Numero 1/2024

Cos'è maschile e cos'è femminile

Marina Pompei*

 

Bruce Jenner, ex campione olimpionico di decathlon, transgender ed ora Caitlyn Jenner, decidendo di cambiare sesso ha detto: “Il mio cervello è più femminile che maschile”.

Leggendo quest’affermazione e osservando la foto di Caitlyn stretta in una provocante guepière, Elinor Burkett, ex docente di studi femminili, dall’alto dei suoi 68 anni vissuti in gran parte sostenendo la rivendicazione femminista della parità dei sessi, perplessa si fa molte domande in un articolo sul New York Times, tradotto in Italia per il quotidiano La Repubblica[1]. Molte domande sintetizzabili in una sola: cos’è maschile e cos’è femminile?

Una domanda che ha però, risposte complesse e probabilmente non esaustive.

Iniziamo l’indagine dal dizionario Treccani.

  1. Maschile: “da maschio (dal latino masculus); individuo che elabora i gameti maschili destinati a fecondare i gameti femminili”.
  2. Femminile: “da femmina (dal latino femina), della stessa radice di fecundus, quindi propriamente fruttifera”. In biologia: “l’individuo che produce solo gameti femminili (o macrogameti o uova o ovocellule)”.

In ambito biologico, quindi, le definizioni sono molto chiare e nette, anche se, allargando lo sguardo a considerare tutto il complesso sistema ormonale, neuroendocrino e anatomico che concorre alla produzione dei gameti, la questione diventa più articolata, perché le variabili individuali sono molte. Non tutte le femmine e non tutti i maschi hanno nel proprio organismo la stessa proporzione tra ormoni femminili e maschili, per fare un solo esempio.

Per quanto riguarda le differenze anatomiche, queste sembrano balzare agli occhi per la loro evidenza, ma dobbiamo essere cauti, perché sappiamo che tutti noi vediamo non solo attraverso il nostro sistema ottico, ma anche attraverso l’insieme delle conoscenze, dei pensieri e delle aspettative che abbiamo nei confronti di quanto stiamo osservando.

La cultura legge la natura e ne fa derivare un ordine sociale: Foucault ce lo ha insegnato. Quando ci riferiamo alla specie umana, infatti, maschio e femmina diventano uomo e donna.

Consultiamo ancora il dizionario Treccani.

  1. “Uomo: (dal latino Essere cosciente e responsabile dei propri atti, capace di distaccarsi dal mondo organico, oggettivandolo e servendosene per i propri fini, e come tale, soggetto di atti non immediatamente riducibili alle leggi che regolano il restante mondo fisico … Dal punto di vista biologico uomo è il termine con cui sono indicate tutte le specie di mammiferi primati ominidi appartenenti al genere Homo e, in particolare, l’unica specie vivente Homo sapiens, caratterizzata da stazione eretta, pelosità ridotta, mani con pollice opponibile che consente la presa di precisione, grande sviluppo del cervello e del neurocranio, che sovrasta la regione facciale; si differenzia inoltre da tutte le altre specie animali per la complessità del linguaggio simbolico articolato, per l’alta capacità di astrazione e di trasmissione di informazioni per altra via che non sia l’ereditarietà biologica (trasmissione culturale)”.
  2. Donna, dal latino “Signora, padrona. Nella specie umana, l’individuo di sesso femminile, soprattutto dal momento in cui abbia raggiunto la maturità anatomica e quindi l’età adulta”.

Appare evidente come in questi due vocaboli sia una specifica cultura a dettare le proprie leggi, siamo in una società in cui le persone di sesso maschile hanno imposto il proprio modello come prioritario e superiore a quello delle persone di sesso femminile. Cultura e potere hanno quindi definito i ruoli sociali e le caratteristiche psichiche facendoli derivare da una presunta differenza data dalla natura. E così, il corpo femminile che contiene la cavità della vagina doveva essere necessariamente il segno della passività accogliente della donna, destinata quindi ad accogliere non solo lo sperma, ma anche il dominio dell’Uomo. Il corpo dell’uomo, che ha un pene che può introdursi nella vagina, doveva essere necessariamente il segno della forza aggressiva maschile, giustificatamente ignara di capacità di ascolto e accoglienza.

Guardiamo i simboli cosiddetti scientifici di maschile e femminile.

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A sinistra il simbolo che indica un individuo di sesso femminile, a destra quello maschile. Il primo fa riferimento a Venere, alla sua mano che tiene uno specchio; il secondo rappresenta lo scudo e la lancia di Marte: la bellezza e la guerra. Questi sono stereotipi appartenenti alla nostra cultura costruiti nei secoli e da noi ereditati acriticamente, tanto da farci confondere il sesso con il genere, la biologia con la cultura.

Di nuovo il dizionario Treccani:

Genere (dal latino genus -nĕris, affine a gignĕre, generare e alle voci greche che indicano genere, stirpe, origine, nascere).

Per estensione, con riferimento alla specie umana, carattere maschile o femminile dell’individuo, anche in senso biografico, sociale, professionale, come nell’espressione identità di genere, con cui s’intende la costellazione di caratteri anatomo-funzionali, psichici, comportamentali che definiscono il genere in sé stesso e in quanto posseduto, accettato e vissuto dall’individuo nella storia familiare da cui proviene e nella società in cui vive”.

La lingua testimonia la sovrapposizione indebita di caratteristiche funzionali alla procreazione, ruolo sociale, comportamenti e psichismo.

In realtà, il maschile e il femminile sono differenziati per la funzione riproduttiva, non per tutte le sfere di vita della persona, che sono, invece, determinate dalla cultura.

Stiamo vivendo un’epoca in cui la questione sta esplodendo ed ha bisogno di essere non solo compresa, ma messa in relazione con gli stereotipi che più o meno inconsapevolmente ci guidano.

L’autorevole Oxford English Dictionary sta pensando di introdurre nella sua versione on line l’appellativo Mx (si pronuncia mix) in aggiunta a Mr e Ms.

Mrs. è stato già da tempo eliminato perché ritenuto discriminante nei confronti delle donne non sposate. Nella lingua svedese è già stato introdotto il pronome neutro hen.

A partire dal dopoguerra, le donne hanno giustamente lottato per la parità dei sessi, intesa come parità di dignità e di diritti, e in questo hanno mantenuto ben ferme le differenze tra i generi. Oggi dobbiamo articolare di più le rivendicazioni: pari dignità e diritti per tutte le persone che sono donne, uomini o appartenenti ad un genere intermedio, nel rispetto di caratteristiche psicologiche molto varie e non strettamente legate ai propri organi sessuali[2].

I genderqueer sono persone che non si riconoscono nella contrapposizione binaria maschio/femmina, ma ritengono che l’identità di genere sia l’espressione di uno spettro ampio di possibilità. Si definiscono anche terzo genere o genere neutro e non si tratta solo di intersessuali, cioè di persone nate con caratteri anatomici sia maschili che femminili.

Diversa è la posizione dei transgender, che assumono consapevolmente un’identità di genere diversa da quella attribuita loro alla nascita in seguito alla presenza di un pene o di una vagina. Privilegiano quindi il modello culturale e psichico che la società assegna ai due generi e non l’anatomia. All’interno di questo gruppo, troviamo i transessuali, che decidono di modificare chirurgicamente e a livello ormonale il proprio corpo, per farlo corrispondere alla propria identità di genere profonda.

Transgender e transessuali presuppongono la concezione binaria dei generi: si può essere solo maschio o femmina.

Questo binarismo di genere[3] negli ultimi cinquant’anni è stato fortemente messo in discussione nel pensiero psicoanalitico, che si è spostato sempre più dalla teoria psicosessuale di origine freudiana verso un modello relazionale (da Greenberg e Mitchelle nel 1983 a Goldner nel 2006). Robert Stoller già nel 1968[4] parlava di identità nucleare di genere che si sviluppa nell’individuo a partire da tre realtà esperenziali: 1) l’anatomia e la fisiologia dei genitali 2) l’atteggiamento dei genitori e della famiglia rispetto ai ruoli di genere e le aspettative sociali 3) il sistema endocrino e il sistema nervoso centrale.

Psicoanaliste come Judith Butler, Nancy Chodorow, Irene Fast e Jessica Benjamin, considerano il genere come una dimensione relativamente fluida, con grandi variabilità individuali, in un’ottica di intersoggettività: una categoria organizzativa più che un risultato evolutivo predirezionato. Per la maggior parte di loro è necessario decostruire le dicotomie di genere.

pompei 2 2015 2Immagine tratta dal blog a cura di Paola Biondi sul sito dell’Ordine degli Psicologi del Lazio      

Ma se è vero che i generi maschile e femminile sono una costruzione che nasce dalle relazioni che viviamo fin dal nostro concepimento, è anche vero che ha ragione Elinor Burkett, quando scrive, nell’articolo di La Repubblica citato all’inizio, che se non hai fatto l’esperienza, mese dopo mese, di avere le mestruazioni, non puoi sapere cosa vuol dire femminile.

Sì, perché c’è un’esperienza del corpo che informa tutto il nostro essere. Avere un organismo con un sistema immunitario capace di riconoscere come altro da sé ed espellere quello che non gli appartiene, ed anche riconoscere come altro da sé e non espellere un embrione, penso incida sullo psichismo e non solo sul comportamento socialmente atteso.

Come è vero anche il percorso inverso: le persone di sesso femminile hanno, nell’encefalo, il corpo calloso di estensione maggiore rispetto a quello delle persone di sesso maschile. Questo permette una maggiore interrelazione tra emisfero destro e sinistro, probabilmente frutto dei comportamenti messi in atto nel tempo da generazioni di donne, chiamate ad occuparsi della relazione tra il sentire e l’agire.

Dobbiamo quindi allargare molto l’orizzonte dei termini che usiamo.

Se non è più possibile accettare la teoria freudiana della passività femminile e dell’attività maschile, dobbiamo ricordare che lo stesso Freud (1915-1917) aveva detto che “Maschile è il prodotto sessuale, lo spermatozoo (…) Femminile è l’uovo”[5]. Il resto è costruito dalla società e modificabile nel tempo e nei luoghi di vita delle persone, che a poco a poco, nella propria storia di relazioni si autodefinisce in un percorso che fin dall’inizio mostra tutta la complessità della questione: nella vita intrauterina la differenza cromosomica tra maschio e femmina è presente fin dal concepimento, ma per la definizione morfologica dobbiamo aspettare l’evolversi delle prime fasi embrionali.

Ma questa variabilità e fluidità di percezione della propria identità di genere quanto è sostenibile dai singoli individui? Il percorso non è sempre chiaro alla persona. Nei nostri setting analitici incontriamo persone sofferenti perché non sanno dirsi con certezza “sono un uomo” o “sono una donna” o “appartengo ad un genere intermedio”.

Oppure, la sofferenza nasce dal non potersi adeguare alle aspettative sociali: ”non sono un uomo, anche se tutti lo credono”, “sono una donna in un corpo di uomo”,”sono un uomo, ma ho la vagina e il seno”.

Il DSM V definisce questo stato Disforia di genere (GD, gender dysphoria) ed è caratterizzato da una forte sofferenza legata ad “una marcata incongruenza tra il genere esperito/espresso da un individuo e il genere assegnato”.

Accompagnare la persona a trovare la propria definizione di sé richiede grande e attento ascolto, libero da preconcetti e stereotipi. Lo psicoterapeuta, l’analista, lo psichiatra, hanno bisogno di elaborare profondamente la propria posizione su questi temi, che contengono acquisizioni culturali e scientifiche, ma anche risvolti inconsci da portare alla luce.

 

[1]La Repubblica, 9 giugno 2015, traduzione di Anna Bissanti

[2]Lgbt è la sigla che indica lesbiche, gay, bisessuali e transgender; aggiungendo qi ci si riferisce a tutti coloro che non si riconoscono nell’identità streight=diritto (che indica gli eterosessuali), e agli intersessuali (con caratteristiche anatomiche dei due sessi).

[3]Su questi temi ha ben argomentato Marcello Mannella in questa rivista nel n.1/2014 con Violenza di genere come conseguenza del binarismo di genere, e in questo stesso numero con La sessualità è un’emozione e non una pulsione.

Rimando anche a Lingiardi, V., Nardelli, N., Sesso, genere e orientamento sessuale in Lingiardi, V., Gazzillo, F. (2014) La personalità e i suoi disturbi, Milano: Raffaello Cortina Editore.

[4]Stoller, R., (1968) Sex and Gender: On the Development of Masculinity and Femininity, New York City: Science House.

[5]Freud, S.,(1915-1917) Opere complete, vol. 8 p. 219, Torino:Bollati Boringhieri

 

* Psicoterapeuta, Analista S.I.A.R.

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