Numero 1/2024

percezione corporea e autostima

Giulia Fiorentino*

 

Nella società attuale si assiste ad un enorme investimento sul corpo come specchio della propria identità. La percezione di noi come individui è sempre più veicolata da immagini che ostentano sicurezza e perfezione, che ci allontanano dalla nostra vera personalità. Questo articolo[1] presenta i temi della percezione corporea ed autostima da un’ottica psicologica, e uno studio empirico per attuare la misurazione di tali concetti ed indagare i possibili legami esistenti. E’ possibile che stare frequentemente in contatto con il proprio corpo in azione favorisca la sicurezza in se stessi? La cura estetica, il sentirsi in forma può essere causa o semplicemente espressione di una buona valutazione di sé?

Si riportano i risultati della ricerca effettuata su un campione di sportivi e non, volta ad indagare in che termini il parametro relativo alla percezione corporea sia legato all’autostima e alla intensità del movimento e uso del corpo. In particolare, lo studio analizza l’esistenza di una possibile correlazione tra i parametri soddisfazione corporea e autostima, mediante l’utilizzo di due test unidimensionali: il Body Shape Questionnaire e la Rosenberg Self-Esteem Scale. Inoltre, una parte del campione dei soggetti è stato scelto prendendo in esame la variabile relativa all’agonismo sportivo, al fine di verificare se quest’ultima influisca positivamente sui due parametri considerati.

 
Percezione corporea

Il corpo, nella sua totalità, si configura come un crocevia di significati ed esperienze che riguardano la presenza e il vissuto di ognuno.

La percezione corporea si origina agli albori della storia dell’individuo e può subire dei cambiamenti nell’arco della vita, come allo stesso tempo può rivestire un ruolo preponderante in alcuni momenti del vissuto psichico.

Il dibattito sul corporeo ha dato origine a numerosi concetti con un valore molto diverso ricevendo apporti da studi svolti in ambito neurologico, clinico, psico-sociale.

Per definire la rappresentazione corporea occorre soffermarsi sui due concetti cardine di schema corporeo e immagine corporea.

Lo schema corporeo è la configurazione spaziale che l’individuo crea del proprio corpo, grazie alle informazioni che riceve dagli organi di senso. La definizione accettata dalla letteratura è riconducibile a Head e Holmes (1911): “Lo schema corporeo è la rappresentazione corporea ottenuta dalla comparazione di integrazione a livello corticale delle passate esperienze sensoriali (posturali, tattili, visive, cinestetiche, vestibolari) con le sensazioni attuali. Il risultato è un modello di riferimento plastico, quasi completamente inconsapevole, che permette di muoversi senza problemi nello spazio e di riconoscere in tutte le situazioni le parti del proprio corpo” (Molinari, Castelnuovo, 2014, p.276).

Il concetto di schema corporeo resta immutato fino agli anni ’60 quando, una serie di ricerche neurologiche, evidenziano che la complessità con cui il cervello elabora ed integra i vari stimoli sensoriali va piuttosto oltre la definizione data da Head e Holmes. Infatti, dai risultati del periodo emerge che più patologie legate a diverse aree anatomiche possono alterare solo alcune caratteristiche dello schema.

Gli studi sperimentali hanno individuato nei lobi parietali il luogo primario della formazione dello schema corporeo, ma non sono di minore importanza le informazioni provenienti della regione temporale, talamica e del sistema mesencefalico. Palliard (1990) identifica nello schema due sub-strutture di corpo: referente e riferito. Nel primo caso il modello somatico è costruito da informazioni afferenti propriorecettive, che riportano la locazione delle parti del corpo rispetto al capo. Nel secondo, si tratta invece di un modello dello spazio circostante ricavato dall’esplorazione dell’individuo nello spazio, che resta immutato rispetto ai suoi movimenti.

 
Immagine corporea

Se lo schema corporeo è fortemente legato ad una rappresentazione percettiva e di organizzazione cerebrale, l’immagine somatica rappresenta la parte mancante e l’evoluzione dell’indagine di tale concetto. Infatti, la rappresentazione si arricchisce di aspetti personali, affettivi, cognitivi ed esperienziali, che definiscono una “nozione psicologica di immagine del corpo in cui entra in gioco tutta l’esistenza del soggetto” (Lalli, 1997, p.5).

Dal momento che l’immagine corporea è legata alla sfera affettiva, non si presenta come una struttura stabile, ma si modifica nel corso della vita dell’individuo; il body image è influenzato dalle esperienze pratiche, “si evolve mediante l’esplorazione e l’imitazione” (http://www.neuropsicomotricista.it).

La figura corporea acquisisce così uniformità tramite l’azione stessa.

Per Le Boulch (1983) il corpo, che sia in forma statica o in movimento, va inteso come “una intuizione di insieme o una conoscenza immediata” (Camerucci, 2008, p.58), in rapporto allo spazio circostante e agli altri; la rappresentazione è globale e, continuamente condizionata dalla relazione tra io-mondo, costruisce una azione vissuta corporeamente su cui si struttura la personalità del soggetto. Infatti, durante lo sviluppo, il body image raggiunge delle unità provvisorie che riflettono le esperienze di cui il corpo si rende disponibile, tramite la motricità e la relazione spazio-temporale. Con la teorizzazione di Le Boulch si verifica il superamento della dicotomia schema e immagine corporea, in quanto i termini definiscono “una sola e stessa realtà fenomenologica che è quella del corpo proprio"[2], privilegiando nel primo caso un aspetto fisiologico e nel secondo psicologico ed emozionale.

Questa diade viene a configurarsi ulteriormente complessa; poiché l’immagine corporea va intesa come un concetto multidimensionale, non sono di minore influenza i fattori di tipo sociale e gli aspetti conseguenti allo specifico contesto culturale.

Le rappresentazioni del corpo si articolano nella sfera psicologica, in quella sociale e in quella culturale (De Petris, 2011, p.40) e costituiscono una chiave di lettura dal sociale all’individuale e viceversa. Una ricerca svolta da Jodelet sulla popolazione parigina tra il 1960 e il 1976 evidenzia questa connessione; il questionario formulato metteva in relazione la percezione del proprio vissuto corporeo con le regole culturali inerenti alla comunità rispetto al corpo e i cambiamenti sociali avvenuti nel tempo. L’autrice constata un cambiamento dal 1975 in poi quando con il femminismo, le nuove tecniche corporee e la psicanalisi, si verifica una profonda metamorfosi nelle sensazioni inerenti al proprio corpo; mentre negli anni precedenti la relazione corporea era incentrata sul percepire sentimenti di dolore e malattia, la generazione successiva era maggiormente libera e consapevole del proprio essere fisico.

immagine FiorentinoFoto di F. GiulianiL’immagine del corpo promossa da Freud e poi sviluppata dalla scuola analitica è quella di un Io, [che] è anzitutto un essere corporeo, non è soltanto un’entità superficiale, ma è esso stesso la proiezione di una superficie”(Freud, 2006, p.488). L’immagine corporea incarna la dialettica Io-Altro e diviene una rappresentazione simbolica che porta alla formazione dell’Io del soggetto. Il corpo fisico si configura come canalizzatore di emozioni ed esperienze, ma allo stesso tempo è un’abile maschera delle difficoltà più profonde. L’io corporeo, invece, rappresenta il serbatoio delle fantasie e del simbolismo che attraversa la nostra esperienza psichica.

Winnicott affermerà che l’Handling, legato ad una madre in grado di manipolare il corpo del bambino, è centrale per il vissuto emozionale e il raggiungimento della distinzione tra Me e non-Me: “la coesione dei vari elementi sensoriali-motori dipende dal fatto che la madre lo tenga in braccio, fisicamente talora e in modo simbolico sempre” (De Coro, Ortu, 2010, p.135).

Il focus sulla relazione porta gli autori successivi a indagare la modalità con cui l’individuo percepisce i propri confini corporei nel processo di formazione dell’Io.

 
Autostima

L’autostima viene definita come “la stima verso se stessi, in altre parole quanto una persona si piace, si accetta e si sente degna” (Statt, 1998, p.21).

Concetto di sé e autostima, sebbene molto collegati tra di loro, ma diversi: nel primo caso si intende la moltitudine di elementi che la persona considera per descriversi, nel secondo caso si parla di una valutazione di queste peculiarità.

La rappresentazione corporea influenza notevolmente l’autostima, soprattutto in termini di confronto con gli standard fisici promossi dagli stereotipi socio-culturali. Il rapportarsi a determinati parametri di forma e bellezza può far accrescere l’insoddisfazione individuale e creare frustrazione specialmente per chi si trova in uno status fragile psicologicamente.

L’approccio psicodinamico lega l’autostima al percorso di formazione del Sé e, di conseguenza, allo sviluppo psichico del bambino. Le esperienze di gratificazione con gli oggetti intrapsichici, creano nel complesso un senso di benessere che fornisce un’autostima stabile. Se invece l’unione delle esperienze risulta frustrante, il bambino ha l’esigenza di rivendicare il proprio valore.

La teoria dell’attaccamento di Bowlby specifica il ruolo dei legami affettivi nella formazione dell’autostima. Le figure di attaccamento favoriscono la formazione di una base sicura quando rispondono alle richieste di protezione del bambino e ne favoriscono conseguentemente l’esplorazione dell’ambiente. I bambini con un attaccamento sicuro sono caratterizzati da livelli alti di autostima, bassi di depressione, bassi di aggressività e di disagio psicologico.

Harter (1983) riferendosi all’età prescolare, parla di un’autostima specifica, cioè di un bambino che valuta se stesso in relazione ad esperienze separate e concrete legate alle sue capacità fisiche e cognitive. Nel corso del tempo, questa valutazione si arricchisce fino a che, con l’adolescenza, si traduce in una autostima globale, basata su un giudizio integrato delle esperienze, dei valori e delle caratteristiche personali e si costituisce in relazione alla valutazione di diverse componenti del concetto di sé nei diversi contesti di vita.

 
La ricerca

Il confronto svolto tra le caratteristiche psicologiche relative alla preoccupazione corporea (Body Shape Questionnaire) e al livello di autostima (Test dell’autostima di Rosberg) ha portato a risultati interessanti.

I risultati dell’analisi delle correlazioni tra il Test dell’autostima di Rosberg e il Body Shape Questionnaire hanno evidenziato la relazione esistente, tra autostima e percezione corporea, ipotizzata all’inizio delle indagini e obiettivo primario della ricerca svolta. I partecipanti hanno validato la supposizione che ad un alto livello di autostima corrisponda una bassa preoccupazione per la propria forma fisica. Il legame è stato nuovamente confermato suddividendo ulteriormente i risultati ottenuti per il Body Shape Questionnaire in due gruppi di punteggi, che rispecchiano soggetti poco e molto preoccupati; infatti, partecipanti poco preoccupati hanno riportato dei livelli di autostima più alti.

Inoltre, anche andando a verificare questa relazione tra le variabili di genere (maschi e femmine) del campione, è emersa nuovamente la correlazione esistente.

Il genere risulta discriminativo per i risultati del Body Shape Questionnaire; infatti, il sottocampione delle femmine presenta un valore medio più elevato in riferimento a quest’ultimo test: il gruppo femminile nutre una maggiore apprensione per la propria figura fisica. A proposito dell’autostima, invece, non si sono registrate differenze significative tra maschi e femmine.

Con l’inserimento della variabile sportività, si è voluto incentrare il focus dell’indagine sulla relazione tra percezione corporea, autostima e pratica sportiva. L’ipotesi da verificare si è fondata sull’idea che chi pratica sport potrebbe essere meno preoccupato della propria immagine corporea e più sicuro di sé. I risultati non hanno avvalorato tale supposizione; all’opposto, l’esame dei gruppi del campione confrontati per il livello di attività fisica svolta non ha evidenziato differenze sostanziali nei punteggi riguardanti il test Body Shape Questionnaire di percezione.

Inaspettatamente, è emerso un legame con l’autostima, poiché gli individui coinvolti nell’agonismo presentano un livello di stima per se stessi maggiore rispetto a tutti gli altri. Si può dedurre, dunque, che lo svolgimento dell’attività fisica a livello agonistico possa favorire un’alta autostima.

Bibliografia
  • Camerucci, M. (2008), Psicomotricità: equilibrio tra mente e corpo, identità e modelli educativi. Perugia: Morlacchi editori.
  • De Coro A., Ortu F. (2010), Psicologia dinamica. I modelli teorici a confronto. Bari: Edizioni Laterza.
  • De Petris, P.G. (2011), Rappresentazioni sociali del corpo, il corpo che siamo o che vorremo essere. Milano: Franco Angeli S.r.l.
  • Freud, S. (2006), L’Io e l’Es, OSF, vol. IX. Torino: Bollati Boringhieri.
  • Lalli, N. (1997), Dallo schema corporeo all’immagine corporea: la complessità del vissuto corporeo Lo spazio della mente – Saggi di psicosomatica, 2°. Napoli: Liguori Editore.
  • Molinari E., Castelnuovo G. (2014), Clinica Psicologia dell’obesità, esperienze cliniche di ricerca. Milano: Springer Verlag Italia S.r.l.
  • Statt, D.A. (1998), Breve dizionario di psicologia. Londra: Edizioni Kappa.
  • http://www.neuropsicomotricista.it/argomenti/149-tesi-di-laurea/immagine-di-se-e-schema-corporeo-149/502-alcune-definizioni-concetto-di-qschemaq-e-di-qimmagineq.html


[1] Estratto dalla tesi di Laurea triennale in Psicologia Percezione corporea e Autostima: uno studio correlazionale. Relatrice prof. Alessandra Areni, Università degli Studi di Roma la Sapienza.

[2]http://sfp.unical.it/modulistica/Dallo%20Schema%20Corporeo%20al%20Vissuto%20Corporeo%202.pdfp.10

 
 

[*] Psicologa

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