Numero 1/2024

La Psicoterapia Corporea ed il Modello Reichiano
(Seconda parte)

Luisa Barbato*

 

La pratica clinica

Nella pratica clinica si considera che ogni conflitto psichico abbia una sua manifestazione fisica nel corpo, creando un blocco al libero fluire dell’energia vitale o vitalità o libido, che ha ripercussioni su ogni livello del nostro essere. A livello energetico il corpo è sempre in un movimento ritmico di espansione e contrazione o carica e scarica. Questi movimenti sono involontari e collegati a livello vegetativo al Sistema Nervoso Autonomo.

 

Quando si lavora a livello energetico si tende a ristabilire il corretto fluire dell’energia, rimuovendo i blocchi che ostacolano tale fluire. È importante sottolineare come i blocchi possono essere iper o ipo attivati. Nel primo caso si tratta di un’eccessiva contrazione, soprattutto muscolare, che blocca la carica energetica in un punto, creando quella che Reich ha definito corazza o armatura corporea; nel secondo caso si tratta di una prevalenza di scarica energetica che si esprime in un ipotono muscolare e respiratorio.

 

La psicoterapia corporea opera in modo da rendere consapevole la persona dei blocchi e nel ristabilire il corretto fluire energetico. Questo processo avviene tramite il riemergere dei vissuti psichici e delle emozioni ad essi collegati, che hanno portato nella storia evolutiva del bambino, fin dalla vita intrauterina, al blocco dell’energia e alla strutturazione della corazza. Il riemergere del ricordo comporta solitamente nel paziente lo scioglimento del blocco fisico e una nuova consapevolezza, non solo dei vissuti antichi legati al blocco, ma anche del ritmo vegetativo involontario e dei movimenti profondi del corpo, con una diversa percezione di sé.

 

È importante sottolineare che il blocco a livello profondo è energetico, ma si riflette anche a livello vegetativo, muscolare, emozionale e cognitivo. Se lavoriamo a livello energetico comprendiamo tutti questi aspetti ed è per questo che l’esperienza riportata spesso dai pazienti nel percorso psico-corporeo è quella di una rinascita, di una nuova percezione di sé e della propria unitarietà.

 

L’esplorazione psico-corporea può anche prendere le mosse dai tratti caratteriali del paziente, ossia dalle sue modalità di affrontare la relazione con se stesso e con il mondo. Il carattere si presenta come una struttura fissa che interfaccia gli altri, una modalità secondo caratteristiche antiche che si sono strutturate dalla primissima infanzia, il risultato dei segni incisi vissuti nelle principali fasi evolutive (Ferri, Cimini, 2012).

 

Reich individuò 5 definite strutture caratteriali connettendole alle principali fasi dello sviluppo libidico del bambino individuate da Freud. Successivamente Lowen descrisse 5 pattern caratteriali, in gran parte sovrapponibili a quelli di Reich, collegandoli non solo alle fasi libidiche, ma anche agli aspetti delle relazioni oggettuali dello sviluppo del bambino.

 

Le strutture caratteriali hanno un preciso ancoraggio fisico, così lavorare sul carattere vuol dire incidere sui blocchi e viceversa. La mobilizzazione dei blocchi porta alla luce i conflitti psichici irrisolti, fa riemergere le memorie inconsce e rende consapevoli del modo di relazionarsi al mondo del paziente.

 

Nella pratica clinica si è osservato come i blocchi si strutturano su diverse parti del corpo, che Reich suddivise in sette segmenti. Essi furono definiti da Reich come l’insieme di quegli organi e quei gruppi di muscoli (di un distretto corporeo) che sono in contatto funzionale tra di loro, che sono capaci di indursi reciprocamente a compiere un moto espressivo-emozionale (Reich, 1933).

 

I segmenti hanno delle specifiche valenze emozionali e cognitive, strutturano la corazza corporea e si possono collegare ai vissuti infantili prevalenti delle diverse fasi evolutive. In sintesi essi sono:

 

 

- primo livello - occhi, orecchie, naso
- secondo livello        - bocca
- terzo livello - collo
- quarto livello - torace braccia
- quinto livello - diaframma
- sesto livello - addome
- settimo livello - bacino, gambe

 

 

I segmenti rappresentano una precisa mappa della storia personale del paziente e l’osservazione della struttura corporea e dei blocchi costituisce un formidabile strumento di diagnosi terapeutica. Il lavoro sui segmenti corporei deve essere effettuato in maniera molto attenta, perché ciascuno di essi codifica i vissuti emozionali delle fasi evolutive e degli stili di attaccamento infantili, aprendo la porta alle memorie inconsce della storia personale e riportando alla luce vissuti profondi ed emozioni rimosse.

Quando lavoriamo sull’armatura muscolare e i tratti caratteriali operiamo su due aspetti cruciali: da una parte aiutiamo il paziente a divenire consapevole delle proprie resistenze, a lasciare fluire l’energia vitale e del come mette in atto queste resistenze (per esempio tenendo le spalle alzate, la mascella contratta o non espirando pienamente ecc...); dall’altra facciamo emergere i contenuti inconsci rimossi e le relative emozioni legate a quelle particolari posture e assetti corporei.

La psicoterapia corporea carattero-analitica e relazionale

Da quanto fino ad ora scritto, appare evidente che il lavoro con il corpo può essere molto immediato e diretto, portando facilmente all’espressione di emozioni rimosse e all’emergere di ricordi e conflitti inconsci. In un certo senso il corpo è uno strumento di esplorazione interiore molto potente e per questo anche molto pericoloso.

 

Esiste una lunga tradizione di esperienze di psicoterapie corporee, individuali, ma soprattutto di gruppo, in cui vengono stimolate principalmente la catarsi e la regressione, secondo l’idea che l’esperienza ha dimostrato essere alquanto ingenua, che basti liberare le emozioni rimosse per, in un certo senso, vuotare il sacco e sentirsi poi liberi dai blocchi fisici e dai conflitti psichici.

 

Ora sappiamo che la pratica clinica è molto più complessa e, rispetto ai tempi di Reich, abbiamo a disposizione un ricco bagaglio di conoscenze ed esperienze cliniche, tra le quali le intuizioni della psicologia umanistica e fenomenologica, la messa in luce dell’importanza delle relazioni nella pratica clinica, le nuove scoperte sullo sviluppo psicologico del bambino quali le teorie dell’attaccamento di Bowlby (1999) o quelle sul mondo interpersonale del bambino di Stern (1992), per citare solo le più rilevanti. E così i setting della psicoterapia corporea si sono andati negli anni ammorbidendo e approfondendo. Si sta gradualmente affermando una nuova clinica che pone l’enfasi non solo sulla liberazione dell’energia e l’espressione delle emozioni, spesso vissute in modo meccanico e suggestivo, ma sulla consapevolezza che il movimento energetico ed emozionale da solo non è sufficiente a risolvere gli antichi conflitti e le strutture caratteriali.

 

Esprimere le emozioni e liberarsi dei sentimenti negativi può divenire una difesa o una nuova traumatizzazione che crea una corazza secondaria, spesso ancora più difficile da sciogliere.

 

Il modello energetico di Reich deve allora essere collegato al contesto relazionale. Secondo quanto le ricerche degli ultimi anni ci hanno dimostrato, le emozioni sono sempre connesse ad un oggetto e dirette verso di esso, in uno schema di attaccamento o conflitto.

 

Reich lo aveva già intuito quando negli anni ’30 iniziò a scrivere della terapia carattero-analitica e, in questo senso, le moderne teorie relazionali sviluppano le sue intuizioni. Nell’approccio carattero-analitico lo psicoterapeuta lavora innanzi tutto sui tratti caratteriali del paziente, piuttosto che sui sintomi, dove il carattere costituisce il principale e più evidente sistema di difesa che rimanda ai conflitti inconsci.

 

In Analisi del carattere Reich illustra bene il modo di lavorare in cui vengono innanzi tutto affrontate le difese caratteriali più evidenti, senza affrontare gli impulsi sottostanti che emergeranno spontaneamente una volta che il paziente diviene consapevole della propria struttura caratteriale.

 

I tratti caratteriali sono la manifestazione delle frustrazioni dei bisogni del bambino subite nell’infanzia e la loro funzione è quella di creare una struttura di comportamento e relazionale con l’esterno che ci protegga dai conflitti irrisolti. Nel percorso terapeutico vengono rivisitate dapprima le difese caratteriali, poi i conflitti e le connesse emozioni sottostanti, con l’obiettivo di divenire consapevoli e sciogliere i vissuti di adulti che ancora ci collegano a quelle ferite infantili. Le teorie dell’attaccamento confermano il lavoro terapeutico sul carattere, evidenziando l’importanza di risolvere i modelli disfunzionali della prima infanzia attraverso la sintonizzazione relazionale.

 

Possiamo allora dire che lavorare in maniera carattero-analitica vuol dire affrontare uno schema relazionale molto dettagliato, che investe nella relazione di transfert tutti i livelli della persona, incluso quello corporeo.

 

Addirittura l’attuale teoria post-reichiana S.I.A.R. (Ferri, Cimini, 2012) connette i vari tratti caratteriali del paziente con quelli dell’analista, arrivando a codificare un transfert e un contro-transfert di tratto caratteriale e livello corporeo.

Da questo punto di vista il lavoro carattero-analitico distingue e opera clinicamente con le diverse strutture, poiché l’operare terapeutico sarà ad esempio differente se ci troviamo di fronte ad una struttura con un Io forte e una corazza ipertonica, rispetto ad una con un Io debole e una corazza ipotonica.

 

Conclusioni

 

Possiamo affermare, in definitiva, che l’analisi reichiana si fonda sulla relazione terapeutica che è guidata e radicata nelle dinamiche di transfert e controtransfert.

 

Nel percorso di cura sono sistematicamente affrontate le difese caratteriali del paziente che sono collegate alle sottostanti dinamiche inconsce. Il lavoro corporeo è un aspetto fondamentale di questo percorso, sia come attivatore delle componenti emozionali rimosse, sia come integratore della consapevolezza profonda del sé.

 

In un lavoro corporeo non psicoterapeutico, invece, questa cornice relazionale non viene instaurata o rimane del tutto inconscia e non elaborata. Nelle diffuse e variegate pratiche corporee di salute bio-fisica il terapeuta si limita ad applicare un trattamento rimanendo in una cornice medica o di supporto consulenziale.

 

Noi post-reichiani S.I.A.R. sappiamo, invece, che la relazione terapeutica è il mezzo fondamentale tramite il quale sono codificate e avvengono le trasformazioni interiori. La ricerca attuale è proprio nella costruzione di una intersoggettività che sia la base dell’esperienza integrativa mente-corpo; siamo interessati al processo, alla dinamica evolutiva della persona, alla luce della quale si collocano i contenuti più o meno inconsci e la soluzione dei conflitti e del disagio psichico.

 

Si può infine fare riferimento alla dimensione spirituale del nostro lavoro (Sassone, 2007). Un percorso di integrazione mente-corpo porta molto spesso all’apertura di una differente sensibilità per i temi transpersonali. Dopo aver individuato e definito un Io sufficientemente integrato nasce la necessità o il desiderio di trascendere proprio questo Io, così faticosamente guadagnato. In qualche maniera ogni nostro paziente ripercorre la strada di Reich che, partendo dagli esperimenti sulle tensioni muscolari arrivò a parlare di universo, di energia, di collegamento con l’infinito e di super imposizione cosmica. Si tratta di una spiritualità molto incarnata, né mistica né meccanica, quindi non dogmatica, non ascetica, non settaria, ma profondamente radicata nel sentire.

 

Reich scoprì che il connettersi con le esperienze psico-corporee più profonde non solo risolveva i conflitti psichici, ma apriva le porte ad esperienze molto più vaste di pulsazione vitale e connessione con il tutto che è intorno a noi, sentendo di appartenere a qualcosa che è più vasto di noi.

 

Si scopre allora una dimensione interiore che non è esclusivamente psichica, oltre le emozioni e la mente cosciente, che richiama i contenuti delle grandi tradizioni spirituali dell’umanità.

Spesso si riscontra un’apertura verso la compassione, l’altruismo, la solidarietà sociale, la gioia calma e profonda di vivere, un interesse verso le varie pratiche transpersonali come la meditazione.

Come psicoterapeuti e analisti reichiani non possiamo fare altro che essere testimoni di queste trasformazioni che ci mettono in contatto con la parte più evoluta della dimensione umana. Solo allora si può affermare che il nostro compito è davvero concluso.

 

Bibliografia
  • Bowlby, J. (1999), Attaccamento e perdita. Torino: Bollati Boringhieri.
  • Ferri, G., Cimini, G. (2012), Psicopatologia e carattere. Roma: Alpes Italia.
  • Sassone R. (2007), La ricerca dell'amore. Un ponte tra Reich e Sri Aurobindo. Anima Edizioni.
  • Stern D. (1985), Il mondo interpersonale del bambino. Torino: Bollati Boringhieri 1992.

 


* Psicologa, Psicoterapeuta, Analista S.I.A.R., Vicepresidente S.I.P.A.P

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