“SANDRO”
Questo articolo è la parziale documentazione di un incontro di supervisione analitico-clinica in gruppo condotta da Genovino Ferri, psichiatra, analista reichiano.
La storia
Supervisore: qual è l’analisi della tua domanda?
Terapeuta: valutare se sto lavorando seguendo la giusta direzione e capire la sofferenza di Sandro.
Supervisore: ricostruiamo la storia di Sandro sulla freccia del tempo: procediamo ad analizzare che cosa ci ha colpito della rappresentazione di Sandro fatta dal terapeuta, delineando i tratti di personalità nei loro pattern pervasivi, per poi spostarci verso le diagnosi cliniche, relazionali, corporee ed arrivare ad una progettualità operativa che chiarisca anche le linee appropriate controtransferali.
Intervento 1: è un caso molto ricco, ma è come se non avessi emozioni, facilmente mi sono distratto. Mi ha colpito che per la sua famiglia d’origine abbia utilizzato spesso l’aggettivo “buono”.
Supervisore: Sandro ha un senso di estraneità (non una dissociazione o depersonalizzazione), il primo aggettivo per tutti è sempre “buono”! Perché? Che funzione ha? Qual è il suo senso intelligente? È per non separarsi? Per mantenere una dimensione affettiva, costante e prossima?
Sono tutti buoni e questo vuol dire che nessuno lo esclude!
Uno dei suoi progetti pre-soggettivi l’ha realizzato!
Intervento 2: la moglie è definita “rigida” e “schematica”, ma “disponibile” e “paziente”, mi sono sembrati aggettivi lontani.
Supervisore: emerge che il rapporto con la partner è un po’ diverso dal rapporto con la famiglia originaria.
Intervento 3: a me colpisce la sua dipendenza, come dimostra il rientrare prima dalla vacanza con la moglie per tornare dai figli.
Terapeuta: in merito a questo vorrei aggiungere che Sandro, quando accompagna il figlio a scuola, lo lascia, fa un giro e poi ritorna a scuola perché non riesce a lasciarlo; quando poi vede che il figlio gioca normalmente con gli altri bambini pensa: “già si è scordato di me!”.
Supervisore: sta emergendo un forte tema di dipendenza, portatore di ansia e angoscia abbandonica.
Prendiamo le evidenze che stanno emergendo e costruiamo il tratto. C’è un pattern di dipendenza, con la necessità di rimanere in prossimità dell’altro, con associato il rischio di sequestrare-coartare l’aggressività.
Intervento 4: mi viene da pensare al sabato e al lunedì…
Supervisore: (sorridendo) facciamo la diagnosi differenziale tra il sabato e il lunedì. Tra il sabato e il lunedì c’è la differenza tra l’ansia e l’angoscia. Troviamo l’ansia da insostenibilità il sabato (di non farcela) e l’angoscia abbandonica il lunedì. Questi sono due schemi di tratto che Sandro presenta: l’ansia da insostenibilità (del sabato) e la dipendenza affettiva (del lunedì)… il primo in rapporto al padre, il secondo in relazione con la madre.
Proviamo a confermare queste evidenze.
L’ansia da insostenibilità è connessa al papà che avvia un secondo ristorante, come Sandro un secondo negozio; lui sta all’interno di questa sfida competitiva, ma in costante affaticamento.
L’angoscia abbandonica è connessa alla mamma, che gioca a “sei un trovatello” e lo riappiccica continuamente a sé, segnando Sandro sul recettore esclusione-richiamo di separazione.
Intervento 5: lo sento molto in difficoltà con il maschile e nel costruire relazioni.
Supervisore: dove troviamo, nella sua storia, questa incapacità di costruire una rete?
Intervento 6: penso agli episodi di bullismo.
Supervisore: questi possono senz’altro essere inibenti in tal senso.
Intervento 7: sembra che non riesca a costruire una rete relazionale poiché non riesce ad allontanarsi dalla madre.
Supervisore: la rete è più del due e più del tre, è una costruzione più larga.
Potrebbe risuonare molto anche sul tempo dell’ingresso nel terzo campo, dai quattordici anni in poi, quando va a vivere da solo: immaginate e sentite quanta solitudine in questo ragazzo!
Va fuori dal cerchio super-affettivo del buono.
Intervento 8: mi colpisce quello che lui definisce “l’handicap” di aiutare gli altri e mi chiedo se può essere una richiesta di separazione.
Supervisore: c’è! Ma non è solo richiesta di separazione, è associata anche una richiesta di liberazione.
Quando e dove nasce questo schema?
Sembra dire implicitamente: “mamma, sorridimi e lasciami andare. Se giochi a dirmi trovatello, io vado nella paura e nello smarrimento… tu così mi richiami a te e io non sento di poter andare”.
Siamo nel pattern relazionale del masochismo primario di secondo tipo, in fase oro-labiale. Sandro è stato svezzato per il latte poco nutriente, questo è uno dei suoi stadi dove è segnata la paura dell’abbandono.
Si trova in una scena in cui il papà si propone come tenace, uno che va, e raccoglie il messaggio implicito, ma va in debito di energia, non lo raggiunge, perché non è sostenuto da una madre difettuale che lo richiama a sé.
Qui è la sua nevrosi, il suo conflitto: la corsa con il padre lui la fa ma con handicap (il richiamo materno) e questo gli genera ansia da insostenibilità.
Precisiamo il dove dell’ansia da insostenibilità nel corpo.
C’è un affanno toracico importante… tra lui e il padre!
Non ci sono la voce e la parola e manca pure la visività, per cui rimane un incontro toracico affettivo non espresso, si vogliono bene… ma sono chiusi.
Intervento 9: è vero, Sandro non parla se non viene sollecitato e visto.
Supervisore: ma in realtà ha una gran voglia di parlare! Probabilmente abbiamo un padre che non è riuscito a guardare suo padre, potrebbe essere una duplicazione di schemi. Tra maschi spesso l’espressione verbale è troppa, si rimane ingorgati in un collo che non permette il passaggio della parola, indurito in posizioni coatto-fallico-narcisiste.
Se lo abbiamo letto masochista prima, guardiamolo anche narcisista adesso. Narcisismo e masochismo sono interfacce dello stesso asse verticale, sempre insieme. Dipende poi quale interfaccia è più attivata negli stadi evolutivi storici.
Intervento 10: sento molto questo suo narcisismo.
Supervisore: certo! È quello del padre, che Sandro ha specchiato e raccolto. C’è un implicito che questo padre domanda al figlio ed è “imitami!”, ma Sandro sale in un torace ansimante.
Intervento 11: credo che, non essendo stato visto dal padre, abbia voluto dimostrargli di saperci fare.
Supervisore: avverto qualcosa di più, il padre gli dice anche “vieni con me!”. Se Sandro non avesse recepito questo, non l’avrebbe imitato.
La competizione c’è, ma non c’è la funzione di trainer del padre: un trainer Sandro se l’è cercato per dimagrire e tonificarsi muscolarmente (quindi allontanarsi un po’ dall’angoscia materna) e adesso sta tonificando anche l’aspetto psicoemozionale con un altro trainer, maschile questa volta.
Riassumiamo quindi i tratti di personalità di questo ragazzo: un asse masochistico-narcisistico, una fissazione difettuale orale, una condizione pre-fallica con tentativo di raggiungere il padre, che ha uno stadio fallico coartato nel torace-collo, che impedisce l’attraversamento della voce e il raggiungimento della genito-ocularità.
Dal punto di vista clinico, Sandro ci presenta un’ansia di tratto, con qualche aspetto oltre-soglia, e un’angoscia abbandonica; siamo nell’ambito della sfera nevrotica (non abbiamo condizioni borderline, né depressive, né psicotiche).
Quale progetto analitico-terapeutico per Sandro?
Quale intersoggettività e quale intercorporeità possibili?
Perché la psicoterapia sta funzionando?
Intervento 12: provo a rispondere alle tue domande.
C’è un torace che comincia a dirimpettare (senza giubbino) il terapeuta, un uomo che lo incontra sul torace e il collo, con una mimica che svela il mondo emozionale di un maschile che Sandro può guardare, da cui può essere visto, ricevere risposte e che può essere il suo trainer per arrivare alla genito-ocularità. Un terapeuta che testimonia il potersi guardare negli occhi, incontrarsi psicoemozionalmente ed esprimersi con prosodie appropriate in una relazione al maschile.
Supervisore: ottimo! Questa cornice strutturale ben rappresentata permette di sviluppare dialoghi, ricerche e costruttività possibili.
Stiamo introducendo il cuore, il giro cingolato anteriore, parte affettiva del sistema limbico per eccellenza, con una connotazione di genere molto appropriata per lui: incontra un maschile con cui può dialogare, rapporto molto vincente dal punto di vista di una terapeuticità appropriata.
Un maschile che lo traina e lo distanzia ancor di più dalla madre.
Il padre, che non ha voce e non lo guarda, lo ferma in stallo, in una solitudine che lo rende più sensibile al richiamo materno, ma anche al masochismo secondario del Complesso di Atlante.
Quali acting (Attivazione Corporea Incarnata) possiamo proporre?
Intervento 13: pensavo all’acting del “no”, ma non so se è troppo forte in questa fase, ha ancora probabilmente bisogno di essere incluso.
Supervisore: in termini di lettura psicoterapeutica clinico-corporea, questo ragazzo è su una mente di tratto ferma tra il “no” e l’”io”, il “no” alla madre e l’ “io” al padre; è incastonato in questa doppia dimensione. Quindi proporrei di lavorare sul torace e sul collo, con l’”io” prima e con il “no” poi, ma lo farei nel momento in cui ha preso corpo la relazione intersoggettiva-intercorporea nel setting e nel torace-collo-occhi-voce.