Numero 1/2019
LE PAROLE DEL CORPO
Simona Iacoella[*], Daniela Zannella[†]
“Il corpo del bambino è portavoce di affetto e relazioni” (Casella, Boscolo, 2018)
Abstract
Le parole del Corpo descrive una bambina di nome C. che, insieme ai suoi genitori, fin dai primissimi giorni della sua vita, si trova a sperimentare un lessico del corpo atipico rispetto ai suoi coetanei. C. pian piano conosce e si adatta alle parole nuove del corpo per esplorare il mondo fino a scoprire l’altro da sé. Con l’aiuto accurato e progressivamente più consapevole dei suoi genitori ed il supporto specialistico del personale sanitario C. riesce a dare significato al lessico del corpo e ad esprimere bisogni ed interessi in un crescendo di espressioni fisiche e psichiche. C. ora guarda con uno sguardo pieno e sorride.
Parole chiave
Integrazione psicocorporea, Perinatalità, Sviluppo atipico, Genitorialità
Giungono al nostro Servizio i genitori e C., una bimba di 5 mesi. La madre piange in silenzio mentre il padre, proteso verso di noi, ci illustra i documenti dei numerosi medici che hanno consultato e, sin da subito, ci chiede con insistenza come crescerà la loro bambina. Quando arriva al servizio C. viene visitata dalla nostra équipe. L’osservazione clinica evidenziava una scarsa mimica globale con marcata riduzione della modulazione comportamentale, scarso controllo assiale antigravitario con ipotonia e, nell’insieme, una notevole instabilità che disturbava sensibilmente le sue capacità di organizzazione rendendo difficile la comprensione del comportamento motorio e delle problematiche di alimentazione e l’accudimento da parte dell’adulto.
La gravidanza era decorsa regolarmente e la nascita si era completata spontaneamente con un livello di responsività nella norma (APGAR 9-10).
C. aveva presentato, successivamente, problemi di alimentazione e di incremento ponderale (< 3°p) che avevano portato la famiglia a rivolgersi ad un Ospedale di primo livello per approfondimenti genetici. L’esame neuroevolutivo rilevava un andamento anomalo nell’uso del repertorio di motricità e delle competenze sensoriali e relazionali. La valutazione del comportamento spontaneo ed interattivo evidenziava una ridotta partecipazione ambientale ed un’attenzione per i volti rispetto agli oggetti. Girava il capo, gli occhi agganciavano molto raramente lo sguardo ma non potevano fissare ed inseguire un oggetto. L’ipotonia assiale costringeva C. a tenere delle posture fisse, stava prevalentemente supina e le braccia si presentavano abdotte e lievemente flesse al gomito. Sicché, inizialmente, costretta dalla gravità non tentava di raggiungere l’oggetto sulla linea mediana del corpo. Non poteva mettersi di lato. Non portava i piedini alla bocca. Da prona faceva qualche tentativo di sollevare il capo. La motricità spontanea era ridotta. Quindi era necessario promuovere il suo sviluppo coinvolgendola e guidandola all’interno di esperienze interessanti e utili per la sua fase evolutiva.
La bambina viene presa dal suo ovetto e adagiata con delicatezza sul lettino per l’osservazione. Rimane supina, con la testa girata da un lato e lo sguardo vuoto, non risponde agli stimoli delle professioniste e dei genitori. Questi ultimi rimangono in piedi vicino al lettino ad osservare il nostro lavoro, rimandando un’intensa sensazione di preoccupazione; la madre continua a piangere in silenzio e il padre riempie ansiosamente lo spazio di domande.
Si ha l’impressione che i genitori stiano vivendo una fase post-traumatica. Il loro è un grande amore: provengono da paesi e culture diverse, si sono amati dal primo incontro e, rinunciando almeno temporaneamente a carriera e ambizioni, si sono uniti in matrimonio desiderando da subito un bambino. Le prime ecografie hanno evidenziato che il feto presentava dei problemi ma hanno scelto di portare avanti la gravidanza, mettendo al mondo C. che, sin dall’inizio, ha evidenziato delle problematiche significative.
Il sogno era infranto, la bambina era diversa dalle aspettative e loro erano attanagliati dall’angoscia della differenza e dall’ansia per una diagnosi ancora incerta. Sembrava impossibile per loro e, soprattutto per la madre, identificarsi con la piccola, intuire e capire anche con il corpo ciò che mancava alla bambina, stabilire un contatto con lei.
C. se ne sta lì sul lettino, con il corpicino che rimane immobile nella posizione in cui viene posta, la testa di lato, il viso inespressivo e un unico suono invariabile in relazione ai suoi diversi bisogni (fame, sonno, ecc.) ed agli stimoli ambientali, uno sguardo vuoto che non si riesce ad agganciare. Invitiamo i genitori ad interagire con lei, ma non cambia nulla, C. rimane lì ferma, loro sono molto affettuosi con lei ma appaiono disperati ed inermi.
Emerge una modalità di accudimento caratterizzata dall’angoscia e dalla difficoltà di sintonizzazione con la bambina che non guarda e non risponde agli stimoli, disorientando gli adulti rispetto alla possibilità di cogliere in lei la predisposizione innata dell’essere umano al contatto, alla vicinanza ed alla relazione.
Dopo due sedute di osservazione, impostiamo un lavoro in cui la terapista ha come obiettivo il contenimento posturo-motorio per promuovere l’attenzione e l’orientamento uditivo e visivo e l’interesse verso la voce, i volti e gli oggetti inanimati. La psicologa sostiene i genitori per l’elaborazione degli aspetti emotivi legati alla genitorialità e per un rinforzo delle possibilità di sintonizzazione affettiva e di interazione adeguata nell’accudimento e nella stimolazione della bambina. Le sedute si svolgono in due stanze diverse ma, prima del termine, vengono effettuati alcuni minuti di lavoro condiviso, in cui la terapista fa da modeling rispetto alle modalità più opportune di stimolazione della bambina e di interazione con lei, la psicologa rinforza le competenze genitoriali e le modificazioni che gradualmente si manifestano.
Il modeling, dunque, appare fondamentale anche con i genitori. Infatti, la ricerca recente ha consentito di mettere in luce alcuni meccanismi che operano a livello cerebrale (vedi, ad esempio, la funzione dei neuroni-specchio) coinvolti nella strutturazione del legame affettivo primario, considerando come elemento fondamentale il fatto che la relazione madre-bambino costituisce una cornice all’interno della quale la madre funge da organizzatore esterno dei processi di bioregolazione del bambino, come ad esempio gli stati emozionali positivi o negativi (Montirosso, 2008).
C. comincia a mostrare sin dall’inizio dei cambiamenti. A livello corporeo inizia ad agganciare il suo sguardo, dapprima per 1-2 secondi, poi sempre più a lungo. Inizia ad interessarsi agli oggetti che tenta di raggiungere, a portare gli arti sulla linea mediana e le mani alla bocca e a fermarsi per prestare attenzione ed alimentarsi. Migliora progressivamente il controllo assiale antigravitario. Si ha la sensazione che per lei sia una bellissima scoperta: quando incontra l’interlocutore, sembra accendersi, inizia ad attivarsi dal punto di vista motorio e il suo viso comincia ad esprimere emozioni.
Sembra finalmente manifestarsi quello che Winnicott (1975) definisce il “senso di esistenza nel proprio corpo” e la sua vita mentale inizia a manifestarsi nella sua radice, che ha rimandi al corpo: il respiro, la vitalità, il movimento. A sua volta, comincia a vivere nel suo corpo e a mostrarsi persona con i suoi desideri e le sue emozioni.
E la stessa sensazione rimanda la madre: riuscire ad incontrare lo sguardo della figlia le apre un mondo e pian piano le lacrime scompaiono e i suoi begli occhi castani iniziano a tornare a sorridere alla vita che l’aveva sottoposta ad una incomprensibile prova legata alla vulnerabilità e alla complessità della situazione della figlia.
Il ripresentarsi continuo di quell’evento traumatico che sembrava aver messo a rischio le funzioni mentali implicate nella genitorialità e le capacità di sintonizzazione affettiva quale fattore indispensabile per l’avvio di una relazione adeguata (Trombini, 1999), sembrano lasciare gradualmente spazio ad una relazione possibile, in cui esprimere le capacità genitoriali di sintonizzarsi affettivamente con la bambina.
Questa possibilità circolarmente facilita la creazione di un legame con i genitori e un atteggiamento attivo della bambina nell’esplorazione dell’ambiente. E’ noto quanto l’esperienza relazionale con le figure di accudimento primarie sia fondamentale per un adeguato sviluppo psicologico e relazionale.
Ora C. ha 9 mesi e finalmente appare possibile quanto di solito si verifica sin dalla nascita: la relazione tra madre e bambino avviene prevalentemente attraverso il corpo e lo sguardo e le modalità con cui il piccolo viene guardato, accarezzato, abbracciato e tenuto in braccio determinano un sistema di comunicazione affettiva molto importante per il suo futuro psichico.
Tali scambi comunicativi consentono alla madre di stabilire una continuità nella interazione con la propria bambina. Come sostiene Winnicott (1975), nella prima fase madre e bambino stabiliscono un profondo contatto oltre che fisico anche con lo sguardo e questo consente al figlio di rispecchiarsi negli occhi della madre e di leggere in questi il proprio stato emotivo. A sua volta la madre deve avere la capacità di percepire, comprendere e saper rimandare in maniera adeguata lo stato emotivo del bambino, consentendogli di riconoscersi nel volto materno come in uno specchio. Questo processo di sintonizzazione affettiva consente al piccolo di acquisire la capacità di regolare le emozioni e l’organizzazione del Sé mediante esperienze interpersonali che contribuiscono a stabilire un adeguato equilibrio tra emozioni positive e negative, aspetto che influenza direttamente le modalità di sviluppo dei circuiti neurali implicati nella modulazione delle emozioni (Cesaro S., 2018).
Al termine del ciclo di interventi, la bambina guarda, sorride ed interagisce attivamente con le persone e con il mondo circostante. Ci riconosce sin dal corridoio e, agitando le braccine, si protende verso di noi e cerca i giochi che ormai conosce.
La madre ha un altro aspetto: ha ricominciato a prendersi cura di sé, ha chiesto la collaborazione di una baby sitter qualificata per recuperare qualche spazio individuale e, soprattutto, ha ricominciato a progettare la sua vita. Il padre per motivi di lavoro partecipa a poche sedute, ma si immerge nel cambiamento della relazione con la figlia, continuando a svolgere anche un ruolo protettivo per la diade madre-bambina.
All’atto delle dimissioni al Servizio e del passaggio ad un Centro riabilitativo, la diagnosi è quella di Ritardo globale dello sviluppo, con disorganizzazione nell’uso del repertorio motorio correlabile ad un disturbo del sistema nervoso centrale. La vita di C. sarà probabilmente costellata da numerose sfide difficili, ma aver avuto l’opportunità di stabilire una relazione adeguata con la propria madre e con il proprio padre e di interagire attivamente con il mondo esterno sarà per lei la base sicura per migliorare le sue relazioni future e la sua qualità di vita.
Bibliografia
Casella, S., Boscolo, V., (2018). Il corpo del bambino portavoce di affetto e relazioni: i disturbi funzionali precoci, Workshop Festival Maternità, Padova.
Cesaro, S., (2018), Lo sguardo della madre e il ruolo dei neuroni specchio, www.farodiroma.it.
Montirosso, R., (2008), Relazione madre-bambino. Nuove metodologie di studio. www.emedea.it.
Trombini, E. (1999) (a cura di) Genitori e figli in consultazione, ED, Quattro venti, Urbino.
Winnicott, D.W., (1975), Dalla Pediatria alla Psicoanalisi. Firenze: Martinelli.
[*] Psicologa, Psicoterapeuta, Didatta. Dirigente psicologo presso il Servizio Salute Mentale in Età Evolutiva, Asl Roma 3
[*] Psicologa in formazione e specialista della riabilitazione. Servizio Salute Mentale in Età Evolutiva, Asl Roma 3