Numero 1/2024
La sessualità è un'emozione e non una pulsione
Marcello Mannella*
Il termine pulsione ha nella storia della psicoanalisi un significato fortemente connotato, inscritto nella teoria energetica-pulsionale dell’essere umano (Imbasciati, 2005).
Fin dai Tre saggi sulla vita sessuale Freud aveva esposto la convinzione che l’uomo fosse dotato per natura di un corredo pulsionale innato. Le pulsioni[1] - qualcosa fra il somatico e lo psichico - sarebbero costituite da una fonte, le zone erogene e gli organi da cui promanerebbe l’eccitamento; una meta, la ricerca del soddisfacimento, inteso come una vera e propria scarica delle sostanze (la libido) accumulate nell’organismo che altrimenti avrebbero esitato in disturbi psicopatologici; e un oggetto, parziale o intero, attraverso cui realizzare il soddisfacimento[2].
Nella considerazione energetico-pulsionale il dualismo cartesiano spirito/corpo era riproposto nel contrasto fra pulsioni e sistema nervoso centrale. Le pulsioni – fondamentalmente irrazionali – erano espressione della naturalità dell’uomo, biologicamente e rigidamente orientate, mentre il sistema nervoso centrale era considerato estraneo e sostanzialmente passivo rispetto alle dinamiche pulsionali e agli affetti ad esse collegate. Esso esprimeva la dimensione razionale, di fondamentale importanza affinché l’individuo potesse adattarsi alle esigenze della vita sociale e, al più, poteva operare nel senso della repressione o del grado espressivo delle pulsioni.
La metapsicologia freudiana era figlia dello spirito positivista dell’‘800 ed era tesa a spiegare il funzionamento della mente secondo i principi meccanicisti della scienza dell’epoca. La psiche era assimilata ad un meccanismo di tipo idraulico attivato dalla continua produzione di energia pulsionale che superata una certa soglia dava luogo ai diversi comportamenti.
Progressivamente, nella seconda metà del 20° secolo, l’originario paradigma biologista, attento alle determinazioni pulsionali del comportamento umano e per il quale le relazioni hanno un valore esclusivamente intrapsichico, è stato sostituito - sulla base della teoria dell’attaccamento di Bowlby - dal nuovo paradigma relazionale, per cui l’individuo è da sempre inglobato - fin dal momento del suo concepimento - in una matrice di relazioni che rappresentano il nutrimento e il terreno fondamentale per un sano sviluppo evolutivo.
Oggi, pertanto, per quanto riguarda il comportamento umano non si parla più di pulsioni[3] ma di emozioni. Le emozioni[4] sono sì corporee come le pulsioni, ma non sono più considerate a partenza periferica (non hanno la loro origine esclusivamente nel corpo, nei suoi distretti o organi). Esse nascono dal concorso del sistema percettivo/motorio (periferia del corpo) - che è stimolato dagli oggetti e dalle esperienze esterne - e del SNC che processa quelle esperienze in base al possesso di informazioni definite su base genetica.
Secondo Damasio “le emozioni sono complicate collezioni di risposte chimiche e neurali, che formano una configurazione. […] Le emozioni riguardano la vita di un organismo – il suo corpo, per essere precisi – e il loro ruolo è assistere l’organismo nella conservazione della vita” (Damasio, 2000, pag.70).
“Le emozioni sono processi determinati biologicamente, dipendenti da dispositivi cerebrali predisposti in modo innato, stabiliti attraverso una lunga storia evolutiva” (Ibidem, pag.70).
Esse “sono parte integrante della regolazione che chiamiamo omeostasi. Non ha senso discutere le emozioni se non si comprende questo aspetto degli organismi viventi, e viceversa” (Ibidem, pp. 56-57).
Anche Trevarten sostiene che “le emozioni preservano le funzioni vitali e l’organizzazione del corpo, contribuendo al controllo degli stati e dei processi interni, ed equilibrando le esigenze interne contrapposte alle richieste di comportamenti diretti all’esterno per cogliere vantaggi dall’ambiente o per proteggersi dai danni” (Trevarthen, 1998, pag.112).
E’ opportuno però precisare che, se è vero che le emozioni sono schemi d’azione innati, dipendenti da dispositivi cerebrali e orientati verso la sopravvivenza, è altrettanto importante comprendere che gli stimoli in grado di avviare i nostri processi emotivi non sono esclusivamente quelli definiti dall’evoluzione perché la cultura sovrappone la propria influenza definendo propri induttori, modulando l’espressione dell’emozione. Di più, la cultura dà origine a nuove emozioni come variazioni delle emozioni innate che si innestano sugli stessi meccanismi fisiologici[5].
Tant’è vero che, a fronte della realtà universale di un certo numero di emozioni, “generalmente indicate in numero di sei: rabbia, disgusto, paura, tristezza, gioia, sorpresa” (Galati, 1993, p.15), che presentano le stesse espressioni facciali in tutte le culture - fatto già considerato da Darwin in L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali - è altrettanto evidente che il numero delle emozioni è molto più ampio e diverso nelle diverse culture e che diversi sono pertanto i motivi che ci portano a piangere, ridere o arrabbiarci.
Gli induttori culturali si definiscono in età precoce e sono il frutto delle nostre originarie esperienze relazionali, fetali e neonatali soprattutto. Esse danno origine ad un sostrato di tracce mnesiche che si sedimentano non solo a livello nervoso centrale - nel nostro cervello emotivo - ma anche a livello periferico nelle posture del corpo, nei suoi automatismi, nelle sue inclinazioni, e che ci permettono di leggere le nostre esperienze attuali orientando i nostri comportamenti.
Non esistono pertanto esperienze piacevoli, erotiche, dolorose in sé; esse saranno in una qualche misura filtrate dalle nostre personali inclinazioni, frutto di specifici e precoci vissuti personali.
Considerare la sessualità un’emozione e non una pulsione è per noi reichiani una posizione di grande coerenza storico-epistemologica[6] perché risponde ad una considerazione unitaria dell’uomo.
L’emozione è sempre espressione del corpo/mente nella sua totalità.
Le attuali ricerche neuroscientifiche affermano che il Sé, prima di pervenire alla coscienza e all’autocoscienza, dà luogo ad una mente biologica in grado di garantire la sopravvivenza dell’organismo.
Damasio chiama tale mente proto-sé[7]; essa traccia continuamente mappe neuronali dello stato interno del corpo – dei suoi valori biologici – percependone lo stato emotivo di fondo, di malessere o benessere, attivandosi per mantenere l’organismo all’interno di una condizione biologica ottimale.
L’emozione è allora un processo che si dipana in una duplice direzione: da una parte mette in atto reazioni fisiologiche – neurovegetative, neuroendocrine, ecc... - volte a ristabilire l’equilibrio omeostatico, dall’altra risponde in termini motori allo stimolo - evitandolo o avvicinandolo.
L’emozione sessuale
Ma che tipo di emozione è quella sessuale? Qual è la sua specificità? In che cosa si differenzia da un’emozione di pianto, di rabbia o di gioia?
In Alla ricerca di Spinoza, Damasio sostiene che “le emozioni vere e proprie (il disgusto, la paura, la felicità, la tristezza, la compassione e la vergogna) mirano a regolare i processi vitali o in modo diretto – evitando i pericoli o aiutando l’organismo a trarre vantaggio da un’opportunità –, o in modo indiretto, facilitando le relazioni sociali” (Damasio, 2003, p. 54), mentre in Empatia e biologia Trevarthen afferma che le emozioni, fra l’altro, hanno la funzione di “promuovere e sviluppare l’interazione con i comportamenti e i motivi di altri soggetti nell’‘ambiente sociale” (Trevarthen, 1998, pag.112).
Bene, a mio modo di vedere, fra tutte le emozioni, la sessualità umana è l’emozione sociale per antonomasia; il suo valore biologico si esprime soprattutto – prima ancora che nella funzione riproduttiva, che è soltanto una e non la più caratterizzante delle sue funzioni come nel mondo animale – nel fatto che favorisce e rafforza le relazioni sociali.
Già Levi - Strauss aveva sottolineato il carattere eminentemente sociale della sessualità, ponendo addirittura nella proibizione dell’incesto l’origine della cultura umana, il passaggio da una condizione naturale ad una culturale. L’interdizione dei rapporti sessuali all’interno del nucleo familiare avrebbe favorito l’incontro e cementato i legami fra nuclei familiari diversi allargando progressivamente lo spazio della comunicazione e delle relazioni sociali.
Del resto gli esseri umani sono gli unici esseri viventi ad aver definito un’arte erotica, creazione eminentemente culturale che colloca gli amanti in uno spazio/tempo altro dove sono sospese le regole convenzionali del vivere, dove valgono esclusivamente quelle da loro stabilite e che rendono pertanto unica la loro relazione.
Una considerazione post-reichiana della sessualità
Soffermiamoci sulla necessità per noi reichiani di operare una scelta di coerenza epistemologica e di giudicare la sessualità un’emozione piuttosto che una pulsione. Proviamo a confrontare i concetti di emozione e di pulsione; troveremo che, considerando la sessualità un’emozione, ci muoviamo in un orizzonte di pensiero sistemico.
Il concetto di pulsione è meccanicista in quanto il suo comportamento risponde ad un modello di tipo idraulico. E’ riduzionista perché la sua fonte è endogena e presuppone che gli organismi siano in contatto, ma non in accoppiamento strutturale con l’ambiente; il mondo esterno pertanto non è implicato direttamente nel suo sorgere in quanto gli stimoli che da esso provengono possono al più contribuire ad alimentarla o a deprimerla.
La concezione energetico-pulsionale continua a considerare solamente ed esclusivamente il significato intrapsichico delle relazioni. Esprime, infine, una posizione teleologica quando si afferma che la sua meta – il soddisfacimento – è legata rigidamente ad uno specifico oggetto.
L’emozione, invece, è non solo – come è stato detto sopra – espressione della unitarietà della persona umana - del suo corpo/mente - ma di un sistema più grande che è dato dall’accoppiamento strutturale fra corpo/mente e ambiente.
L’emozione non ha né un’origine endogena in qualche distretto corporeo, né uno specifico oggetto, ma nasce dall’interazione fra l’organismo e l’ambiente e la sua mèta non è la ricerca del soddisfacimento, inteso come scarica dell’energia biologica accumulata, quanto piuttosto quello di aiutare l’organismo a ristabilire l’equilibrio omeostatico turbato e a mantenere l’accoppiamento strutturale con l’ambiente[8]. Questo attivarsi si esprime da una parte attraverso modificazioni dello stato interno – modificazioni neurovegetative e neuroendocrine, ecc..., dell’organismo - dall’altra prendendo posizione rispetto allo stimolo ambientale.
Il concetto di emozione così inteso, a mio modo di vedere, ci aiuta anche a sostenere in maniera epistemologicamente coerente il concetto di sessualità di fase e di tratto proposto da Ferri, in una giornata di studio della S.I.A.R. il 16 Ottobre del 2004, avente per tema La Sessualità, senza correre il rischio di cadere nei preconcetti biologisti del modello pulsionale.
Se siamo infatti d’accordo che la sessualità è un’emozione che ha una grande valenza relazionale, allora è evidente che ognuna delle nostre fasi evolutive – esse stesse a valenza relazionale e caratterizzate dalle specificità fisiologiche del livello corporeo prevalente per ognuna di esse - esprime un proprio specifico modo di rapportarsi all’altro-da-sé e dunque anche una specifica forma di quella particolare relazione che è l’emozione sessuale.
Non c’è in questo caso necessità di ricorrere a concetti come fonte somatica o spinta pulsionale (anche se genericamente intese) perché l’emozione sessuale sarebbe un’espressione particolare del sistema motivazionaledell’attaccamento fra il bambino e i caregiver, trovando in quello stesso sistema la sua origine.
E, soprattutto, non ci sarebbe più bisogno di parlare di specifici e naturali oggetti sessuali, in quanto per l’emozione sessuale ciò che è importante è che sia garantita la relazione e pertanto il carattere sessuale dell’oggetto risulta essere inessenziale[9] .
La giustificazione di diverse forme della sessualità legate alle fasi evolutive e alle particolarità dei rispettivi tratti ci permette anche di superare l’opposizione ricorrente fra sessualità pregenitale (infantile) e sessualità genitale (adulta).
La S.I.A.R. sostiene da tempo che il carattere è una combinazione di tratti – da quelli intrauterini a quelli che sono espressione dei vissuti in seconda fase genito-oculare – e che la maturità è data dalla loro eutonicità e dalla nostra capacità di oscillare e posizionarci su ognuno di essi a seconda delle esperienze e situazioni della vita.
Bene, in coerenza con il nostro modello, dovremmo considerare anche la sessualità come un insieme di segni incisi e non giudicarla matura quando siano state abbandonate le identificazioni delle relazioni primarie nelle fasi pregenitali in favore di quelle edipiche, ma piuttosto quando risulti essere caratterizzata dalla nostra capacità di oscillare e posizionarci di volta in volta su i suoi diversi tratti e di dar luogo – indipendentemente dall’orientamento sessuale – a relazioni umane e sessuali positive e creative.
Quando nei nostri setting ci troviamo pertanto ad affrontare problematiche sessuali dobbiamo considerarle indipendentemente dall’orientamento sessuale del paziente e giudicare la loro problematicità come indicatore della disfunzionalità dei vissuti relazionali in una particolare fase evolutiva, o del carattere nel suo complesso. Solitamente ciò avviene spontaneamente quando abbiamo a che fare con pazienti etero, ma non quando il paziente è omo; in quest’ultimo caso rovesciamo il nostro atteggiamento e siamo propensi a leggere le sue difficoltà relazionali e caratteriali facendo centro sul suo stile di vita sessuale, che diverrebbe la causa e non l’effetto della disfunzionalità della sua intera personalità.
Piuttosto, pertanto, che definire e proporre una teoria generale normativa dello sviluppo sessuale – una scientia sexualis – tipica della tradizione psicoanalitica, ma anche di noi reichiani, dovremmo, per comprendere la sessualità degli individui esaminare le loro diverse storie relazionali, e da questo punto di vista l’indagine analitica rappresenta uno strumento fondamentale.
Abbandonare la considerazione pulsionale della sessualità, considerarla un’emozione – quella relazionale per antonomasia - ci consente ancora di spostarci da un piano di discussione pericoloso, quello che la inquadra in una qualche forma di discorso biologico che storicamente, e facilmente, ha esitato in una rigida configurazione sessuale e di genere[10].
Personalmente credo che la distinzione che tutte le culture sembrano stabilire fra un genere maschile e uno femminile - assegnando al maschile e al femminile caratteri spesso contrastanti - sia sorta dalla necessità di rispondere alla complessità del vivere sociale umano e risponda ad una logica di divisione del lavoro. Mi preme ancora precisare che una logica di genere binaria rigida è minoritaria nelle culture umane. In tantissime, i poli del maschile e del femminile incarnano due poli ideali, mentre i generi reali sono rappresentati dalla molteplice e diversa combinazione di entrambi.
Bibliografia
- Damasio, A. (2000), Emozione e coscienza. Milano: Adelphi.
- Damasio, A. (2003), Alla ricerca di Spinoza. Milano: Adelphi.
- Damasio, A. (2012), Il sé viene alla mente. Milano: Adelphi.
- Galati, D. (a cura di) (1993), Le emozioni primarie. Torino: Bollati Boringhieri.
- Freud, F. (1978), Metapsicologia. Torino: Biblioteca Boringhieri.
- Imbasciati, A. (2005), La sessualità e la teoria energetica-pulsionale. Milano: Franco Angeli.
- Mannella, M. (2014), Wilhelm Reich: Il dramma e il genio. Roma: Alpes ed.
- Trevarthen, C. (1998), Empatia e biologia. Milano: Raffaello Cortina Editore.
[1]Freud aveva sentito il bisogno di distinguere il comportamento umano da quello animale ed aveva affermato la diversità tra l’istinto (Instinkt), proprio degli animali, rigido, univoco, stabile e definito fin dal suo sorgere, di cui non è possibile differire la scarica, e la pulsione (Trieb) propria degli uomini. La pulsione è plastica, non univoca (egli parla di impasto pulsionale), può essere differita e procrastinata nella scarica. Essa è qualcosa fra “il somatico e lo psichico”, anche se la sua componente psichica è fortemente determinata dalla dimensione biologica delle pulsioni e dalle loro finalità.
[2] Occorre dire che già Freud – genialmente – aveva affermato che l’oggetto della pulsione non è stabile. In Metapsicologia aveva affermato che “è l’elemento più variabile della pulsione, non è originariamente collegato ad essa, ma le è assegnato soltanto in forza della sua proprietà di rendere possibile il soddisfacimento […]. Può venir mutato infinite volte durante le vicissitudini che la pulsione subisce nel corso della sua esistenza”. (Freud, Metapsicologia, 1978, pp. 32/3).
[3] In effetti anche nell’essere umano troviamo una dotazione istintiva: il riflesso della suzione, quello prensile, ecc. attivi soprattutto nelle fasi iniziali della nostra vita.
[4] Per quanto riguarda il concetto di emozione, possiamo dire che, a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento, si registravano due schieramenti opposti: da una parte la teoria centralista (Cannon) sosteneva che le emozioni sono qualcosa di istintivo che si origina in occasione di stimoli particolari a cui il cervello reagisce emozionandosi e producendo delle modificazioni alla periferia dell’organismo (il cuore batte, le mani sudano, ecc.); dall’altra la teoria dell’origine periferica (James, Lange) che sostiene che il nostro corpo reagisce automaticamente a stimoli sensibili che provengono dal mondo esterno e che queste reazioni vengano lette dal cervello come emozioni (è il cervello ad emozionarsi). Dobbiamo a Damasio l’affermazione che l’emozione riguardi insieme sia il SNC che la periferia del corpo.
[5] Damasio distingue tra emozioni di fondo, primarie e secondarie. Le emozioni di fondo sono collezioni complesse di cambiamenti corporei; sono stati emotivi primordiali che hanno a che fare con la percezione dei segnali provenienti dai visceri e concernenti l’equilibrio omeostatico dell’organismo. Al contrario, le emozioni primarie, le emozioni vere e proprie, sono quelle ritenute universali – gioia, dolore, paura, rabbia, disgusto, sorpresa; esse si riferiscono ad oggetti e situazioni specifiche in riferimento al mondo esterno. Infine, le emozioni secondarie o sociali: compassione, vergogna, senso di colpa, orgoglio, gelosia, invidia, gratitudine, ecc... Le emozioni secondarie si innestano sulle precedenti inglobandone i percorsi neurali e le componenti anatomiche. Le emozioni secondarie sono informate da aspetti cognitivi e la loro espressione dipende maggiormente dalle influenze sociali e culturali rispetto alle emozioni primarie che hanno una chiara definizione evolutiva e che sono pertanto condivise da culture e specie diverse.
[6] Reich è stato il primo psicoanalista a sostenere l’identità di corpo e di mente, anche se poi è scivolato inconsapevolmente nel dualismo quando aveva affermato – con maggiore convinzione dello stesso Freud – una radicale considerazione energetico-pulsionale dell’uomo (Mannella, 2012).
[7] Il proto-sé è la struttura cerebrale più antica e profonda. “Il corpo è la roccia su cui è costruito il proto-sé, mentre quest’ultimo è il perno intorno al quale ruota la mente dotata di coscienza” (Damasio, 2012, p.35). Esso si costituisce sulla base neurale del midollo allungato ed è una collezione coerente di configurazioni neurali che formano ad ogni istante le mappe dello stato della struttura fisica dell’organismo, garantendo l’equilibrio omeostatico. Ha la funzione di unificare e integrare i diversi segnali che provengono dall’interno del corpo o dall’ambiente, restando stabile e identico nel tempo. “Il proto-sé non ha linguaggio, non ha capacità percettive e non detiene conoscenza” (Damasio, 2000, p. 190.), ma produce i sentimenti spontanei del corpo che vive: “Il sentimento primordiale – il sentire che il mio corpo esiste ed è presente, indipendentemente da qualsiasi oggetto con cui interagisca – è la radice di tutti i sentimenti causati dalle interazioni fra gli oggetti e l’organismo (Damasio, 2012, p.236.). Il proto-sé è il precursore non cosciente delle successive strutture cerebrali in cui compare la coscienza.
[8] Può sembrare che anche in questo caso si presupponga una qualche forma di teleologia, ma in realtà facciamo riferimento all’azione di anelli di retroazione negativi così come sono stati definiti dalla cibernetica e accolti nella biologia contemporanea.
[9] Lo stesso Freud, in Metapsicologia, aveva affermato che l’oggetto “è l’elemento più variabile della pulsione, non è originariamente collegato ad essa, ma le è assegnato soltanto in forza della sua proprietà di rendere possibile il soddisfacimento […]. Può venir mutato infinite volte durante le vicissitudini che la pulsione subisce nel corso della sua esistenza” (Freud, 1978, pp. 32/3.)
[10] Nel secondo capitolo del mio libro, (M. Mannella, Wilhelm Reich, op. cit.) ho mostrato come nella storia occidentale il ricorso alla configurazione (Freud sosteneva che fosse la configurazione anatomica a determinare la passività delle donne) dei corpi sia sempre stato al servizio di una logica di potere. Sia quando – dal mondo antico al 1700 inoltrato – si considerava il corpo sulla base del modello monosessuale maschile (l’anatomia del corpo femminile era il rovescio imperfetto di quello maschile), sia quando nel tardo 1700 si impose l’attuale modello bisessuale. In entrambe le tradizioni le osservazioni anatomiche erano estremamente accurate ma questo non impediva di interpretare discorsivamente le particolarità dei corpi e di utilizzare la biologia del corpo per giustificare il potere del sesso dominante.
* Psicologo, Psicoterapeuta, Analista S.I.A.R.