Il modello post-reichiano della Siar

Il modello post-reichiano della Siar

di Marcello Mannella

Il modello analitico-clinico della Siar (1) rappresenta uno sviluppo particolare – innovativo e rivitalizzante – della tradizione di pensiero reichiana. Momento di sviluppo ma, anche, di superamento e di rottura rispetto a tanti presupposti teorico-clinici che l’hanno profondamente connotata e che, mio avviso, hanno finito col metterne in ombra gli importanti contributi alla riflessione e pratica psicoterapeutica contemporanea.
Sul piano teorico, fra i contenuti di maggior novità, indicherei l’abbandono della concezione energetico-pulsionale dell’uomo a favore di quella relazionale e la trasformazione del setting in senso sistemico-complesso.
Sul piano clinico sottolineerei, invece, il decisivo riposizionamento della prassi terapeutica sulla metodologia della Vegetoterapia Analitico-Caratteriale – recuperata e sistematizzata da Raknes (2) e Navarro (3), ulteriormente sviluppata da Ferri (4) nell’ottica del tempo evolutivo – dopo la messa in ombra operata dallo stesso Reich quando aveva rivolto tutte le sue energie in direzione dello sviluppo della Terapia Orgonica (5) .
Questi nuovi presupposti teorico-clinici si rafforzeranno circolarmente e saranno forieri di nuovi decisivi sviluppi. Uno su tutti: il progressivo abbandono di quell’anelito utopico (6) che si era espresso in maniera compiuta nel periodo orgonomico e che, impregnando il movimento reichiano di un pronunciato spirito settario, ha contribuito a collocare l’intera sua riflessione ai margini del dibattito scientifico.
Proverò ora a ricostruire la storia di questo originale percorso di pensiero, ne evidenzierò le biforcazioni e i punti di svolta, gli elementi di continuità e di rottura, rispetto alla originaria riflessione di Reich. L’avventura del movimento reichiano ha inizio quando, ancor giovane psicoanalista, Reich si era reso conto che per la risoluzione dei sintomi nevrotici non bastava rendere conscio l’inconscio, ma fosse necessario elaborare sistematicamente le resistenze prima ancora di attendere all’interpretazione del materiale fornito dalle libere associazioni dei pazienti.
Mostrando uno spiccato interesse per le problematiche tecnico-terapeutiche, egli, insieme ad altre importanti figure del movimento psicoanalitico come Rank e Ferenczi, visse profondamente la crisi della tecnica psicoanalitica negli anni Venti del secolo scorso e sentì l’esigenza di percorrere nuove strade. Fu pertanto fra i promotori – e ne sarà anche il principale animatore – dell’istituzione del Seminario di tecnica psicoanalitica creato a Vienna nel 1922.
È da quella esperienza che sarebbe scaturita la tecnica dell’Analisi del carattere, i cui principi – possiamo affermare senza timore di essere smentiti – sono oggi presupposti in qualsiasi forma di intervento analitico-terapeutico, ancorché non ne sia esplicitata la paternità.
Essa costituisce un momento di passaggio decisivo. Lo spostamento di attenzione dai contenuti alla forma della comunicazione e il riconoscimento della realtà e dell’importanza del linguaggio del corpo, comportavano la presa di coscienza che la relazione fra il paziente e l’analista non si risolveva nella sola comunicazione verbale.
L’analista doveva prestare attenzione a tutta una serie di segni – il modo di parlare, di camminare, di stringere la mano, di stare seduto, ecc. – che diventavano fondamentali per la comprensione del carattere del paziente. Era proprio quest’ultimo,nella sua funzione di difesa, a rappresentare la resistenza più importante al processo terapeutico, impedendo l’emergere degli affetti.
Secondo Ferri e Cimini (7) , l’Analisi del carattere rappresenta insieme un punto di svolta e il frattale fondamentale della storia del movimento reichiano.
Punto di svolta perché segna il passaggio della tecnica psicoanalitica dalle coordinate epistemologiche di un pensiero riduzionista, un pensiero che semplifica, che in una concezione lineare della comunicazione – dall’analista al paziente – ne esclude la reciprocità, a quelle di un pensiero complesso, di contesto, che si dispone a considerare una molteplicità di punti osservativi e di variabili.
Frattale della sua storia perché con essa si inaugura l’assunzione di una posizione epistemica meta osservativa che -come un frattale appunto – ritroveremo a più alti livelli di complessità nei successivi passaggi del pensiero post-reichiano della Siar.
Stiamo parlando degli ultimi sviluppi della riflessione sulla realtà del setting: l’analisi del carattere della relazione e il setting inteso come sistema vivente complesso.
Una prima sottolineatura: nonostante l’analisi del carattere aprisse alla possibilità del passaggio ad un setting relazionale-complesso, Reich mancava di operare tale trasformazione a causa del suo naturalismo antropologico e del necessario corollario della considerazione energetico-pulsionale dell’essere umano.
Convinto, infatti, che l’uomo fosse dotato di un nucleo di funzionamento biologico naturale, per Reich la definizione della personalità umana non era tanto l’esito di un processo storico-relazionale che coinvolgeva il sistema vivente uomo nelle sue varie fasi evolutive e l’ambiente familiare e sociale, ma la necessaria conseguenza della sua disposizione naturale.
Da questi presupposti discendeva inevitabilmente che l’attività dello psicoterapeuta piuttosto che essere soprattutto rivolta a stimolare nella persona la presa di coscienza delle proprie modalità comportamentali nevrotiche al fine di far sorgere l’esigenza di sperimentarne di nuove e personali, si proponeva l’obbiettivo di guarire il paziente portandolo a ristabilire la piena funzionalità pulsionale, nascosta e deformata dalle stratificazioni artificiose del carattere.
Ma se lo psicoterapeuta conosce anticipatamente la via verso la guarigione e se la direzione di tale processo è la medesima per ogni individuo, allora non c’è alcuna necessità di un setting relazionale.
In ogni caso, pur mancando il passaggio ad un setting complesso, lo spostamento di attenzione dai contenuti alle modalità di comunicazione e la consapevolezza dell’importanza del linguaggio del corpo, portavano Reich alla definizione del suo contributo terapeutico più geniale e rivoluzionario: la Vegetoterapia Analitico-Caratteriale. Mentre infatti l’Analisi del carattere era accaduta tutta all’interno delle coordinate epistemologiche della psicoanalisi, questa tecnica è il frutto esclusivo del suo genio terapeutico. Decisivo era stato il saggio Il masochismo (1932) in cui era pervenuto a comprendere l’identità delle funzioni delle difese psichiche e corporee. Aveva pertanto cominciato a sviluppare una pratica clinica in grado di affrontare le problematiche emozionali umane attraverso la porta fino allora impensata del corpo, sancendone il definitivo ingresso nella psicoanalisi.
Se la resistenza caratteriale si mostrava refrattaria al lavoro analitico, si poteva procedere per altra strada lavorando direttamente sulla corrispondente difesa somatica, ad esempio, massaggiando un muscolo irrigidito del paziente. Ciò comportava un rilassamento della tensione muscolare e, spesso, l’emergere del contenuto psichico ad essa associato.
Egli cominciò a proporre ai suoi pazienti l’assunzione di particolari posture e movimenti – acting – mentre all’analisi del carattere era riconosciuta la funzione fondamentale, non solo di elaborare le resistenze, ma anche di integrare nell’io le esperienze emotive emerse. Reich, per primo, aveva così individuato la via d’accesso a quei vissuti che accadono in età precoci, espressione delle nostre relazioni primarie, condannate ad essere escluse da ogni presa di coscienza se si fosse continuato a fare esclusivo riferimento alle pratiche psicoterapeutiche verbali.
Con l’ingresso del corpo in psicoanalisi l’assunto razionalista freudiano di rendere conscio l’inconscio era definitivamente superato: in Vegetoterapia l’accento era posto sul sentire-capire. Il genio terapeutico inattuale di Reich risalta chiaramente se solo si tiene conto che la cornice antropologica dominante nel suo tempo era quella cartesiana incentrata sul dualismo mente/corpo, ragione/emozione. L’approccio teorico-terapeutico unitario di Reich trova oggi conferma nella ricerca neuroscientifica. Damasio, ne L’errore di Cartesio, sostiene che il sistema di ragionamento efficace “si sia sviluppato come un’estensione del sistema emozionale automatico e che l’emozione abbia ruoli diversi nel processo di ragionamento” (8). Avanza pertanto l’ipotesi del marcatore somatico: è l’emozione che marca determinati aspetti di una situazione o i suoi possibili esiti rendendo così possibile all’individuo operare una decisione che sarebbe stata altrimenti impossibile a farsi. Noi analisti sappiamo bene quanto le esperienze dei nostri pazienti impregnate di emozioni abbiano l’aura della verità e risultino decisive per la presa di coscienza e la possibilità del cambiamento.
Ancor di più la Vegetoterapia, a mio avviso, va addirittura oltre il basilare presupposto del sentire-capire in quanto la sua prassi è incentrata su acting, cioè su esperienze motorie che rappresentano le forme espressive originarie del vivente. Che la vita più che struttura sia processo, movimento, era già stato intuito da Reich.
Nel capitolo Il linguaggio espressivo del vivente di Analisi del carattere, egli aveva affermato che: “il vivente si esprime in movimenti, e quindi noi parliamo di ‘movimenti espressivi’. Il movimento espressivo è una rigorosa caratteristica del protoplasma. Esso distingue tutto il vivente da tutti gli altri sistemi non viventi (9).
Queste intuizioni sono confermate dagli attuali studi che dispongono dell’ausilio di ben altre conoscenze e strumenti di ricerca.
In Alla ricerca di Spinoza Damasio sostiene che “Al principio era l’emozione – ma al principio dell’emozione era l’azione” (10). Secondo Oliverio “Azioni e movimenti hanno un ruolo centrale nei processi di rappresentazione mentale a partire dalle fasi embrionali, quando l’embrione comincia a manifestare attività riflesse che costituiscono i mattoni dei futuri comportamenti motori. L’embrione è anzitutto un organismo motorio, prima ancora di essere un organismo sensoriale: nella fase embrionale, in quella fetale e in quella della prima infanzia l’azione precede la sensazione e non il contrario: vengono compiuti dei movimenti riflessi e poi se ne ha la percezione”(11).Le funzioni motorie e lo stesso corpo, che pure nella nostra cultura sono svalutati e subordinati rispetto alle capacità cognitive, risultano “all’origine di quei comportamenti astratti di cui siamo fieri, come dello stesso linguaggio che dà forma alla nostra mente” (12) .
Alla luce di tutto ciò risulta più agevole comprendere perché in Vegetoterapia accadono spesso insight profondi relativi alle nostre esperienze primarie (13) , così come risultano essere intelligibili i motivi per cui il movimento reichiano, nel tempo, abbia potuto risalire e comprendere l’importanza decisiva dei vissuti intrauterini (14).
Capiamo, infine, perché possa essere uno strumento terapeutico assai efficace. In Vegetoterapia agire, sentire e capire sono profondamente intrecciati, si implicano continuamente e viene ad essere riproposto l’ordine di sviluppo filo ed ontogenetico delle funzioni: il capire avviene attraverso il sentire e il sentire attraverso l’agire.
Con la Vegetoterapia dunque il corpo è posto al centro della scena. Reich ne individuò specifici livelli, anelli o segmenti disposti trasversalmente rispetto al tronco:“quegli organi e quei gruppi di muscoli che sono in contatto funzionale fra loro, che sono capaci di indurirsi reciprocamente a compiere un moto espressivo emozionale” (15) . Egli ne individuò sette e li considerò nella loro successione spaziale dall’alto al basso del corpo:oculare, orale, cervicale, toracico, diaframmatico, addominale, pelvico.
Ma pur pervenendo all’importante scoperta dell’approccio terapeutico corporeo, Reich mancherà di dare alla Vegetoterapia Analitico-Caratteriale una forma compiuta perché progressivamente sempre più rivolto alla definizione della teoria e della prassi Orgonomica. L’intuizione della Vegetoterapia era infatti accaduta in un periodo biografico molto contrastato ed estremamente vivace dal punto di vista intellettuale. Espulso dalla Società Psicoanalitica Internazionale nel 1934, dopo un inquieto girovagare per l’Europa, egli si era infine stabilito nel 1935 in Norvegia restandovi fino all’agosto del 1939. Nei primi anni del suo soggiorno in quel paese, influenzato dalle ipotesi bio-elettriche di Kraus, Zondek e Hartmann,aveva approntato una serie di esperimenti volti a definire la natura dell’energia che presiedeva l’esperienza di piacere nell’uomo. Egli riuscì a dimostrare che le cosiddette zone erogene presentavano un maggiore potenziale bio-elettrico e una capacità di oscillare nella carica sensibilmente più pronunciata rispetto all’epidermide del resto del corpo. Gli esperimenti attestavano che il potenziale delle zone erogene non aumentava se non era accompagnato da una sensazione di piacere e che questo era tanto più intenso quanto più dolce era lo stimolo. Il pene o il capezzolo, ad esempio, potevano inturgidirsi,ma in assenza di sensazioni di piacere non si verificava un aumento della carica bioelettrica. Viceversa una sensazione di angoscia o dispiacere si accompagnavano a una brusca caduta del potenziale. L’intensità delle sensazioni di piacere e la quantità di eccitazione somatica apparivano pertanto identiche; psiche e soma costituivano un’unità funzionale. La Vegetoterapia aveva così trovato una decisiva fondazione. Ma questo periodo di intensa e rivoluzionaria attività intellettuale (16) aveva portato ad ulteriori sviluppi. Reich si era gradatamente convinto che l’energia bioelettrica a fondamento dei fenomeni umani fosse un’espressione particolare di una forma di energia ancora sconosciuta, ma presente in tutta la natura. Egli ne andò pertanto alla ricerca e pensò di averla individuata dapprima nei bioni (17) – stadio di transizione della materia da inorganica ad organica – ed infine nella stessa materia inanimata e pertanto all’origine dell’intera esistenza. Tale nuova forma di energia fu denominata orgonica (da organismo o orgasmo) e segnerà una profonda cesura nello sviluppo della sua opera. La presunta scoperta dell’energia orgonica cosmica sposterà decisamente l’asse delle sue ricerche (18) dando origine al momento scientificamente più controverso della sua riflessione, il cosiddetto periodo orgonomico negli anni  della sua permanenza negli USA a partire dagli ultimi mesi del 1939.
Sul piano teorico la riflessione orgonomica segnava lo spostamento di interesse dall’uomo alla natura, mentre su piano clinico-terapeutico registrava la perdita di centralità della Vegetoterapia a favore della Terapia Orgonica.
Non è allora un caso che mentre l’Analisi del carattere risulti essere ben fondata sia epistemologicamente che metodologicamente, la Vegetoterapia non perverrà mai con Reich ad una chiara definizione metodologica. Una volta formulata l’ipotesi della possibilità di un intervento terapeutico orgonomico, egli non ne avrà più né il tempo né l’interesse e resterà incompiuta, costituita da pochi acting – il più importante dei quali era un esercizio di respirazione profonda – senza nessuna connessione con le fasi evolutive e i livelli corporei.
Nella Terapia Orgonica si coglie – e sarà decisiva – la volontà di pervenire alla definizione di un intervento clinico essenzialmente bioterapeutico. A parere di Reich, essa rappresentava una tecnica più profonda perché capace di operare bioenergeticamente e non più psicologicamente e pertanto in grado di pervenire fino al nucleo biologico dell’organismo.Le finalità da perseguire erano radicali e risolutive: porre rimedio alle distorsioni della civiltà mistica e meccanicistica e riconnettere l’uomo al ritmo armonioso della natura. Solo così alla specie umana poteva essere garantita una condizione stabile di benessere. Con la Terapia Orgonica l’aspirazione utopica naturalistica presente in tutta la sua opera raggiungeva il culmine.  Anche la Terapia Orgonica non ha mai raggiunto una chiara definizione metodologica, così come la vegetoterapia. Ma mentre quest’ultima, come abbiamo visto, aveva avuto una chiara fondazione epistemologica e il suo destino era stato segnato dallo spostamento di interessi da parte di Reich, la Terapia Orgonica non ha mai raggiunto uno statuto metodologico ben definito perché fondata su presupposti epistemologici deboli.
La sua problematicità metodologica era stata già avvertita da alcuni dei suoi collaboratori più stretti e dei suoi più validi continuatori. Raknes affermava che “la psichiatria orgonica fino ad ora è stata interessata principalmente all’attività respiratoria,perché regolatrice del metabolismo orgonico” ed auspicava che “probabilmente in futuro verrà dedicata maggiore attenzione ad altri fattori” (19) .
Navarro ha affermato che sebbene il termine Vegetoterapia fosse stato abbandonato da Reich per quello di Orgonoterapia, è da lui riproposto “non essendo ancora l’Orgonoterapia pronta a fornire elementiterapeutici collaudati”(20). Saranno proprio Raknes e Navarro a riproporre la centralità della Vegetoterapia Analitico-Caratteriale riconoscendo le insufficienze – sia pur considerate momentanee – dell’Orgonoterapia. La loro riflessione rappresenta un punto di biforcazione fondamentale della storia del movimento reichiano e di decisiva importanza per la definizione del modello della SIAR.
L’amicizia fra Reich e Raknes risaliva al periodo psicoanalitico, era continuata nel periodo norvegese e si era cementata nel periodo americano, quando Raknes andò più volte negli USA per apprendere gli sviluppi della sua ricerca. Continuò pertanto ad insegnarne il metodo dopo la sua morte avvenuta drammaticamente nel 1957.
In Italia, intanto, grazie all’opera divulgativa di Luigi De Marchi (21) si diffondeva il pensiero reichiano e a Napoli nasceva il Centro Studi W. Reich (1968), di cui Navarro fu uno dei principali animatori. Fu proprio Navarro a volerne approfondire la conoscenza e ad invitare a Napoli Raknes, sottoponendosi insieme ad altri colleghi a training di formazione. In seguito “Ola Raknes affidò a F. Navarro la messa a punto della metodologia psicoterapeutica della ‘Vegetoterapiacarattero-analitica’, ne approvò la sistematizzazione e nel 1974 lo riconobbe ufficialmente, definendolo ‘orgonoterapeuta’ in armonia col percorso di W. Reich” (22). Egli sviluppò la metodologia della Vegetoterapia e le fece compiere un salto qualitativo fondamentale attraverso la definizione di specifici acting per ognuno dei livelli corporei. Ma il setting di Navarro era ancora di tipo monadico e si rimaneva ancorati ad una concezione energetico-pulsionale dell’essere umano. Quella di Navarro, era una Vegetoterapia ancora “bidimensionale,che non tiene sufficientemente in conto il tempo evolutivo interno e la relazione terapeutica nel setting” (23).
In Navarro permanevano, del resto, elementi di ambiguità teorica. Il recupero della centralità della Vegetoterapia sembrava essere solo strategico in considerazione del
fatto che la Terapia Orgonica non presentava ancora elementi terapeutici collaudati.
Risale al 1977 l’incontro fra Navarro e Ferri, mentre nel 1979 si costituiva la S.E.Or (24). Dalla S.E.OR nasceva nel 1992 la SIAR, che rappresenta un ulteriore punto di biforcazione della storia del movimento reichiano.
La Siar, in una chiara cornice analitica, riconosce pieno valore alla Vegetoterapia e ne afferma definitivamente la centralità;lascia cadere la concezione energetico-pulsionale dell’uomo; trasforma il setting in senso neghentropico-sistemico- complesso;rinuncia all’aspirazione utopica naturalistica. Proviamo a vedere da vicino ognuno di questi importanti e decisivi sviluppi.
Così Ferri afferma: “Ci ponemmo negli anni ’90, infatti, di fronte all’emergente necessità di approfondire e perfezionare la relazione nel setting, secondo parametri reichiani e di declinarla con la dimensione ‘profondità-tempo’. Un guizzo meta- analitico ci fece leggere il controtransfert come controtransfert di tratto e, in più, ci fece centrare il focus sull’Architettura della Relazione. […] Eravamo di nuovo nell’alveo del fiume analitico” (25) .
Il modello Siar osserva il sistema vivente uomo attraverso la prospettiva del tempo evolutivo, un tempo tridimensionale che, non più centrato sugli aspetti attuali, del “qui ed ora” (tempo bidimensionale), esamina le problematiche emozionalialla luce della storia evolutiva dell’individuo. Ciò ha portato ad individuare i nessi
fral’attivazione e la dominanza ontogenetica dei livelli, la prevalenza cerebrale (26) , le fasi evolutive, mentre gli acting non sono più considerati soltanto in relazione ai livelli corporei, ma attentamente coniugati alle fasi evolutive.
Se pertanto – così come in Reich – nella metodologia di Navarro, i livelli sono proposti secondo una successione – dall’alto verso il basso – che prende in considerazione l’organismo che ha ormai completato il processo evolutivo, la Siar invece li ordina a partire dalla loro attivazione ontogenetica, cioè in base al fatto che durante lo sviluppo evolutivo assumono una prevalenza energetico-fisiologica e sono pertanto di volta in volta deputati a veicolare e a ricevere impressioni in una specifica relazione di fase fra il sé e l’altro da-sé (27). Il primo livello ad attivarsi e ad assumere la prevalenza è pertanto quello addominale nelle fasi intrauterine, mentre la dominanza cerebrale è dei cervelli rettiliano e limbico. Fanno seguito il secondo livello nella fase oro-labiale e il quarto livello nella fase muscolare anche essi caratterizzati dalla prevalenza cerebrale limbica, ed infine il terzo, il quinto, il settimo e il primo livello, a prevalenza cerebrale limbica e neopalliale. La coniugazione di livelli, fasi, passaggi di fase, tratti, cervelli, aree cerebrali ed acting permette di modulare l’intervento terapeutico sulle necessità cliniche del paziente. Nel modello Siar parliamo di progettualità terapeutica generale o mirata.
La progettualità generale (somministrazione degli acting a partire da quelli del primo livello, secondo la successione proposta da Reich e Navarro) è attuata quando si ritiene opportuno che per un individuo sia necessaria la rivisitazione complessiva del sé al fine di realizzare un “equilibrio sempre maggiore, perché più largo,
dall’intrauterino al genitale, attraversando e coordinando frequenze, ritmi, e tempi evolutivi differenti” (28) , permettendo all’Io di “essere sempre più intelligente, nel senso di leggere meglio il proprio Sé, ed una naturalezza armonica va a sostituire blocchi psicoemozionali e corporei disfunzionali” (29) .
La progettualità mirata (con acting di specifico livello, fase e tratto) è proposta, invece, per uno specifico disturbo, “sia esso sintomo, sia esso sindrome, sia esso tratto caratterologico ‘oltre soglia’ (30) e gli acting somministrati pertanto sono quelli giudicati più adeguati a far muovere la persona dalla particolare condizione emozionale in cui risulta essere bloccata.
La possibilità di modulare l’intervento terapeutico discende alla Siar anche dal fatto che è pervenuta ad una diversa considerazione del carattere. Mentre tradizionalmente è stato inteso nei termini negativi della corazza che imprigiona e distorce il nucleo biologico naturale,ed inevitabile è allora il progetto terapeutico monotematico volto a smantellarlo, la Siar supera l’equazione carattere=armatura o corazza (essa può esser vera solo per alcuni tipi caratteriali) e sostiene che ciascuno dei sette livelli corporei può trovarsi in una situazione di ipertono, ipotono, eutono.
L’ipotono è sempre più frequente nel nostro tempo (31); in tutti questi casi non si può parlare di corazza e il progetto terapeutico, ovviamente, non può essere rivolto a sciogliere, ma piuttosto a densificare, a costruire una struttura, un carattere. La Siar pertanto lo considera – quando improntato all’eutono dei tratti –la necessaria costruzione volta a dare forma alla nostra interiorità indeterminata e a permettere una soddisfacente e creativa relazione con il mondo.
Lo spostamento dalla concezione energetico-pulsionale a quella relazionale ha consentito alla Siar di pervenire alla considerazione sistemico-complessa del setting.
Quest’ultimo è, pertanto, inteso come contenente relazionale, come lo spazio cioè in cui è agita la relazione fra l’analista e il paziente – vera e propria chiave del processo terapeutico. Considerando la persona dell’analista profondamente implicata nel processo di trasformazione, particolare attenzione è rivolta allora al suo controtransfert. A differenza però della tradizione psicoanalitica, nel modello della SIAR il termine non è da intendersi soltanto come la particolare costellazione emotiva che l’analista prova nei riguardi dell’analizzato, ma rappresenta un prezioso strumento terapeutico. E’ regola fondamentale che se ne abbia piena consapevolezza, soprattutto nei suoi aspetti corporei. Qual è il livello corporeo che si attiva nella relazione con il paziente? E come risuonano i suoi tratti caratteriali sulla nostra struttura di personalità? Attraverso un’attenta analisi del carattere della relazione analista/analizzato(Il setting inteso come analisi del carattere della relazione) è possibile modulare un adeguato assetto controtransferalepsico-corporeo, assumendo la giusta posizione e il giusto come (32) per stimolare la capacità autopoietica di guarigione del paziente. Il setting assumerà allora una propria forma e organizzazione,troverà le proprie soluzioni, creative e sostenibili. (Il setting come sistema vivente complesso). Ne consegue che la finalità terapeutica da perseguire non è – come per Reich e Navarro – identica per tutti gli individui; non si tratta di ripristinare il supposto funzionamento naturale dell’uomo. L’attività terapeutica non è più simile a quella dell’archeologo – così come lo è stata fino ad un certo punto per la psicoanalisi classica e ancora per tanta tradizione reichiana – che scava sempre più in profondità fino a portare alla luce le vestigia del passato ( le esperienze infantili traumatiche per Freud, il funzionamento naturale per Reich). Nel modello Siar la “verità” terapeutica non è un dato storico o naturale da svelare ma piuttosto qualcosa da costruire, la creazione autopoietica di quel nuovo sistema vivente che ha preso forma dall’incontro fra i tratti personalogici dell’analista e quelli del paziente. Esso si muove, pertanto, in una prospettiva decisamente costruttivista (33) .
Da tutto ciò discende una posizione clinica non direttiva che viene a costituirsi, attraverso un agire (la somministrazione di acting), un domandare e problematizzare
aperti e ambigui, come rumore, come elemento perturbatore, come stimolo capace di innescare la processualità autopoietica del sistema.
Dalla presa di distanza dall’utopismo naturalistico discendono alla Siar altre importanti conseguenze teorico-pratiche: Il giudizio estremamente critico sull’Orgonomia; un ripensamento del concetto di energia; una diversa considerazione del concetto di potenza orgastica.
A parere della Siar, la riflessione orgonomica – al di là di singolari e importanti intuizioni pure presenti –presenta una marcata problematicità epistemologica e segna una caduta verticale rispetto alla rigorosità scientifica che aveva contraddistinto la ricerca precedente. Tale fase del suo pensiero è dominata da un atteggiamento speculativo non impeccabile, che si intreccia profondamente con le aspirazioni personali (34) – psicologiche ed esistenziali – di Reich eha contribuito a porre l’intera sua riflessione ai margini del dibattito scientifico/culturale. Essa registra un progressivo abbandono della dimensione analitica e la prassi terapeutica, attraverso la proposizione di una tecnica (la Terapia Orgonica) considerata efficace anche nell’assenza di una chiara presenza coscienziale del paziente, si approssima pericolosamente verso una deriva meccanicista.  La riflessione orgonomica aveva avuto i suoi inizi nel cosiddetto periodo americano, in seguito alla presunta scoperta dell’energia orgonica cosmica che presiederebbe a ogni fenomeno della natura, inorganico ed organico. L’idea che l’esistenza sia espressione di un principio energetico non è nuova nella storia della cultura, tanto occidentale che orientale. In Oriente troviamo,ad esempio, la tradizione cinese affermare la realtà del ch’i. Reich si riallaccia alla tradizione del pensiero vitalista che in età moderna aveva avuto nella filosofia di Giordano Bruno – filosofo che amò particolarmente (35) – una delle sue massime espressioni. Avvertì anche le suggestioni della filosofia dell’elanvital di Bergson. Egli, però, “non riuscì a concepire l’energia orgonica come una misura di attività organica, ma fu costretto a vedere in essa una sostanza che poteva essere scoperta e accumulata” (36) (Capra) e finì col concepirla cartesianamente come una realtà sostanziale con proprietà, leggi e finalità.
Inconsapevolmente era pervenuto ad una nuova metafisica della natura. A proposito della sua realtà,Ferri si domanda: “possiamo parlare oggi ancora di orgone e di energia orgonica? Credo proprio di no. E questa convinzione la sostengo indipendentemente dal valore scientifico (le attuali ricerche sembrano averli messi decisamente in ombra), ma perché mi piace essere in relazione con il mondo e un tale tipo di convinzione e posizione culturale mi costringe e mi relega in un soliloquio. […] Molti studiosi reichiani, prima di me, hanno sostenuto che il concetto di energia in Reich non sia da considerare un’evidenza al microscopio, ma piuttosto una lente di osservazione, un modo di porsi nella relazione di studio con l’oggetto vita, nella consapevolezza della relazione dell’osservatore con l’oggetto osservato.
Uno per tutti: Roger Dadoun, che afferma ‘bionergia non è tanto il nome di un principio o di una teoria e ancor meno di una visione filosofica, quanto piuttosto la designazione di un campo unitario d’indagine’” (37). La Siar considera l’energetica reichiana un’ipotesi esplicativa che gli consente di andare oltre il riduzionismo e di approcciarsi alla realtà da un punto di vistasistemico-complesso.
Il rifiuto dell’utopismo naturalistico consente, infine, alla Siar di pervenire ad una diversa considerazione di un altro dei concetti fondanti la tradizione reichiana, quello di potenza orgastica. Formulato nel periodo psicoanalitico, tale concetto aveva finito con l’assumeresignificati che esulavano dalla consueta considerazione dell’esperienza sessuale. Agli inizi della sua riflessione, Reich l’aveva intesa come la capacità di abbandonarsi, all’acme del piacere sessuale, “senza alcuna inibizione, al flusso dell’energia biologica, la capacità di scaricare l’eccitazione sessuale accumulata, attraverso contrazioni piacevoli involontarie del corpo” (38). La potenza orgastica costituiva la condizione indispensabile per la sanità in quanto evitava ogni ristagno energetico che avrebbe potuto esitare in disturbi mentali o somatici. Rappresentava pertanto il fine della terapia ed era il segno distintivo dell’uomo genitale, un tipo caratteriale contraddistinto dalla misura, dall’ordine e dalla stabilità perché capace di accettare le proprie sensazioni sessuali (la natura dentro di sé) e fluire pertanto in armonia con la natura fuori di sé. Con lo sviluppo del suo pensiero, in concomitanza con lo spostamento di attenzione dall’uomo alla natura, la potenza orgastica era via via divenuta, dapprima il filo rosso (39) che attraversava e connetteva tutta la vita vivente, per essere considerata infine espressione di una funzione naturale – la superimposizione cosmica (40) – ancora più originaria, capace di connettere la vita vivente e non vivente. Essa esprimeva la tendenza dell’energia orgonica imprigionata nella corporeità di fuoriuscire e ricongiungersi all’oceano di energia orgonica cosmica. Nell’esperienza dell’orgasmo, superando ogni residuo coscienziale (41), (“Il vivente nell’orgasmo non è altro che una parte della natura pulsante” (42) ), l’uomo,in una sorta di copula cosmica, viveva un’esperienza fusionale e si radicava profondamente nella natura. In Reich, dunque, la funzione dell’orgasmo finiva con l’assumere un significato mistico-naturalistico. Con la Siar ridiventa una funzione umana, perdendo, nel contempo, il carattere eminente di esperienza sessuale. Ferri sostiene che “La potenza orgastica oggi va intesa come la possibilità di abbandonarsi e farsi attraversare dall’energia vitale, dal flusso neghentropico della pulsazione che attraversa il Sé in maniera piacevole e solare, con il senso di appartenenza ad un campo energetico maggiore e la percezione delle differenze di campo” (43) e, a suo parere, rappresenta il fine della terapia solo se la intendiamo come “la possibilità di pulsare e fluire dagli occhi ai genitali,che coinvolge, la mia interezza, la mia storia, attraversando i miei sette livelli” (44) .“…. che coinvolge la mia interezza, la mia storia” (45) , è proprio in questa affermazione che possiamo cogliere il diverso e nuovo modo di intendere la potenza orgastica. Essa è la possibilità di manifestare ogni aspetto e dimensione del vivere umano, – l’amore, il lavoro e la conoscenza – nella chiara coscienza di appartenere e di essere in relazione con l’ambiente naturale, sociale e culturale. La potenza orgastica è il movimento libero e fluido dell’energia vitale, che ci apre alla possibilità esistenziale di affermare e di esprimere creativamente la vita. È la capacità di fluire dagli occhi ai genitali, di soffermarsi – in un gioco/alternanza di prevalenze e di copresenze mai definitivo -in ognuno dei sette livelli, di comporli in diverse e provvisorie gerarchie, per potere esprimere le molteplici funzioni e attitudini di quel particolare Sé, in base al suo temperamento e alla sua storia. L’obiettivo terapeutico non è allora quello di pervenire alla definizione di personalità assolutamente coerenti e stabili (l’uomo genitale tradizionalmente inteso), pienamente realizzate. La convinzione è che l’esistenza sia un processo di crescita coscienziale che non ha mai fine e che richieda la realtà di personalità fluide, aperte, capaci di rispondere creativamente e responsabilmente ai nuovi e molteplici compiti che l’esistenza continuamente ci propone.Solo così è possibile vivere nella responsabilità e nel piacere, e disporsi alla possibilità di comprensione dei significati sovrapersonali e sovrarazionali dell’esistenza.

 

1 La S.I.A.R. (Società Italiana di Analisi Reichiana) è nata nel 1992 a Roma.

2 Ola Raknes,medico e psicoanalista norvegese, è stato un importante collaboratore di Reich. E’ grazie alla sua opera che la Vegetoterapia Analitico-Caratteriale si è diffusa in Europa.

3 Federico Navarro, psichiatra, allievo di Raknes, ha l’importante merito di aver per primo sistematizzato la Vegetoterapia

4 Genovino Ferri, psichiatra, presidente della SIAR, è stato allievo di Navarro. A lui dobbiamo lo sviluppo in senso analitico della Vegetoterapia e la trasformazione in senso sistemico-complesso del settingreichiano.

5 Si veda il capitolo “Gli sviluppi della tecnica terapeutica” in M. Mannella, Wilhlem Reich: Il dramma e il genio, Alpes,
Roma, 2014.

6 L’anelito utopico del pensiero di Reich si esprimerà compiutamente nel cosiddetto periodo orgonomico della sua riflessione e si concretizzerà nella forma di un radicale panteismo naturalistico, caratterizzato dalla spiccata tendenza olistica di ricondurre l’uomo alla natura. Si veda, oltre a M. Mannella, Wilhelm Reich. Il dramma e il genio, op. cit., M. Mannella, Un curioso, paradossale, ed(in)evitabile equivoco, in PsicoterapiaAnaliticoReichiana, Rivista semestrale online della S.I.A.R., n° 2/2012.

7 G. Ferri, G. Cimini, Psicopatologia e carattere, L’Analisi Reichiana, Alpes, 2012.

8 A. Damasio, L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano, 1994, p. 6.

9

10 A. Damasio, Alla ricerca di Spinoza,Adelphi, Milano, 2003, p. 104.

11 A. Oliverio, Prima lezione di neuroscienze, Laterza, Bari, 2008, p. 80.

12 A. Oliverio, op. cit. p. 81.

13 La ricerca neuroscientifica sostiene l’esistenza di una memoria corporea o procedurale. Essa implica“una serie di procedure e non di significati, come avviene per le memorie semantiche […]. Lo sviluppo delle memorie motorie nel corso dell’infanzia indica che la memoria non è soltanto un fatto mentale ma anche corporeo, basato su procedure non esplicitabili, dato che è molto difficile, se non impossibile, formalizzarle in termini linguistici”. A. Oliverio, Prima lezione di neuroscienze, op. cit., pp. 79/80.

14 Lo stesso Reich vi portò l’attenzione nel tardo periodo della sua riflessione. La S.I.A.R., che per prima vi ha prestato un’attenzione sistematica, considera i vissuti intrauterini un periodo evolutivo determinante della futura individualità.Si veda, G. Ferri, G. Cimini, Psicopatologia e Carattere, op. cit.

15 W. Reich,Analisi del carattere, SugarCo, Milano, 1994, p. 453.

16 E’ a partire dal periodo norvegese che assistiamo al dilatarsi dei suoi interessi scientifici che raggiungerà il culmine nel periodo americano.

17 W. Reich, Esperimenti bionici, SugarCo, Milano, 1994.

18 In effetti a cambiare non è soltanto la direzione delle sue ricerche ma anche la loro rigorosità scientifica. Si veda G. Sacco, M. Sperini,Alla ricerca dell’energia vitale. L’orgonomia di Wilhelm Reich, Melusina Editrice, Roma, 1990.

19 O. Raknes, W. Reich e l’orgonomia, Astrolabio, Ubaldini, Roma, 1997, p. 11.

20 F. Navarro, Metodologia della VegetoterapiaCarattero-Analitica, Busen, Roma, 1998, p. 9.

21 L. De Marchi, Biografia di un’idea, SugarCo, Milano, 1970.

22 Dal sito della SIAR, documento di Sassone: La SIAR e il movimento reichiano.

23 Dall’intervento di G. Ferri alconvegno della SIAR “Dare corpo alla Mente” tenutosi a Roma il 29 settembre 2012.

24

25 Dall’intervento di G. Ferri al convegno della SIAR“Dare corpo alla Mente” tenutosi a Roma il 29 settembre 2012.

26 La SIAR si richiama alla teoria dei tre cervelli di MacLean. Si veda G. Ferri, G. Cimini, Psicopatologia e carattere, op.cit.

27 La teoria dello sviluppo evolutivo della SIAR è esposta in G. Ferri, G. Cimini, Psicopatologia e carattere, op. cit.

28 G. Ferri, G. Cimini, Psicopatologia e Carattere, op. cit., p.186.

29 Ibidem, p. 186.

30 Ibidem.

31 Si veda l’appendice: La peste emozionale nella modernità liquida in G. Ferri, G. Cimini, Psicopatologia e Carattere, op. cit.

32 La posizione è la capacità da parte dell’analista di collocarsi sul tratto della propria personalità e assumere un atteggiamento empatico e dinamico funzionale al disturbo del paziente. Il come è l’espressione analogica della posizione che crea un’atmosfera di campo capace di produrre insight evolutivi decisivi.

33 Il costruttivismo si fonda sul presupposto che le teorie non sono rappresentazioni oggettive della realtà, ma principi esplicativi necessari ad organizzare i dati  dell’esperienza, modi di rapportarsi e organizzare il mondo. Anche in psicoterapia i modelli teorici rappresentano delle ipotesi esplicative attraverso cui l’analista incontra il mondo che l’altra persona porta nello spazio relazionale del setting.

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35 Si veda W.Reich, L’assassinio di Cristo, SugarCo, Milano, 1994.

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37 Dall’intervista a G.Ferri di M. Mannella:

38 W. Reich, La funzione dell’orgasmo, SugarCo, Milano, 1985, p. 116.

39 “Con il suo rapido susseguirsi di espansioni e contrazioni l’orgasmo rappresenta una funzione fatta di gonfiamento e sgonfiamento, di carica e di scarica: la pulsazione biologica”.( W. Reich, Biopatia del cancro, op. cit.,p. 30.) “La funzione dell’orgasmo rientra dunque nel novero del quadriritmo: tensione – carica – scarica distensione.
Abbreviando: ‘ funzione t-c’. Gli studi fatti ci hanno confermato che la funzione t-c non è peculiare soltanto dell’orgasmo. Vale anche per tutte le funzioni dell’apparato autonomo della vita. Il cuore, l’intestino,la vescica orinaria, il polmone (respirazione) funzionano in questo ritmo. Ma anche la divisione della cellula obbedisce a questo
quadriritmo, non meno del movimento dei protozoi e dei metazoi di ogni specie […]Con la nostra formula biologica siamo in grado di cogliere l’essenza del funzionamento della vita. La formuladell’orgasmo diventa la formula della vita. Ciò corrisponde esattamente alla nostra antica formulazione: ‘Il processo della sessualità non è che il processo produttivo biologico’, nella riproduzione, nella prestazione di lavoro, nel piacere di vivere, nella produzione intellettuale, ecc. L’accettazione o il rifiuto di questa formulazione dividono gli oppositori e gli estimatori della biofisica orgonica”.(Ibidem, p. 31.)

40 Il concetto di superimposizione non è chiaramente definito da Reich. Esso sembra indicare sia la dinamica delle particelle di energia orgonica massa-esente che nel loro muoversi vorticoso si incontrano, si attraggono e si fondono (si superimpongono) dando origine alla materia inerte, sia assumere la significazione finalistica della tendenza
dell’energia orgonica imprigionata nell’involucro materiale a fuoriuscire attraverso l’amplesso sessuale dalla stretta sacca che la contiene al fine di ricongiungersi con l’oceano di energia orgonica cosmica primordiale. Si veda W.Reich, Superimposizione cosmica, SugarCo, 1975.

41 Si veda M. Mannella, Wilhelm Reich. Il dramma e il genio, op. cit.

42 W. Reich, L’analisi del carattere, op. cit., p. 479.

43 Intervista

44 Per Reich segno inequivocabile della potenza orgastica era costituito dal riflesso dell’orgasmo ( vedi W. Reich, Analisi del carattere, op. cit., p. 449) che esprimeva l’espressione emozionale dell’abbandono. Per Ferri non è più così: In altri termini voglio dire che possiamo anche trovarci di fronte a disturbi e patologie di persone, che pur presentano il riflesso dell’orgasmo.” Intervista Mannella Ferri

45 Ibidem