Numero 1/2019
ANALISI DEL CARATTERE E TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
Viviana Leoncini[*]
Abstract
Questo lavoro si propone di leggere, attraverso il modello teorico clinico reichiano, gli Stili di Attaccamento nel bambino e nell’adulto, in termini analitico-caratteriali. Tale lettura apre, dispiega e vitalizza la suddetta classificazione, permettendo al clinico di intervenire in maniera appropriata sulla catena transgenerazionale di pattern relazionali spesso disfunzionali.
Parole chiave
Modello teorico clinico reichiano – Stili di Attaccamento – Transgenerazionale.
Abstract
This article aims at reading the classification of the different Styles of Attachment in infants and adults, in terms of analysis of the character, through the reichian theoretical-clinical model.Such reading opens, unfolds and gives life to the mentioned classification, so that the clinician can intervene appropriately on the transgenerational chain of often-dysfunctional relational patterns.
Keyword
Reichian theoretical-clinical model - Styles of Attachment – Transgenerational.
La riflessione proposta in questo lavoro affonda le sue radici nel modello di riferimento proprio della Società Italiana di Analisi Reichiana, con l’intento di restituire un tempo, una storia ed un’ipotesi di fissazioni caratteriali prevalenti, agli stili di attaccamento individuati nel bambino e nell’adulto.
Per ragioni biologiche e culturali, nella società occidentale è la madre che più spesso si occupa e si preoccupa della cura del bambino, stabilendo con lui una relazione primaria fin dal periodo intrauterino, relazione che evolve nel post partum, prezioso tempo di relazione in cui si densifica e si definisce lo stile di attaccamento prevalente del piccolo. Proprio per questo lo stile di attaccamento che verrà osservato è quello che il bambino apprende dalla relazione con l'adulto che per primo si prende cura di lui, dal primo imprinting relazionale.
Nell’attuale, mutevole, e per questo a volte difficile, cornice socio-culturale non è sempre semplice allinearsi con i costrutti che la psicologia e le scienze sociali hanno messo a punto negli ultimi anni, proviamo ad ogni modo a leggere la complessità senza ridurla a categorie e protocolli, proviamo a leggere la scena che abbiamo davanti, avendo ben chiara la straordinaria intelligenza della vita e la sua tendenza a preservarsi sempre.
Bowlby definì l'attaccamento come un desiderio biologicamente fondato di mantenere la prossimità fisica con il caregiver, o figura di attaccamento (FAD). Egli rifiutò la teoria di Freud secondo la quale la prossimità del bambino alla figura di riferimento fosse strettamente legata al bisogno di nutrimento, al contrario sosteneva l'importanza del soddisfacimento emotivo del piccolo. (Barone, Del Corno, 2007).
A questo proposito gli studi di Harlow, tra il 1958 ed il 1965, diedero seguito a questa ipotesi. Attraverso l’osservazione del comportamento di alcuni macachi, Harlow riuscì a dimostrare che la vera funzione dell’attaccamento è quella di assicurare un contatto continuo ed intimo con la madre, allo scopo di avere garantita la protezione, specie in momenti di paura o pericolo.
Ma se l'attaccamento è, come lo definisce Bowlby, un desiderio biologicamente fondato di mantenere la prossimità fisica, dunque di essere accudito, possiamo ridefinire il Big Bang dell'attaccamento stesso?
Facciamo un passo indietro, un tuffo nella vita pre-natale, quella in cui si definisce la densità del Sé, ovvero il suo quantum energetico, l'élan vital e la resilienza possibili.
Con la fecondazione ha inizio la vita, è nell'incontro della diversità che nasce un nuovo Sé. La sua sopravvivenza è però legata alla possibilità dell'ovocellula di annidarsi nell'utero della madre, di affrontare il primo momento critico della vita. Quando l’ovulo fecondato raggiunge l’utero della madre subisce trasformazioni e si prepara ad annidarsi. Questo nucleo di vita si aggrappa alla parete uterina, con tenacia vi infiltra delle piccolissime radici chiamate digitazioni trofoblastiche. Tale radicamento gli permette di prendere energia, l'energia specifica di quell’utero, di quel bacino, di quella madre. (Ferri, Cimini, 2012).
Durante la gravidanza poi, la madre è in contatto corporeo con il bambino che cresce in lei, cambiano le sue percezioni sensoriali, cambia il suo corpo, molto spesso il sistema attorno a lei si modifica e si prepara ad accogliere la nuova vita. Ancor prima di vederlo, quel bambino sarà pensato e poi immaginato. Entrambe queste costruzioni accompagnano la gravidanza ed incontreranno nel post partum il bambino reale. (De Bonis, Pompei, 2015). Tale movimento emozionale, non ha forse la forma di un primario accoglimento/accudimento? Non è forse l'inizio di ciò che con il tempo si strutturerà come legame di attaccamento? Potremmo dunque ipotizzare che le basi di tale legame vanno strutturandosi fin dalla gravidanza e che, quella pre-natale, sia l’inizio della relazione con il bambino reale.
Potremmo dunque definire questo primo ed incredibile incontro tra madre e bambino un prototipo dell’attaccamento post natale?
Le intuizioni di Bowlby circa il legame di attaccamento ed il suo ruolo nello sviluppo psico-affettivo del bambino, trovarono seguito, alla fine degli anni ’70 del ‘900, nel lavoro di Mary Ainsworth e collaboratori. Attraverso la messa a punto di un metodo di osservazione della relazione genitore-bambino, la Ainsworth trovò il modo per discriminare e sistematizzare diversi stili di attaccamento in bambini dai dodici ai diciotto mesi, tale metodo è la Strange Situation (SS). Si tratta di una procedura suddivisa in 8 momenti in cui è possibile osservare la qualità dell'attaccamento in condizioni di bassa ed alta tensione emotiva, in compiti di esplorazione dell'ambiente con e senza la presenza della madre, così da valutare la reazione del bambino al momento della separazione e del ricongiungimento al caregiver (Barone, Del Corno, 2007).
Da tali osservazioni la Ainsworth ed il suo gruppo di lavoro definirono 3 stili di attaccamento. Vent’anni dopo, la Main ne descrisse un quarto. Tali stili di attaccamento sono: Sicuro (B), Evitante (A), Resistente (C), Disorganizzato (D).
In seguito, attraverso l’Adult Attachment Interview (A.A.I.), Main e Goldwin (1994-2002) hanno classificato 4 stili di attaccamento nell’età adulta: Sicuro/Autonomo (F), Distanziante/Svalutante (Ds), Preoccupato/Invischiato (E), Non risolto (U).
Proviamo a mettere in relazione le osservazioni di questi studiosi rispetto agli stili di attaccamento in età evolutiva ed adulta, tentando una lettura ed una traduzione delle loro teorie attraverso il nostro modello di riferimento, quello della S.I.A.R.. Consideriamo inoltre che, qualunque sia lo stile di attaccamento imprintato dalla madre, la risposta del piccolo Sé è influenzata dalla sua densità, ovvero dalle sue risorse in termini di adattamento all’ambiente.
Lo stile di Attaccamento Sicuro (B) nel bambino è in relazione con lo stile di attaccamento Sicuro/Autonomo (F) nell’adulto.
Adulti con uno stile di attaccamento Sicuro/Autonomo, valutati con l’A.A.I, hanno una capacità coerente di descrizione e valutazione delle esperienze di attaccamento, indipendentemente dal carattere positivo o negativo di esse, le risposte sono chiare, rilevanti, ragionevolmente succinte. Queste persone riescono a rievocare la propria storia infantile in maniera serena attraverso un racconto sincero, non contraddittorio e centrato sulle tematiche di attaccamento. I meccanismi di regolazione emozionale permettono alla persona di esprimere spontaneamente ed in maniera flessibile, l'intera gamma delle emozioni, positive e negative (Barone L., Del Corno F., 2007).
Attraverso il modello teorico-clinico della S.I.A.R. possiamo provare a rileggere questo stile di attaccamento. Immaginiamo che un adulto con stile di attaccamento Sicuro/Autonomo abbia una discreta percezione di se stesso, con una buona consapevolezza dei propri limiti e delle proprie risorse. Quando tale adulto è una madre, immaginiamo che riesca, nonostante le difficoltà, a mantenere il focus sul suo ruolo genitoriale e sulla cura del proprio piccolo. Una madre con attaccamento sicuro/autonomo ha imprintata, a livello centrale e periferico, una relazione oggettuale primaria sufficientemente buona, ha sperimentato lo sguardo di sua madre che l’ha inclusa e vista, ha vissuto le frustrazioni in maniera funzionale e neghentropica al suo sviluppo psico-fisico. La capacità riparativa di una madre con tale stile di attaccamento, può compensare e riparare le umane asincronie possibili tra lei ed il suo piccolo.
La combinazione caratteriale può di certo essere varia, ma ipotizziamo si sia strutturata una stratificazione di fasi evolutive sane o ben compensate.
Lo stile di attaccamento Evitante (A) nel bambino, è in relazione con lo stile di attaccamento Distanziante/Svalutante (Ds) nell’adulto.
Adulti con questo stile di attaccamento, valutati con l’A.A.I., hanno difficoltà a rievocare la propria storia infantile, mostrando la tendenza ad idealizzare o svalutare le figure di attaccamento. Il racconto è parziale e contraddittorio, spesso lontano dalle tematiche di attaccamento, l'espressione delle emozioni è molto inibita e focalizzata su tematiche non interpersonali (Barone, Del Corno, 2007).
Possiamo ipotizzare l’analisi del carattere di una madre con stile di attaccamento Distanziante/Svalutante, immaginando la sua difficoltà a lasciarsi andare al suo bambino, nel concedersi energeticamente ai suoi bisogni. La relazione con il piccolo è in qualche modo pericolosa, la richiama verso un tempo per lei doloroso, molto spesso un dolore che non è stato visto né elaborato. Ipotizziamo abbia sperimentato un primo campo difettuale, un'insufficienza di tempo di relazione, uno svezzamento precoce che spinge il Sé ad aggrapparsi alla fase dello sviluppo successiva, un gancio nella muscolarità che permette di chiudere e rimuovere il bisogno orale. Nella descrizione della SS si parla di un atteggiamento rifiutante ed insensibile, che potremmo leggere in termini di difficoltà a sintonizzare l'ascolto emotivo sul bambino e sulle sue richieste: nella sua storia c'è la memoria corporea di un tempo insufficiente, di un bisogno di calore e nutrimento che viene precocemente interrotto. Siamo nell'area dell'oralità difettuale con blocco rimosso, il Sé può affacciarsi nella fase muscolare e fare lì una cofissazione coprevalente così da poter rimuovere la rabbia e la paura sottostanti, esprimendo una peculiare aggressività di tipo mordace, rivendicativo. Tale vissuto è responsabile di un investimento del Sé, e poi dell'Io, su se stessi, una sorta di ritiro sulle proprie risorse. Tale ritiro risulta salvifico per certi aspetti, ma inevitabilmente porta con sé una rabbia implicita o esplicita verso l'Altro, inaffidabile e debitore.
Il bambino con stile di attaccamento insicuro-evitante, fin dalla fine del primo anno d’età, manifesta un adeguamento allo stile relazionale della madre, evita di chiedere e mostrare il suo bisogno che non viene accolto benevolmente dalla stessa. Le relazioni interpersonali saranno caratterizzate da freddezza emotiva. Il bambino, oramai divenuto adulto, ha interiorizzato la madre “rifiutante” e cercherà in tutti i modi di difendersi da eventuali esperienze altrettanto dolorose.
Il senso del comportamento evitante può essere letto anche come una modalità protettiva rispetto ad una intensa ed ancestrale paura di castrazione vissuta dal Sé in fase intrauterina. Il modello S.I.A.R. distingue l’allarme intrauterino in fobico, borderline e psicotico. L’allarme che una madre con attaccamento distanziante/svalutante potrebbe aver vissuto, durante la fase intrauterina, è di tipo fobico, causato da eventuali minacce di separazione o da un utero trattenente. Tali minacce espongono il piccolo Sé ad un allarme senza soluzione, dove la separazione segna il passaggio dalla vita alla non vita, il Sé vive un’angoscia di morte che si fa segno inciso nelle vesti dell’allarme. La fase intrauterina trova nel binomio accettazione-rifiuto la sua essenza, il rischio di non essere inclusi ed avvolti dall’Altro da Sé che è utero e vita, prende la valenza di una ferita narcisistica tanto profonda e antica da determinare una priorità assoluta nell’economia di quel sistema vivente: difendersi. Si tratta in ogni caso di un Sé a densità medio-alta, un Sé che dimostra la resilienza necessaria per compensare la difettualità della relazione con la madre, con modalità nevrotiche ma organizzate.
Lo stile di attaccamento Resistente (C) nel bambino è in relazione con lo stile di attaccamento Preoccupato Invischiato (E) nell’adulto.
Gli adulti valutati con l’A.A.I. manifestano un coinvolgimento confuso, passivo o arrabbiato rispetto alle figure di attaccamento, hanno uno stile di narrazione della propria storia prolisso e ridondante. Le emozioni sono espresse in maniera accentuata, con frequenti oscillazioni dei giudizi affettivi ed ostinazione sulle tematiche relazionali. Questa oscillazione tra contatto e distacco, tra la possibilità di rispondere al bisogno del bambino e la necessità di prenderne le distanze, ci porta nell'area dell'oralità difettuale, a cavallo tra il blocco insoddisfatto, quello dell'insufficienza di scambio tra il Sé e l'Altro da sé, ed il blocco rimosso, ovvero l'insufficienza di tempo. Siamo nell'area clinica dei disturbi depressivi minori o orali secondari, lo stile relazionale della madre non trova definizione, è in stallo tra un'oralità richiedente ed una che nega il bisogno, tra l'instancabile attesa di essere risarciti e l'attivazione muscolare che chiude il bisogno orale rivendicandolo attraverso una rabbia mordace non sempre espressa. La densità del sé potrebbe essere medio-alta.
Il bambino cerca di adeguarsi a tale stile relazionale rimanendo però nella confusione e nell'oscillazione possibile. Teme il distacco dalla figura di riferimento di cui ha bisogno, ed allo stesso tempo non può averne fiducia per cercare consolazione. In questa oscillazione organizza il suo pattern di relazione, in una cornice incerta e dunque ansiogena. La relazione è permeata dall'incertezza che mantiene l'arousal oltre soglia, c'è un'attenzione costante a decifrare il messaggio mutevole della madre, un allarme continuo.
Lo stile di attaccamento Disorganizzato (D) nel bambino è in relazione con lo stile di Attaccamento Non Risolto (U) nell’adulto.
Lo stato mentale degli adulti valutati con l’A.A.I. appare disorganizzato o disorientato rispetto ad un'esperienza di perdita traumatica. Nel corso del racconto, queste persone rievocano eventi traumatici vissuti durante l’infanzia, il racconto è contraddittorio, minato da elementi mnestici sensoriali, per di più si evidenziano stati alterati di coscienza e grave difficoltà nella regolazione emozionale (Barone, Del Corno, 2007).
Madri con tale stile di attaccamento ci portano su un terreno a densità energetica medio-bassa, dove le risposte adattive agli eventi di vita, seppur le migliori in termini di economia personale, risultano deficitarie ed entropiche. Le fissazioni prevalenti saranno intrauterine o di fase orale, l'energia del sé è sequestrata da una sofferenza arcaica e profonda, mai sanata e con ogni probabilità eccessiva per la sostenibilità della persona.
Ipotizziamo le fissazioni possibili della madre con attaccamento Non Risolto. Potrebbe trattarsi di una fissazione intrauterina da difetto, nella dimensione rimossa dei disturbi depressivi di prima grande bocca con densità bassa, fino al blocco insoddisfatto con i disturbi borderline e psicotici a densità bassissima.
Potrebbe esserci una fissazione orale da difetto, con blocco rimosso o insoddisfatto, dunque nell'area dei disturbi depressivi minori, e delle dipendenze. La densità della persona è medio-bassa ed incastrata nel proprio bisogno, nella necessità di colmare e calmare i bisogni di quella fase evolutiva. Tale è la sofferenza e il bisogno di queste madri da non avere energia, cuore e occhi per il loro bambino.
Se la densità del bambino è sufficientemente buona, riuscirà ad attivare uno stile di attaccamento invertito, ovvero un’attivazione del sistema di accudimento in risposta al bisogno della madre, sistematizzando una posizione masochistica primaria di I e/o II tipo. Oppure attiverà la strategia controllante-punitiva dove, nel tentativo di controllare la situazione, si fa genitore del proprio genitore ma con modalità rabbiose e aggressive, un working internal model di rango sociale. Se la densità del piccolo sé è anch'essa bassa o bassissima, scivolerà in dimensioni borderline o addirittura psicotiche.
La tabella qui allegata facilita la comprensione e la connessione tra le differenti, ma interconnesse, definizioni e letture.
STILI di ATTACCAMENTO e TRATTI del CARATTERE | ||||
Stili di Attaccamento nel bambino: Mary Ainsworth et al. (1978) | B - Sicuro | A – Evitante | C - Resistente | D - Disorganizzato |
Stili di Attaccamento nell’adulto: Adult Attachment Interview (A.A.I.), Main e Goldwin (1994-2002) | F - Sicuro/Autonomo | Ds - Distanziante/Svalutante | E - Preoccupato/Invischiato | U - Non Risolto |
Lettura Reichiana dello Stile di Attaccamento | Stratificazione di fasi evolutive ben compensate. Sufficiente capacità riparativa. | • Fissazione Orale difettuale con blocco rimosso • Fissazione Intrauterina da eccesso (dipendenza) | Fissazione Orale a cavallo tra il blocco insoddisfatto e quello rimosso | Fissazione Intrauterina difettuale rimossa o insoddisfatta |
L’analisi del carattere apre, dispiega e vitalizza una classificazione come quella che la Ainsworth, la Main, Goldwin e i loro collaboratori hanno regalato al mondo della psicologia. L’analisi del carattere prende in considerazione la vita, sempre mutevole e multisfaccettata, permettendoci di vivere l’esperienza con l’altro nei nostri setting in maniera tridimensionale, con la storia che la persona racconta attraverso la sua modalità relazionale.
Nel setting analitico, e/o terapeutico, è fondamentale che il clinico possa disegnare, nella sua mente e nel suo sentire, la storia degli stili di attaccamento della persona. In questo modo è possibile ricostruire e leggere le modalità con cui le relazioni significative dell’altro hanno influenzato e definito il suo modo, più o meno funzionale, di essere e muoversi nelle relazioni interpersonali del qui ed ora. Attraverso questa lettura è possibile fare un’appropriata diagnosi, e porsi con l’altro in una posizione relazionale il più possibile neghentropica, che favorisca quindi la sua evoluzione.
Ancor di più lavorando nell’ambito della prevenzione, con le donne incinte nei percorsi di preparazione alla nascita, o con le famiglie in percorsi di ascolto ed intervento nel post-partum e nell’infanzia, è indispensabile riuscire a cogliere lo stile di attaccamento in entrambi i genitori. Il rischio è quello che possano reiterare modalità relazionali disfunzionali che hanno il sapore di una catena transgenerazionale, di cui non si è a conoscenza, e che per questo risulta pericolosa.
Aiutare l’altro ad essere consapevole della propria storia è il primo passo verso una genitorialità che sappia coniugare l’istintualità con il sentire, e che affidi all’Io il governo del suo dispiegamento.
BIBLIOGRAFIA
Barone L., Del Corno F. (2007), La valutazione dell'attaccamento adulto. I questionari autosomministrati. Milano: Raffaello Cortina Editore.
De Bonis, M.C., Pompei M. (a cura di), (2015) Come sarà il tuo bambino? Dal concepimento inizia a formarsi il carattere. Roma: Alpes.
Ferri, G., Cimini, G. (2012), Psicopatologia e Carattere. L'Analisi Reichiana. Roma: Alpes.
Liotti, G. (2005), Trauma e dissociazione alla luce della teoria dell’attaccamento. In: Infanzia e Adolescenza, Vol. 4, n.3, 2005.
Liotti, G. (2013), Attaccamenti traumatici. Napoli, 12 Aprile 2013.
Siegel, J.D., Hartzell M. (2016), Errori da non ripetere. Come la conoscenza della propria storia aiuta a essere genitori. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Winnicott D.W., (1975). Dalla pediatria alla psicoanalisi. Patologia e normalità nel bambino. Un approccio innovatore. Osycho – G.Martinelli, Firenze.
[*] Psicoterapeuta, Analista S.I.A.R.