Numero 1/2024
La riabilitazione psicosociale delle psicosi
Robert Brumarescu*
Suggestioni e riflessioni a margine del Convegno “la riabilitazione psicosociale nelle fasi precoci delle psicosi. Nuovi modelli e prospettive per una migliore qualità della vita”.
Roma, 14.04.2016
La pratica clinica espone ogni giorno la complessità del disagio psichico. L'intervento sul paziente grave non si esaurisce nella mera remissione dei sintomi, ma punta all'incremento della funzionalità psico-sociale, con l'obiettivo di migliorare la qualità della vita. Questo, quanto emerso dal Convegno tenutosi il 14 aprile 2016 a Roma.
Finalità del progetto è la costruzione di nuovi modelli e prospettive per il disagio psichico. Punto cardine emerso durante il dibattito multidisciplinare è la centralità della valutazione del paziente grave. Non è più sufficiente una stima della sintomatologia nei servizi per la Salute Mentale, bensì urge la necessità di valutare il reale funzionamento del disagio psichico nel contesto sociale, familiare e lavorativo.
Interrogarsi sulle cause della schizofrenia ha prodotto spesso risposte confuse. La vera sfida è comprendere la funzionalità della psicosi. Inforcando le lenti di un modello bio-psicosociale, l'obiettivo principe dell'intervento psicoterapeutico è riacquistare le abilità sociali, gravemente compromesse nei pazienti psicotici. Prima ancora del conclamarsi della malattia, prima ancora della manifestazione florida della sintomatologia positiva e negativa, emergono deficit nelle capacità comunicative e relazionali del paziente, facilmente riscontrabili attraverso misurazioni oggettive. Le abilità sociali, basate sulla Teoria della Mente (TOM), risultano di cruciale importanza nell'attribuzione causale e del riconoscimento degli stati mentali dell'altro. Nel paziente psicotico ci troviamo di fronte al crollo della capacità di mentalizzare. Falliscono rapidamente le capacità di decentramento ed attribuzione, con innumerevoli bias emozionali. Gli eventi negativi che si presentano al paziente psicotico vengono massivamente interpretati attraverso un'attribuzione causale esterna.
Nella malattia psicotica viene meno il monitoraggio stesso degli stati interni. Il riferimento alla Teoria della Mente porta a collegamenti obbligati: come non riflettere sui neuroni specchio (Rizzolatti, Fogassi e Gallese). Il sistema motorio dell'osservatore si attiva alla visione di un'azione o alla presentazione del suono, senza che questo implichi necessariamente la produzione di un esplicito movimento, ma solo la programmazione di quel movimento, o la pre-attivazione dei muscoli coinvolti. Numerosi studi di neuroimmagine hanno dimostrato come il sistema dei neuroni specchio sia coinvolto non solo nella comprensione delle intenzioni, ma anche nel riconoscimento delle emozioni e dell'empatia. In quest'ultimo caso, i neuroni specchio risultano direttamente collegati all'insula, nonché al sistema limbico. Alla luce di questi dati la domanda emerge spontanea: riabilitare che cosa nel paziente psicotico?
Proprio le funzioni metacognitive, con un sostegno costante ed un'attenzione preminente alla qualità del legame ed alla piena espressione del Sé, possibile anche attraverso il Sé-Corpo.
Passi avanti sono stati compiuti nella farmacoterapia così come nella psicoterapia. Alla prima va attribuito l'onere non solo della gestione delle acuzie, ma anche nel proseguo della malattia. Se è vero che nessuno pensa ad oggi di guarire un paziente diabetico, allo stesso modo la psichiatria non nasconde i propri limiti: la scomparsa dei sintomi psicotici quali deliri ed allucinazioni è solo una piccola battaglia vinta nella guerra alla malattia grave.
La vera sfida resta il reinserimento di questi pazienti nella società, la loro autonomia. L'80% dei pazienti curati farmacologicamente con gli antipsicotici atipici di seconda generazione a distanza di un anno o due avrà una ricaduta.
Colpa dell'Olanzapina o del Risperidone? Non proprio. E' la non aderenza al trattamento farmacologico la causa principale del crollo psicotico. Ecco allora l'avvicinarsi sulla scena di una nuova opportunità: i farmaci LAI. Introdotti a metà degli anni Sessanta, gli antipsicotici iniettabili per via intramuscolare, a rilascio prolungato (RP), altamente funzionali nella prevenzione delle ricadute sono utilizzati solo dal 5% dei curanti. Avvalersi della sola terapia farmacologica risulta un intervento miope. La sfida più urgente? Lavorare in equìpe per un concreto inserimento sociale e lavorativo del paziente psicotico.
Il sogno di un paziente affetto da schizofrenia? Essere visto e riconosciuto nella società.
Bibliografia
- Rizzolatti, G., Fogassi, L. & Gallese, V. (2004), Cortical mechanisms subserving object grasping, action understanding and imitation, in Gazzaniga, M.S.. editor, The New Cognitive Neurosciences, 3rd Edition. Cambridge, MA.: A Bradford Book, MIT Press.
[*] Psicologo.