta funzionando bene.

Se quanto appena detto rappresenta il primo principio attivo di una psicoterapia, quello relazionale, quale sarà il secondo principio attivo da utilizzare?

Ovvero quale sarà l'attivazione incarnata terapeutica, l'acting di Vegetoterapia Carattero-Analitica da proporre a questa giovane per renderla più indipendente?

Successivamente andrà coordinato, ai due suddetti, il terzo principio attivo ovvero la terapia psicofarmacologica che assume, nei tempi, nei dosaggi e nelle domande appropriate rivolte al farmaco, per concorrere alla realizzazione del progetto terapeutico.

Occupiamoci nello specifico adesso del secondo principio attivo nel nostro indirizzo analitico reichiano: come utilizzare la Vegetoterapia Carattero-Analitica in un'istituzione, in un CSM, per far trovare ad Alessandra il suo posto nel mondo, recuperare i rischi di vuoto smarrimento-visivo, attenuare l’ansia che può suscitare il non sapere dove guardare?

Come tradurre cioè queste domande psicoterapeutico-cliniche in acting di Vegetoterapia Carattero-Analitica?

Psicoterapeuta: ritengo utile il punto fisso luminoso con luce, perché Alessandra ha bisogno di fermarsi.

Supervisore: perfetto, nell'istituzione questo può essere tradotto nel contatto occhio-occhio relazionale, incontrarla negli occhi, i tuoi occhi sono luce per lei; in seguito, quando sentirai-sentirete che sarà sostenibile, dai tuoi occhi può portarsi alla punta del suo naso, re-individuarsi con te presente che la vedi e la sostieni in tale movimento... riportarsi su di sé senza attaccarsi e sostenere la madre, così da rinforzare la sua indipendenza nell'inclusione.

Successivamente, se vogliamo tracciare ipotesi di linee guida per un'appropriatezza psicoterapeutica, considerando che Alessandra ha avuto difficoltà nell'organizzare la muscolarità e il controllo sfinterico fino a 5 anni, il contatto oculare può essere letto come propedeutico per la maturazione di un'altra attivazione incarnata terapeutica, più di fase muscolare: come tradurla in un acting?

Intervento 6: potrebbe essere utile l’acting di aprire e chiudere la mani, ma nella direzione del prendere, equivalente del rientro su di sé.

Supervisore: è in coerenza con una implementazione di energia strutturante, organizzante, mielinizzante, terreno per poter poggiare un'individuazione di stadio ulteriore. La fissazione su cui è stata segnata la storia della sua vita è quella di quando si trova davanti alle strisce pedonali e nel suo stringere fino a farsi male richiama un bisogno di tono muscolare, controllo sfinterico qualcuno aveva suggerito, per sostenersi e attraversarle, andare ad altro stadio!

Il sé di Alessandra ci sta indicando una strada terapeutica... come possiamo amplificarla e metterla in atto nella relazione, nel setting e andare nel mondo? Lei poggia su questa afferenza periferica per attraversare la strada e questa è l’indicazione, le restituisce il collo e una direzione di convergenza oculare.

Ha fatto dono alla psicoterapeuta di questo segreto: come possiamo tradurre questa cosa che fa Alessandra, estremamente intelligente ed economica, pur primitiva e grezza, in un setting dell’istituzione?

Intervento 7: mi associa la crisi che ha quando sta a casa della madre, che la trattiene, la chiude e non è capace di sostenerla nei passaggi, ad andare nel mondo; l'angoscia di Alessandra è lo specchio dell'angoscia nevrotizzante della madre che l’accelera per fuggire e la paralizza nel richiamo.

Psicoterapeuta: potrei sedermi di fronte a lei piuttosto che stare al di là della scrivania. Può aprire e chiudere le mani guardandomi.

Supervisore: certo, partirei però da... “fammi vedere quello che fai”, dal farlo agire così com’è, leggendo e sentendo questo movimento con tutte le sue valenze, per poi farlo evolvere e accompagnare da una vocalizzazione.

Intervento 9: ho capito che quello che lei percepisce come strano ha in realtà un’intelligenza... fantastico!

Supervisore: ricapitolo. Il dolore le procura una scossa noradrenergica, una presenza maggiore, una restituzione del collo. Come possiamo arrivare a questo esito facendo emergere da quello che fa un qualcosa di meno primario? Per esempio cosa non dice e ha represso in quel pugno serrato?

Psicoterapeuta: il suo Io, l'evoluzione possibile di una sua individuazione nell'inclusione, non il No che sento troppo forte per lei, che potrebbe rischiare l'insostenibilità nelle separazioni-approdo ovvero nei passaggi, almeno in questo tempo.

Supervisore: perfetto, è la strada neghentropica di Alessandra. Puoi allora aiutarla a coordinare l'aprire e chiudere le mani, ma, nel mentre le chiude, va depotenziata l'intensità dell'infissione delle dita-unghie fino al sentire dolore e questa energia va spostata e trasformata in voce affermante con ritmo e tono il suo Io, che sale attraversando il IV e il III livello (il Torace e il Collo) va a rinforzare la convergenza oculare del I livello. Il tutto in una scena che la vede di fronte a te, includente e sostenente la sua individuazione.

Il Supervisore, per concludere, chiama la psicoterapeuta al centro, con il gruppo a corona, le chiede di porsi di fronte a lui e di esprimere l'attivazione per l'embodiment emerso dalla progettualità sullo specifico focus clinico, per segnarla appropriatamente sulla posizione e sul come, da trasferire nel setting istituzionale con Alessandra. L'acting si protrarrà per 15', verosimile candidato ad acting sovraordinato, da accompagnare in seduta al trattamento di tutti i vari problemi psicodinamici segnalati nelle precedenti riflessioni del gruppo.

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