Numero 1/2024
L'eredità analitico/terapeutica della vegetoterapia
Giuseppe Ciardiello*
"Le fantasie e le difese collegate a queste esperienze preverbali e presimboliche, depositate nella memoria implicita, verranno a costituire un nucleo inconscio del Sé non rimosso che potrà condizionare la vita affettiva, emozionale, cognitiva e sessuale del soggetto anche da adulto. La memoria implicita e la sua organizzazione anatomo-funzionale verranno a costituire un'area di incontro e integrazione tra le neuroscienze e la psicoanalisi."
(Mancia, 2004)
Nonostante l’inconscio sia indagato da tutte le psicoterapie, la sua definizione è sempre stata appannaggio della sola psicoanalisi. Tale delega ha portato ad una sudditanza, nei confronti della psicoanalisi, da parte delle altre psicoterapie e in special modo da parte delle psicoterapie corporee.
Questo è valso anche per la VegetoTerapia (VgT) che, pensata da Reich come una precisa tecnica terapeutica, si è vincolata all’eredità freudiana per la maggior parte dei suoi costrutti teorici; in particolare, pur declinandosi diversamente dalla psicoanalisi nell’applicazione clinica, nel corso della sua evoluzione ha evitato una propria ridefinizione dell’inconscio e dei corrispondenti accadimenti psichici.
Anche se utilizza gli stessi presupposti epistemici della psicoanalisi, come i meccanismi di difesa, la concezione energetica della loro organizzazione, il complesso di Edipo, le fasi evolutive, i caratteri, ecc…, nella pratica dell’intervento, nella strutturazione e nella gestione del setting, la VgT si impegna ad individuare modi diversi da quelli psicoanalitici per modificare gli stati dell’organismo (nello specifico la VgT utilizza modalità corporee ad integrazione di quelle cognitive) per i quali sarebbe opportuna la costruzione di teorie alternative a quelle psicoanalitiche classiche. È probabile che oggi, teorie ad impianto fisiologico, psicofisiologico e psiconeurofisiologico potrebbero meglio servire agli scopi della VgT.
Guardando alla VgT si ha come l’impressione che sia rimasta presa in un conflitto originario doppiamente evitante, prodotto da una tendenza cognitiva e da una corporea. Tale conflitto, originato dall’ingenuo atteggiamento biologista di Reich, continua a condizionare i cultori della VgT che sembrano non riuscire a riscattarsi dalla psicoanalisi; riscatto e autonomia che Reich stesso aveva tentato con la soluzione orgonica.
Un esempio specifico relativo alla diversità d’intenti della VgT può essere il fatto che, mentre la psicoanalisi nega di doversi occupare delle domande esplicite poste dai pazienti, la VgT è nata come tecnica terapeutica mirata a rispondere alle immediate esigenze dei pazienti (anche a quelle di risoluzione sintomatica).
Dall’adesione totale alla teoria psicoanalitica nasce anche il conflitto d’individuazione della Vgt che ha guardato alla psicoanalisi in posizione debitoria anche quando ha sentito la necessità di preservare il carattere relazionale del rapporto terapeutico.
La dimensione relazionale di questo speciale rapporto fu individuata e formalizzata da Reich con l’originale testo intitolato Analisi del Carattere del 1933.
Evidente in Reich, che doveva guadagnarsi l’adultità terapeutica sancita da Freud, il conflitto di cui sopra sembra riprodursi nei suoi seguaci anche attuali con la differenza che, mentre Reich si è sentito poi eletto nel compito di investigare il sublime dell’indagine orgonica, e ha giustificato in tal modo la fedeltà all’osservazione intrasoggettiva, anche quei suoi continuatori che sono rimasti tiepidi circa l’orgone e che hanno continuato la puntualizzazione clinica, non hanno saputo connettere adeguatamente l’osservazione dell’accadere umano ai processi biologici sottostanti: non hanno saputo leggere la saldatura della biologia umana con la relazione insita della realtà intersoggettiva.
Tralasciando la fisiologia, e la sua costante necessità di specificazioni, la VgT ha un po’ tradito la sua vocazione originaria come quando utilizza termini specifici per raccontare eventi generici (il modo di intendere ciò che è funzionale, non è mai messo in relazione con il sistema funzionale di Anochin) (Ruggieri, 1988) o quando, senza darne le dovute spiegazioni, impiega l’uso di termini poco chiari, come il termine Orgone in sostituzione di quello di Energia.
In clinica, l'uso improprio di questi termini, e la mancata ridefinizione corporea e psicofisiologica dei concetti d’inconscio, di transfert econtrotransfert, dei meccanismi di difesa ecc…, possono essere riconducibili al bisogno (ereditato?) di riallinearsi analiticamente. E quando ciò avviene si rischia di alimentare un implicito senso di colpa che inibisce una schietta individuazione. E su questo terreno potrebbero prodursi anche grossolane contraddizioni interne.
L’avvento delle neuroscienze, che rende possibile resoconti più complessi e puntuali del funzionamento cerebrale, per il punto di vista reichiano si offre come un’ulteriore opportunità. Finalmente si può reclamare una maggiore attenzione al corpo che è visto non più solo come semplice agente del comportamento evidente (Comportamentismo).
Per le terapie corporee ciò ha significato che, se in origine lavorare con il corpo poteva significare evocare, attraverso ilcorpo come strumento di lavoro (la postura, gli atteggiamenti, le modalità di occupazione dello spazio, la gestualità, ecc…), supposti riflessi cognitivi, oggi l’intervento clinico corporeo si impone alla consapevolezza come un agito che comprende contemporaneamente tutt’e due gli aspetti, cognitivo e corporeo, che si completano realizzando l’organismo nei suoi processi intenzionali e di scopo.
Questo nuovo modo di vedere l’organismo umano consente di guardare ai processi come i meccanismi di difesa, solitamente intesi come eventi unicamente cognitivi, come processi di realizzazione anche corporea. Una difesa sarà contemporaneamente mentale, cognitiva e corporea; il tutto con un significato univoco.
Questa nuova dimensione obbliga ad un’ulteriore diversità di lettura. In questa chiave diventa indispensabile considerare che, la descrizione della complessità dell’organismo, rimanda sempre ad un aspetto relazionale perché è per il tramite del corpo in relazione che l’organismo re/alizza, dentro se stesso, quanto i processi cerebrali elaborano mentre ricevono auto segnalazioni dalla periferia (del corpo) che è sempre in relazione a qualcuno o qualcosa.
Si è sempre in presenza di un circuito che include l’altro della relazione, perciò i fenomeni fino ad oggi considerati cognitivi, come per esempio la proiezione, da sempre considerata un fenomeno individuale, e quindi di natura intrasoggettiva, oggi devono poter essere spiegati ricorrendo sia ai processi corporei sia a quelli cognitivi sia a quelli relazionali.
La parte e il tutto
I processi organismici non possono essere parcellizzati.
Pur essendo possibile ricondurre a specifici siti cerebrali determinate funzioni, nel dettaglio dei processi si scopre che queste funzioni fanno sempre capo a processi più complessi di quello che potrebbe sembrare e che non sono univocamente riconducibili ai rispettivi siti perché, per ogni funzione, sono diversi, e diversamente articolati, i sistemi implicati[1]. Per esempio la funzione del linguaggio, comunemente ricondotta all’area di Broca, implica la collaborazione di diversi sistemi di diversa provenienza, sia neurologica sia muscolare sia scheletrica (apparato fonatorio, senso del gusto e dell’olfatto, articolazione della mandibola, apparato respiratorio, ecc...). Allo stesso modo il sistema cardiaco, che può essere considerato un sistema a sé, di fatto dipende da altri sistemi come per esempio dall’apparato scheletrico, da quello respiratorio, endocrino, digestivo, dal sistema nervoso, muscolare, ecc... perché, come tutti gli altri sistemi, è costituito da sottosistemi. Inoltre, contenuto nella cassa toracica, è direttamente influenzato e dipendente sia dal movimento polmonare sia dalla funzione respiratoria. In più, queste dipendenze risultano essere reciproche così che, agendo su un sistema, si agisce su tutti gli altri ed ogni sistema risulta essere sia ricevente sia stimolo per gli altri sistemi. Ogni stimolo è ulteriormente colorato emotivamente perché possa produrre un’adeguata comprensione!
Questa interdipendenza prescrive un’osservazione integrata e complessiva degli organi-in-relazione ed è proprio questa necessità a rendere l’identità funzionale, introdotta da Reich, un caposaldo inconfutabile ancora oggi.
L’idea di identità funzionale afferma implicitamente che il pensare e il pensiero si organizzano come conseguenza dell’esperienza e che l’organismo trae dall’azione relazionale il senso fenomenologico (cognitivo/corporeo) capace di costituire il sé (Ciardiello, 2015). È partendo da questi presupposti che è stato possibile per Bion ipotizzare i processi protomentali delle fasi prenatali. Infatti, se il pensiero e il pensare fossero separati dall’esperienza, sarebbe difficile definirne la genesi. La stessa fantasia, che per antonomasia dovrebbe essere un prodotto cognitivo: “prima di poter essere rappresentatacon un’immagine, diventando quindi una fantasia visiva, esiste l’esperienza di questa nel corpo” (sec. Winnicott, citato in Agresta, 2010, pag. 109).
Dalle informazioni che ricava dall'esperienza (relazionale) l’organismo costruisce l’Io: frutto della fantasia che tenta di dare una forma (un senso) al comportamento emesso in relazione alle persone. Ciò che sostiene e lega questa forma sono le emozioni che, agite, diventano Dimensioni Psicologiche. L’Io sarà l’istanza corporea e psichica (mentale) che prenderà forma, a breve tempo dalla nascita, per l’intrinseca capacità dell’organismo di differenziare/si e integrare/si (Siegel, 2014; Edelman/Tononi, 2000; Ruggieri, 2011).
L’inconscio fisiologico
Un modo alternativo di spiegare l’inconscio, è dato dalla psicofisiologia.
Il paradosso dell’Io (Ruggieri, 2011) comporta l’impossibilità di quest’istanza di diventare consapevole dei costituenti di sé. Cioè, come l’occhio non può vedere se stesso, l’Io non può essere cosciente dei processi che lo formano. Per cui, poiché l’Io è localizzabile dentro il corpo ed è, nel contempo, anche il corpo che lo costituisce (possiamo essere consapevoli sia di singole parti del nostro corpo sia dell’insieme ma non possiamo essere consapevoli dei processi di consapevolezza), il suo paradosso consiste proprio nel non poter essere consapevole della struttura (psicologica e corporea) che lo realizza. Anche perché l’Io, pur esitando in una struttura, è costituito da elementi di processo.
Analogamente l’intero processo di pensiero, frutto di una supposta struttura mentale, corrisponderà ad una forma specifica dell’organismo che sarà assunta sia dall’aspetto mentale sia corporeo.
Di conseguenza il carattere sarà rigido nelle espressioni mentali e in quelle corporee e potrà essere descritto solo immaginando di bloccare il processo, come in un’immagine fotografica, fermo e immobile, pur sapendo che è un evento processuale. E la difficoltà ad esserne consapevole sarà determinata dal fatto che, il carattere vissuto dalla persona, sarà costituito dagli stessi processi che sono alla base della sua stessa capacità di osservazione.
E malgrado l’atavico desiderio di onnipotenza, non si può osservare se stessi mentre ci si osserva (paradosso riproducibile esperienzialmente guardandosi allo specchio).
Ma nonostante il paradosso dell’Io, e cercando di evitare la deriva onnipotente, le teorie biologiste, implicite nella pratica VgT, sono sempre più facilmente accettate anche nella spiegazione teorica.
Il lavoro pratico, che si svolge nel tentativo di porre sotto la lente di ingrandimento tutti i processi organismici, ripropone la rielaborazione di esperienze che si realizzano nel corpomente[2]. Le operazioni di consapevolezza sensoriale, implicite nell’esecuzione degli acting di VgT, indagano quei processi (fisici e mentali) utili alla formazione dell’Io e corrispondenti alle modalità soggettive di costruzione delle istanze cognitive in relazione agli oggetti e alle persone.
Quando in VgT si parla di fissazioni o cofissazioni non si fa riferimento solo agli aspetti cognitivi ma a nodi mnemonici esperienziali, perciò mentali e corporei, riconducibili comunemente alla memoria corporea (memoria implicita).
L’avvento corporeo, come processo organismico, porta con se anche una ridefinizione (funzionale?) del costrutto di inconscio. L’uso di questo concetto, nell'esclusiva accezione freudiana, esclude la possibilità di ipotizzare aspetti di processo organismico, liberi dal conflitto, costituenti le istanze psichiche, mentre fin quasi dal suo avvento la VgT si è resa conto che, prestare attenzione anche alle sensazioni, bisogni, desideri, fantasie, immagini, pensieri e su qualsiasi altro processo di funzionamento corporeo, promuove la disidentificazione dagli stessi processi che si costituiscono come strutture.
Conclusioni
Alla luce di queste considerazioni nessuna terapia dovrebbe trascurare l’aspetto corporeo perché qualsiasi forma di apprendimento comporta l’attivazione di tutti i processi che, coinvolti nel dar luogo alla persona, sono radicati nella biologia dell’organismo. L’utilizzo di un’unica modalità rappresentazionale, o un unico sistema di elaborazione, verbale, comportamentale, cognitivo o corporeo, non è sufficiente per rappresentare i complessi schemi a sostegno della struttura organismica: “Se le abitudini sensomotorie sono fermamente radicate, accurate interpretazioni cognitive potrebbero non esercitare una grande influenza sul cambiamento dell’organizzazione corporea e sulle reazioni di arousal.” (Ogden et aa., 2013).
A fronte di un inconscio visto solo come prodotto cognitivo, e frutto di un conflitto, l’inconscio corporeo è differente, complementare e non necessariamente corrispondente ad un esito mentalizzato.
Piuttosto può essere vero che i processi subliminali, di natura psico/fisiologica, possono imporsi, in assenza di consapevolezza, per dare spiegazione razionale di eventi che si realizzano inconsapevolmente, come quando si parla di anima e spirito cercando di dare una spiegazione razionale delle sensazioni organismiche che non si sanno spiegare.
In VgT questo doppio aspetto dell’inconscio comporta l’assunzione di strategie in cui il controtransfert, agito piuttosto che interpretato, ha come primo scopo quello di portare l’attenzione della persona sul proprio corpo, sul suo coordinamento e sulle sue modalità d’integrazione.
Successivamente con l’impiego analitico dell’interazione, è indagato il campo del rimosso riproponendo esperienze che richiamano le dimensioni psicologiche che si sono fissate in vissuti relazionali e comportamenti specifichi.
In tal modo la terapia vegetoterapeutica, che si compone di opportune strategie capaci di proporre il riattraversamento di tutte le fasi, di separazione e approdo, riesce anche nell’intento riparativo.
Bibliografia
- Agresta, F. (2010), Il linguaggio del corpo in psicoterapia. Roma: Alpes ed.
- Ciardiello, G. (2015), E’ amore ciò che è nel tuo cervello? in www.PsicoterapiaAnaliticaReichiana.it
- Edelman, G., Tononi, G. (2000), Un universo di coscienza. Come la materia diventa immaginazione. Torino: Einaudi ed.
- Kandel et aa. (1994), Principi di neuroscienze, 2° ed.. Milano: Casa Editrice Ambrosiana.
- Mancia, M. (2004), Sentire le parole. Torino: Bollati Boringhieri ed.
- Ogden, P, Kekuni, M., Pain, C. (2013), Il trauma e il corpo. Manuale di psicoterapia senso motoria. Sassari: Istituto di Scienze Cognitive ed., 2° ed.
- Ruggieri, V. (1988), Mente Corpo e Malattia. Roma: Il Pensiero Scientifico ed.
- Ruggieri, V. (2011), Struttura dell’Io tra Soggettività e Fisiologia corporea. Roma: EUR ed.
- Siegel, D. (2014), Mappe per la mente. Guida alla neurobiologia interpersonale. Milano: Raffaello Cortina ed.
[1] Per renderci conto di come i sistemi sensoriali, motori e motivazionali interagiscono tra di loro per generare un comportamento finalizzato Kandel prende in esame un comportamento apparentemente semplice come afferrare una palla. Per poter eseguire questo compito sono utilizzate informazioni di modalità sensoriali diverse che vengono elaborate dai sistemi sensoriali: informazioni visive sul movimento della palla, informazioni tattili sull’impatto della palla con la mano ed informazioni propriocettive sulla posizione delle braccia, delle gambe e del tronco nello spazio. (Kandel et aa.,1994).