Numero 1/2024
non vorrei essere qui mentre succede questo
Antonella Messina*
Lo sportello di cui parlo è finanziato perché la scuola si trova in uno dei quartieri difficili di una città del sud d’Italia. Si tratta di un luogo, in pieno centro storico, dove si registrano un tasso elevato di dispersione scolastica, micro-criminalità, abusi sessuali in famiglia, famiglie in cui le donne-mamme hanno meno della maggiore età e dove i padri sono spesso impegnati a scontare una pena in carcere.
Proprio per la situazione sociale descritta, la figura dello psicologo o dell’assistente sociale è percepita come colui o colei che toglie i figli dalla famiglia per darli in affidamento in un centro o in un’altra famiglia. In effetti spesso i servizi sociali si sono trovati in passato a dover compiere queste scelte. Il quartiere spicca anche per un’alta percentuale di papà o mamme che abusano di droghe o psicofarmaci o con difficoltà ad integrarsi tra le maglie del quotidiano, per cui accade ancora che psicologo e servizi sociali debbano richiedere al tribunale un affidamento dei minori.
Come è strutturato lo sportello nella scuola
Abbiamo scelto per le attività un’aula nota come l’aula del pianoforte, questo perché è davvero presente un pianoforte, perché quell’aula nel pomeriggio diventa sede dei laboratori di musica e perché ci piaceva l’idea. Abbiamo deciso di modificare la dicitura “sportello psicologico” e lo abbiamo chiamato “Il pozzo delle emozioni”. Dietro la porta della stanza (sita tra l’altro accanto alle aule) c’è un disegno con un pozzo e dentro le parole: amore, rabbia, amicizia, tristezza, gioia ed altre che nel tempo i ragazzi hanno aggiunto a penna.
Per la prima settimana di lavoro di tre anni fa, ho fatto un giro per le classi raccontando una favola in cui dei protagonisti provavano emozioni differenti ed incorrevano in varie peripezie emotive. Mi presentavo alle classi dicendo: ”sono una psicologa delle emozioni e di quello che sentiamo nel cuore, nella pancia, nel petto, nella testa”… e raccontavo la storia. Dopo qualche settimana lo sportello era attivo.
Cosimo
Cosimo arriva una mattina accompagnato dalla professoressa di lettere.
Ambedue entrano e si siedono. Ho davanti a me un ragazzo con un corpo grande e un volto da bambino. Mi sento piccola e grande al tempo stesso, solo a guardarlo. L’insegnante mi sembra sin troppo adulta, rispetto a quel piccolo così grande. Cosimo non parla, l’insegnante mi dice che lui di certo, ha tante cose da dirmi… con il papà in quella situazione… Lo guardo: occhi bassi, non mi guarda e non credo guardi il pavimento, ho la sensazione che c’è ma non c’è. Sarà alto 1,50 m. più o meno, ma peserà almeno 70 kg. Il torace è ampio, il collo incassato tra le spalle, largo ma dentro le spalle. La pancia è abbondante, rilassata, lasciata andare verso il basso. Il petto mi colpisce perché sembra quasi avere un seno femminile. Sul volto di Cosimo qulche foruncolo annuncia la barba, ma niente di più. Ho il tempo di guardare, mentre l’insegnante parla e mi dice che il ragazzo in classe si addormenta e che “Certo è un bravo ragazzo lui, ma la famiglia…”. Ascolto l’insegnante ma cerco gli occhi di Cosimo. Ad un certo punto lui alza gli occhi e mi guarda. Sono in silenzio, non solo non parlo, sono proprio nel silenzio di chi non sa e fa spazio. Con il labbro inferiore morbido e la mandibola rilassata Cosimo continua a stare piegato, seduto sulla sedia, come se ciò che sta accadendo non lo riguardasse. Mantengo lo sguardo su di lui e nel frattempo chiedo all’insegnante di lasciarci soli. Faccio questo perché ho la sensazione che siamo in troppi adulti nella stanza e perché c’è bisogno di silenzio.
L’insegnante esce. Cosimo rimane con la sedia non proprio davanti a me, quasi ad angolo, si raddrizza un po’, si mette le mani sulla bocca e mi guarda. Io lo guardo, continuo ad avere la sensazione che serva silenzio…
Lui respira e lascia andare qualcosa di sé, non so cosa, si raddrizza, comincia a mangiarsi le unghie. Ho la sensazione di essere davanti ad un gigante. Mi dice: “È per mio papà…” Continuo a guardarlo e mi stupisce la sua voce, con il pianto bloccato in gola ed al tempo stesso decisa e non curante. Dico solo ”Ah”.
Cosimo mi racconta che a scuola dorme sui banchi perché la notte non riesce a dormire, fa il sonnambulo e piange. Una sera pare che sua mamma lo abbia trovato davanti ad una finestra. Questa cosa la racconta come se neanche lui sapesse se è vera. Ho la sensazione dei miei occhi che si inumidiscono, sento molto dolore sul petto. È difficile per me stare ad ascoltare senza piangere, eppure Cosimo dice solo poche frasi. Io continuo a non fare domande. Ad un certo punto mi dice che vive con la sorella e la mamma in via... Nomina il nome della via, sapendo che non è una via come un’altra, come se già questo dovesse farmi capire chi è lui.
Il papà è stato arrestato da qualche mese, adesso è in un carcere di massima sicurezza. Lui non può vederlo. Cosimo si mette dritto, cambia tono e tira fuori il torace. Lo trovo quasi solenne. Mi dice “Mio papà è il proprietario del ristorante…” (e mi dice il nome del ristorante). “È stato arrestato perché ha salutato uno nel suo locale”.
Non dico nulla, sto in silenzio e lo guardo. Gli credo anche se non gli credo… provo a pensare che questo è quello che si dice in famiglia.
Nei minuti successivi mi dice che la mamma lavora al ristorante; anche lui lavora al ristorante e bada alla sorella piccola e fa le pulizie in casa. Alla fidanzata non pensa perché ha troppi pensieri. Mi chiede se la prossima volta può venire con la mamma. Dico di sì. Lui esce e io rimango in silenzio nell’incapacità di pensare a lui.
Incontro con la mamma
Nella stanza del pianoforte siamo in tre: Cosimo, la mamma ed io. La signora è molto magra, spalle dritte e torace aperto. Sguardo severo ed irraggiungibile. Ossuta, appuntita. La voce è sottile ma ferma. Ci sediamo nella stanza che già Cosimo conosce. È lui che accompagna la mamma. Io ho di nuovo questo silenzio, come davanti a qualcosa per cui non ho l’alfabeto.
Siamo noi tre, là in una specie di cerchio. La signora mi dice che Cosimo è un bravo ragazzo, che ha tanti problemi, che è sonnanbulo, poi mi racconta del marito che è innocente. Provo a portare il discorso su Cosimo da piccolo: “Sempre bravo è stato” dice la signora. “Mangiava e basta. Più vicino al papà che alla mamma, dava la buonanotte al papà tutte le sere… gli vuole tanto tanto bene. Io devo lavorare…”. Non provo neanche ad indagare sul tempo di vita intrauterina di Cosimo, sento che non serve, non ne porta segni incisi; mi risparmio una domanda; la signora è sempre in allarme, ad ogni domanda risponde e non risponde e si allarma sempre più. Mi dice solo che da quando il papà non c’è, il ragazzo è malato, è sonnambulo e mangia di nascosto e che comunque dovrà occuparsi della casa e della sorella perché lei ha da fare con gli avvocati, con il ristorante e con gli amici del papà.
Vedo Cosimo a testa bassa, come la prima volta, con lo sguardo verso il basso, solo ha un’espressione dura e impenetrabile. Non riesco a comprendere, non mi guarda ed è come se non mi riconoscesse.
Dico alla signora che Cosimo dorme in classe perché è stanco, lei non ascolta e va avanti a parlare del marito che è innocente e di quanto lui starebbe meglio se il padre tornasse. Non riesco a fidarmi della signora. Cerco Cosimo ma lui evita lo sguardo. Ad un certo punto la signora dice: “Dottoressa, visto che Cosimo è sonnambulo da quando il padre è via e che lei lo vede che sta male, perché non fa un certificato per dire che mio figlio sta male e che se il papà torna starebbe meglio?”
Mi impietrisco, so che Cosimo sta male e mi è chiaro che la madre non lo vede. Spiego alla signora che un certificato così non potrò farlo, lei insiste, poi va via tirandolo con sé. Rimane il vuoto nella stanza, mi chiedo dove si sia nascosto Cosimo per tutto il tempo dell’incontro tra me, lui e la madre. Leggo quella sua impossibilità di guardarmi come un non vorrei essere qui mentre succede questo…
Riflessioni
Non sento in Cosimo comportamenti che possono arrivare da un vissuto intrauterino problematico, mi arriva forte il tempo successivo, quello della fase oro-labiale. Il sovrappeso, la pancia abbondante, lo stare immobile o immobilizzato, la sensazione che sia appesantito dal cibo, dal nutrimento, quasi bloccato nella dipendenza in mancanza del padre. In lui la pubertà è appena accennata, c’è qualche foruncolo della barba, pochi peli, una voce in cerca di tono, un bacino sopraffatto dalla pancia…
Il corpo mi racconta di occhi bassi, grandi e neri, occhi che chiedono, la bocca è allentata, quasi abbandonata, il collo incassato dentro spalle e torace troppo grandi rispetto a lui, o a lui alla sua età. Diaframma addome e bacino sembrano un unico grande distretto corporeo e sono abbandonati verso il basso del bacino ma anche abbandonati da Cosimo che non se ne cura e tiene i pantaloni bassi quasi cadenti e maglie larghe e disordinate.
Credo che l’allontanamento del padre lo abbia portato a sentire un vuoto, a fare i conti con l’assenza di un padre comunque più nutriente della madre. Sento che verso di lei Cosimo si pone con una riverente assenza, lasciando fare la madre e provando a fare tutto ciò che lei desidera o che si aspetta da lui. In qualche modo Cosimo incarna il materno nel curare la casa e vive in attesa del padre idealizzato e la cui presenza idealizzata risveglia collo e torace. Penso a questo sonnambulismo: il fare senza fare consapevole, l’avere l’energia sufficiente a fare quando nella notte non si è visti, il fare senza dire a se stessi che si sta facendo, come se la notte fosse lo spazio in cui Cosimo può liberarsi.
* Psicologa allieva della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia S.I.A.R.